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Milan ai quarti della Youth Champions League con i “nuovi italiani”: l’atavico problema dei vivai

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Ignazio Abate

Ignazio Abate è cresciuto nel Milan. Lui, classe 1986, ci ha messo un po’ per riuscire a essere titolare in prima squadra. Ha dovuto attendere di compiere 23 anni, per l’esattezza. Uscito dal settore giovanile ha girovagato per l’Italia e si è fatto le ossa tra Napoli, Piacenza, Modena, Empoli e Torino. Poi, nel 2009-10, ha fatto ritorno alla base e ha collezionato una quarantina di presenze complessive tra campionato e coppe. Ora allena la Primavera rossonera con cui ha appena fatto la storia, centrando la final four della Youth League. Solo Roma e Juventus c’erano riusciti prima di oggi in Italia, nessun altro. Un’impresa arrivata con una squadra che è lo specchio del calcio giovanile nostrano, composta da tanti giovani calciatori azzurri e alcuni “nuovi italiani” più o meno pronti per il grande salto. Che però, alla fine, non lo fanno quasi mai.

Il motivo è semplice, in fondo. E lo ha detto anche Massimiliano Allegri qualche giorno fa quando gli hanno chiesto di Miretti, Fagioli e degli altri ragazzi della Next Gen: “Il campionato Primavera non permette di capire se sono pronti, meglio farli giocare in Serie C per metterli alla prova con gli adulti”. Ecco che allora resta un mistero il motivo per cui solo la Juventus, ad oggi, abbia allestito una seconda squadra. Quanto meno in ottica Nazionale maggiore, che avrebbe sicuramente bisogno di accelerare il percorso di crescita dei propri talenti. Sia che si tratti di italiani che di stranieri nati e cresciuti in Italia, che sono sempre di più e che sono a tutti gli effetti papabili azzurri.

I giovani italiani ci sono, bisogna crederci

Già, perché oggi leggendo un tabellino o una distinta di una qualsiasi partita di settore giovanile è difficile non cadere in errore e dire: “Vedi, ci sono troppi stranieri, giocano solo loro in Italia”. Peccato che molti di questi siano italiani nonostante abbiano un cognome straniero. Nella rosa della Primavera del Milan, ad esempio, sono solo otto i veri “forestieri”: Pseftis (Grecia), Andrews (Irlanda), Nsiala Makengo (Francia), Simic (Germania), Cuenca (Paraguay), Stalmach (Polonia), Eletu (Nigeria) e Chaka Traorè (Costa d’Avorio). Tutti gli altri sono italiani, compresi Bakoune, Coubis, Zeroli ed El Hilali, che potrebbero tranne in inganno per via del nome o del colore della pelle.

Nell’undici di partenza rossonero che ha battuto l’Atletico Madrid per 2-0 nella partita decisiva per l’accesso alle semifinali della Youth League (in programma dal 21 al 24 aprile a Nyon) solo cinque ragazzi erano stranieri. Ma d’altronde il ReportCalcio 2022 della Figc ha messo in evidenza come il problema sia la dispersione del talento di casa nostra, piuttosto che l’incapacità di crearlo. Numeri alla mano, nel campionato Primavera 2021-22 solo il 33,6% dei componenti delle rose delle 18 squadre non era italiano, ossia un terzo del totale. E di questi solo 2 o 3 a squadra risultavano titolari. Il problema, però, è il passaggio in Serie A, dove la media di calciatori italiani Under 21 è di appena 2,7 a squadra, con minutaggi davvero bassi. Una media che se prendiamo in esame gli undici titolari scende a 0,43 per squadra. Un dato allarmante e che dimostra grande mancanza di coraggio.

La Serie A, un campionato per vecchi

Il tutto, per di più, a fronte degli ottimi risultati ottenuti dalle Nazionali giovanili italiane, che negli ultimi anni hanno raggiunto quattro finali tra Europei U19 e U17, un terzo e un quarto posto ai Mondiali U20 e sono state tra le migliori in assoluto per qualificazioni alle fasi finali dei Campionati Europei nelle varie categorie (U21, U19 e U17). Risultati che hanno permesso agli azzurrini di piazzarsi in alto come non mai nel ranking internazionale. Al tempo stesso, il ReportCalcio 2022 sottolinea la difficoltà dei giovani talenti ad essere impiegati stabilmente nel calcio di vertice: sia che si parli di Under 21 italiani (1,5% del totale) che di Under 21 stranieri (3,1%). In pratica la Serie A è un campionato per vecchi. Una sentenza senza appello che la Figc e i club devono affrontare al più presto per il bene del calcio italiano.

Foto: Lapresse

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