Formula 1

F1, valori inamidati da un decennio. Senza varietà al vertice il rischio è di diventare stantia

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L’inopinata “pausa primaverile” della Formula 1 consente di fermarsi ad analizzare alcuni temi che, generalmente, finiscono nel dimenticatoio, travolti dal perenne susseguirsi dei Gran Premi. Ne sono andati in archivio 185 nell’era turbo-ibrida, giunta ormai alla sua decima stagione. Un arco temporale molto ampio che rappresenta un campione significativo e genera una riflessione riguardo quanto ingessata sia diventata la categoria.

Dall’inizio dell‘epoca corrente, nella quale le power unit hanno sostituito i motori aspirati, ben 112 GP sono stati conquistati dalla Mercedes. Si contano invece 48 affermazioni per la Red Bull, indiscutibilmente secondo violino. Ci sono poi 21 successi marchiati Ferrari, terza forza senza ‘se’ e senza ‘ma’. Questi tre team messi assieme hanno vinto, chi più chi meno, quasi il 98% delle gare disputate!

Il resto del campo partenti ha raccolto briciole, nella forma di un trionfo estemporaneo. Le varie Alpha Tauri, Racing Point (oggi Aston Martin), Alpine e McLaren hanno tutte festeggiato una volta, sempre però in appuntamenti dai connotati anomali, la cui costante è rappresentata dal fatto che sia Lewis Hamilton, sia Max Verstappen siano stati vittima in contemporanea di disgrazie sportive di qualche tipo. Mai, una di queste squadre, ha realmente alzato la cresta sul piano prestazionale.

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Qualcuno potrà obiettare: “dove sta la novità? La Formula 1 è elitaria da decenni”. Vero, però fino a un certo punto. Il Circus ormai si è ridotto a proporre sempre le solite tre attrazioni principali, una delle quali fa sempre la figura del “Willy Coyote” al perenne inseguimento di due “Beep Beep”, irraggiungibili e vincenti. Per quanto elitaria, la F1 antecedente all’era turbo-ibrida arrivava ad avere quattro attrici protagoniste che, peraltro, di anno in anno potevano scambiarsi di ruolo.

L’attuale cristallizzazione decennale è una dinamica priva di precedenti, che inevitabilmente riduce l’attrattiva della categoria. Si potranno produrre tutte le stagioni di Drive to Survive che si vorranno, montando ad arte storie o rivalità in realtà inesistenti. Prima o poi, però, anche il pubblico più naïf si stuferà della solita minestra, mescolata e riscaldata a ripetizione.

Il problema è che, da questa scala di valori relativamente fossilizzata, si fatica a uscire. L’unico grande costruttore in grado di assurgere al gotha della Formula 1 in tempi rapidi sarebbe Renault, che nel momento del suo rientro (2016) si era posta come obiettivo quello di lottare per il Mondiale entro il 2020. Sappiamo come è andata. Il colosso francese ha ribrandizzato il team “Alpine” per promuovere il suo marchio più sportivo e si accontenta di vivacchiare, peraltro perdendo per strada i suoi piloti migliori (Fernando Alonso e Oscar Piastri) a causa della propria indolenza gestionale.

McLaren è, viceversa, oltremodo intraprendente. Anche troppo. A Woking è un continuo “gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare” che, con le dovute proporzioni, ricorda quello di Maranello. Peraltro è difficile immaginare di rivederla contender iridata. L’azienda madre sta attraversando un periodo difficile dal punto di vista finanziario e, sul piano agonistico, il team paga il fatto di non avere una motorizzazione ufficiale.

Già, perché in un modo o nell’altro, tutti gli altri team utilizzano power unit forniti loro da una delle “Big Three”. Non hanno un motorista con cui lavorare in esclusiva, situazione che non cambierà almeno fino al 2026, quando, stando agli annunci ufficiali, Ford tornerà come partner Red Bull, Audi si impegnerà direttamente inglobando Sauber (ovvero l’attuale Alfa Romeo) e Honda potrebbe legarsi a un’altra struttura.

Fino ad allora dovremo rassegnarci a questa F1 imbalsamata nelle sue gerarchie? Se così fosse, almeno si spera ci possa essere più varietà in seno alla triade di vertice. Perché non c’è niente di male a essere la “terza forza”, ma a patto di essere competitiva contro le altre due. Se invece si vince un quinto della prima e meno della metà della seconda, significa essere terzi per distacco. Soprattutto se i Mondiali finiscono sempre a Brackley o a Milton Keynes, senza che nessuno prenda la strada per latitudini più meridionali…

Foto: La Presse

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