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ATP Roma 2023: l’Italia aspetta un trionfo da 47 anni agli Internazionali
Era il 30 maggio 1976 quando Adriano Panatta vinse gli Internazionali d’Italia al Foro Italico di Roma. Quella vittoria, accompagnata al successivo Roland Garros che rimane anch’esso l’ultimo Slam vinto in campo maschile da un giocatore italiano, aspetta ancora eredi: nessun altro è mai arrivato in finale, peraltro, dopo di lui, che ci ritornò nel 1978. E fu, quello, un ultimo atto molto famoso, perché contro Bjorn Borg (che vinse in cinque set) e perché, a un certo punto, l’allora “tradizionale” lancio di monetine portò l’Orso svedese a minacciare di andarsene, con serafica calma, qualora fosse continuato.
Eppure, in quel 1976, Panatta rischiò seriamente di non arrivare ad affrontare Guillermo Vilas. Tutto perché, al primo turno, dovette fronteggiare non meno di undici match point, rimontando da uno svantaggio di 1-5 nel terzo set contro l’australiano Kim Warwick, che di palle della vittoria ne ebbe dieci sul proprio servizio. Da quel 3-6 6-4 7-6 si passò a un più tranquillo 7-6 6-3 contro Tonino Zugarelli, figura che meriterebbe una storia a parte, non legata solo alla finale romana del 1977.
Battuto anche lo jugoslavo Zeljko Franulovic, uno mai semplice, per 6-4 6-1, divennero famosi anche i quarti contro Harold Solomon. L’uomo che avrebbe ritrovato poi in finale al Roland Garros, infatti, si arrabbiò perché, avanti 2-6 7-6 5-4 dopo aver recuperato da 0-4 nel terzo set, una palla vista buona da tutti tranne che da lui lo portò da 0-15 a 0-30 nel decimo game. L’americano non volle sentir ragioni: prese le racchette, se la prese un po’ con tutti e se ne andò dal campo per non ricomparire. In semifinale Panatta trovò e superò John Newcombe con un chiaro 6-2 6-4 6-4 e, poi, arrivò il giorno della consacrazione contro Vilas: 2-6 7-6 6-2 7-6, con il Centrale di allora stracolmo.
Fu, quello, il sesto successo di un tennista italiano agli Internazionali. E, col tempo, è diventato anche l’ultimo. Nei primi anni, il 1933 e il 1934, furono Emanuele Sertorio prima e Giovanni Palmieri poi a vincere, rispettivamente sul francese André Martin-Legeay e su Giorgio De Stefani. Queste edizioni, però, non si svolsero a Roma, bensì a Milano, sui campi, appunto, del Tennis Club Milano: solo dal 1935 ci si spostò nella Capitale.
Fu a Roma che, nel 1955, si ebbe una delle più drammatiche finali in assoluto. Protagonisti due che, al tempo, erano descritti come duellanti, ma erano amici: Fausto Gardini e Giuseppe Merlo, per tutti Beppe. Proprio il nativo di Merano volò sull’1-6 6-1 6-3, ma, sul 6-5 del quarto set, cadde vittima di crampi. Ebbe due match point, poi un terzo, fu raggiunto sul 6-6. Gardini fu molto insistente nel chiedere la vittoria, Merlo ebbe una crisi di nervi e salutò tutti.
Nel 1957 fu proprio Merlo a tornare in finale, ma stavolta dall’altra parte della rete c’era l’uomo che, per gli anni successivi, sarebbe stato tra i signori indiscussi della terra rossa. Nicola Pietrangeli fu trionfatore per 8-6 6-2 6-4, e poi si ripeté nel 1961. Non a Roma, però: quell’edizione, in virtù del centenario dell’Unità d’Italia, si disputò a Torino, al Circolo della Stampa. Pietrangeli, che l’anno prima contro Rod Laver, in semifinale a Wimbledon, aveva perso forse l’occasione della vita, stavolta non lasciò scampo a “Rocket”: 6-8 6-1 6-1 6-2, dopo aver peraltro battuto Roy Emerson in semifinale. Dovettero passare 15 anni prima di Panatta, e poi più nessuno riuscì.
Oltre agli italiani già citati, hanno raggiunto la finale Uberto De Morpurgo nell’edizione di debutto nel 1930 (battuto da Bill Tilden, uno dei nomi che è storia del tennis), Palmieri nel 1935 (sconfitto da Wilmer Hines), Gianni Cucelli nel 1951 (fu Jaroslav Drobny, prima cecoslovacco, poi egiziano e infine britannico, a superarlo) e, infine, altre due volte Pietrangeli, che perse le finali del 1958 contro Mervyn Rose e del 1966 contro Tony Roche, due tra i tanti ad aver fatto grande l’Australia del tempo.
Foto: LaPresse / Olycom