Ciclismo
Cosa è successo al Giro d’Italia e di chi è la colpa? Tra app “che sbagliano” e dettagli grotteschi
Il Giro d’Italia esce con le ossa rotta al termine della giornata odierna. La tredicesima tappa era la più attesa dopo due settimane caratterizzate soltanto da due cronometro e dalla passeggiata di Campo Imperatore, oltre a una serie da record di ritiri per positività al Covid-19 e cadute. Tutti gli appassionati si aspettavano un grande spettacolo lungo i 199 km conditi dalle salite del Gran San Bernardo, della Croix de Coeur e di Crans Montana. Si attendevano gli attacchi dei big e la classifica generale doveva uscirne stravolta, ma invece abbiamo assistito a una vera e propria figuraccia che mina la caratura e la credibilità della Corsa Rosa.
Il ciclismo è stato desacralizzato e ora andrebbe davvero salvato, ma la ciambella da gettare alla disciplina del pedale risulta alquanto pesante. Il rischio, dopo certi eventi, è che il pubblico si allontani ancora di più da questo sport, sopraffatto, illuso, preso in giro, scocciato. Paura di un maltempo poi rivelatasi infondata, tracciato stravolto per assecondare qualcuno di non meglio definito (nomi e cognomi non ne sono stati fatti), chilometri risparmiati, salite saltate, percorsi accomodati e diventati insignificanti, azione agonistica inesistente.
COSA È SUCCESSO AL GIRO D’ITALIA? LA CRONISTORIA
Riavvolgiamo il nastro per raccontare nel dettaglio cos’è successo oggi al Giro d’Italia, ripercorrendo passo dopo passo le ore concitate di una giornata nera dal punto di vista sportivo. Al termine della tappa di ieri i corridori visionavano insieme agli staff delle rispettive squadre i riscontri forniti da alcune APP del meteo (non sono le classiche applicazioni che scarichiamo noi comuni mortali sui nostri cellulari, ma si tratta di strumenti considerati altamente professionali). Le previsioni erano pessime: pioggia battente per tutto il giorno, temperature attorno ai 2-3 °C sui passi di montagna, addirittura un rischio neve in cima alla Croix de Coeur la cui discesa era ritenuta molto pericolosa nei primi quattro chilometri visto un manto stradale ritenuto non ottimale.
Gli atleti, tutelati dall’Associazione Internazionale dei Ciclisti (nei fatti è un “sindacato”), presentavano le loro rimostranze al direttore di gara Mauro Vegni, in seguito a un referendum interno a cui il 90% dei corridori avrebbe risposto di voler chiedere una modifica al tracciato. Adam Hansen (presidente dell’Associazione) e Cristian Salvato (rappresentante del sindacato italiano e presente in quello internazionale) hanno fatto da portavoce degli atleti, senza, a quanto pare, dare un chiaro indirizzo e affidandosi ciecamente delle APP del meteo. Strumenti informatici e sicuramente eccezionali, ma di sicuro non perfetti e su cui non si può basare una valutazione così delicata come la rivoluzione di una tappa tanto importante all’interno della Corsa Rosa.
Stando ad alcune ricostruzioni, ieri sera Vegni avrebbe acconsentito alla cancellazione della Croix de Coeur. Questa mattina, però, c’è stato un cambio di idea e il direttore di gara è riuscito a strappare un compromesso con gli atleti, in modo da conservare il momento ritenuto più rilevante dal punto di vista sportivo: cancellare i primi 125 km di gara (che comprendevano la salita del Gran San Bernardo) e partire direttamente ai piedi della Croix de Coeur. Viene invocato il protocollo UCI “Weather Extreme”, adottato in caso di grandine, temperature inclementi, cumuli di neve, aria irresperabile.
La tappa si trasforma così in una tappetta di 74,6 chilometri: nei fatti l’ascesa iniziale viene neutralizzata visto che nessun big attacca, anche perché dopo il GPM c’è una discesa seguita da 22 chilometri pianeggianti. In questa situazione la salita finale che conduce al traguardo di Crans Montana risulta troppo semplice per fare selezione e gli uomini di classifica giungono insieme all’arrivo.
La figuraccia è evidente appena circolano le immagini. In cima al Gran San Bernardo non pioveva e c’erano circa 6 °C. La tappa inizia con cielo nuvoloso e asfalto asciutto (dunque non è piovuto nemmeno nelle ore precedenti), la salita della Croix de Coeur viene affrontata in condizioni meteo perfette e in vetta c’erano circa 8 °C. Le uniche gocce di pioggia si sono viste debolmente nei primi 3-4 chilometri della discesa, ma la situazione era tutt’altro che pericolosa. In cima a Crans Montana addirittura si è palesato un raggio di sole con temperature sui 10 °C. In sostanza: le condizioni meteo estreme non si sono palesate.
Il grottesco divampa quando Cristian Salvato si presenta al Processo alla Tappa su Rai 2 e, all’interno di un lungo discorso, chiede scusa ai tifosi: “Le APP hanno sbagliato”. Il ciclismo oggi era in mano a delle applicazioni del meteo e una votazione condotta la sera prima della tappa, seguita da una trattativa mattutina che ha stravolto la frazione, mutilandola, dilaniandola, annullandola nei fatti.
DI CHI È LA COLPA?
La decisione di accorciare la tappa e di farle perdere di significato agonistico è risultata totalmente infondata. Ma di chi è la colpa? Nelle dichiarazioni pre e posta tappa sembra che nessuno abbia voluto prendersi la responsabilità di una scelta scellerata. Di sicuro hanno sbagliato le APP e soprattutto chi le ha ascoltate, non pensando che magari conveniva andare effettivamente in strada e vedere come si sviluppava la situazione. Tanti ciclisti non volevano cimentarsi in questa giornata, dimenticandosi che questo sport comporta sforzi all’aperto e condizionati dalla variabile del meteo.
La frase di Gianni Moscon è ampiamente condivisile: “Non c’è un dottore che ci obbliga a correre“. Come per dire: “Se non si vuole pedalare in queste condizioni si può anche tornare a casa“. Anche perché oggi non c’era nulla di pericoloso e rischioso, erano condizioni assolutamente normale in un mese di maggio purtroppo non splendido alle nostre latitudine e con medie inferiori alla stagione, ma di certo non drammatico. Di sicuro tifosi amareggiati non potranno essere risarciti (persone a bordo strada che hanno visto una sfilata di pullman in Valle d’Aosta e non un gruppo transitare in sella) e il Giro d’Italia esce con le ossa rotta.
Gli organizzatori non hanno grandi colpe: hanno dovuto assecondare certe richieste avanzate dal “sindacato”, anche perché se fosse successo qualcosa in strada sarebbero finiti nella gogna più classica. Domani è un altro giorno, ma lasciarsi alle spalle questa pagina non sarà semplice. E sarebbe bello che i capifila escano alla scoperto…
Foto: Lapresse