Ciclismo

Giro d’Italia 2023: corridori o mammole? Hanno strappato l’anima secolare del ciclismo

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Caro ciclismo di una volta, quanto ci manchi. Ricordate la vittoria di Vincenzo Nibali alle Tre Cime di Lavaredo nel 2013 sotto una tormenta di neve? O l’epica fuga di Marco Pantani nel tappone del Galibier nel 1998, quando sotto una pioggia incessante ribaltò il Tour de France e rifilò oltre 9 minuti al grande rivale Jan Ullrich? Chi ha vissuto certe imprese, non può dimenticarle. E si potrebbero fare decine di altri esempi, senza dover necessariamente risalire sino ai decenni in bianco e nero.

È finita amici: quel ciclismo, il ciclismo che conoscevamo e che adoravamo, non esiste più e non tornerà più. Fortunato chi lo ha vissuto, chi lo ha assaporato sino a carpirne la più intima essenza. Niente aveva più fascino di questo sport. L’inesauribile antologia dell’uomo che sfida il tempo e le intemperie ha fatto sognare decine di generazioni; e sono state proprio le tappe più estreme a forgiare miti e leggende che si tramandano di padre in figlio, capaci ancora di generare un brivido a distanza di tanti anni.

I corridori spesso sono stati etichettati come eroi, soli su quel pezzo di metallo a due ruote e in balia di freddo, vento, pioggia, tempeste, vette innevate e discese a strapiombo sull’abisso. Oggi siamo di fronte a delle mammole spaurite, che già ai primi barlumi di maltempo iniziano a protestare sin dal giorno prima, andando a piangere (metaforicamente) da Mauro Vegni ed invocando modifiche del percorso.

Quanto accaduto a Borgofranco d’Ivrea ci ha ribadito nuovamente che il ciclismo che conoscevamo è ormai irrimediabilmente estinto. E non da oggi, se ricordiamo come anche il 24 maggio 2021 il tappone da Sacile a Cortina d’Ampezzo fu stravolto con la cancellazione di Marmolada e Pordoi. Le cause furono le stesse odierne: condizioni definite estreme con pioggia, nevischio e temperature rigide.

Attenzione, RCS in questa vicenda è parte lesa e di certo non la causa di uno scempio difficile da accettare. Oggi esiste una Associazione dei Corridori (ma chiamiamolo “sindacato”) potentissima, contro cui anche gli organizzatori hanno poteri quasi nulli. Se i corridori reputano, arbitrariamente, che sia a rischio la loro sicurezza, allora RCS si trova spalle al muro e con ben poche armi a disposizione, se non quella della mediazione saggiamente utilizzata oggi da Mauro Vegni, che almeno ha salvato il Croix de Coeur, l’ascesa più dura di giornata.

Il ciclismo attuale ci impone di smettere di sognare. Le previsioni meteo danno pioggia incessante e temperature rigide sulle Alpi? Non ci aspetteremo più imprese d’altri tempi, ma saremo già preparati ad una eventuale mutilazione o cancellazione. Di fatto certe tappe si disputeranno solo con tempo soleggiato e temperature accettabili. È quello che vogliono i corridori. Non tutti, per fortuna. C’è ancora chi, come Gianni Moscon, non ha paura di esprimere il proprio pensiero: “Oggi si poteva correre, non c’erano le condizioni per cambiare il percorso. Non ce l’ha mica ordinato il dottore di fare i ciclisti“. Come dire: questo è il nostro lavoro, sappiamo a cosa andiamo incontro. Fino a pochi anni fa, caro Gianni, era così. Adesso è cambiato tutto. Il sostantivo ‘ciclismo’ resterà sui dizionari, ma con un significato diverso dopo avergli strappato un’anima secolare.

Foto: Lapresse

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