Ciclismo

Giro d’Italia 2023: due settimane senza una battaglia in salita. Così il pubblico si allontana

Pubblicato

il

La prima vera tappa di montagna di questa edizione del Giro d’Italia è stata mozzata dalla decisione dei corridori di richiedere un accorciamento della tappa per delle previsioni meteo poi rivelatesi errate. In cima alla salita verso Crans Montana il gruppo dei migliori è arrivato sostanzialmente compatto, mantenendo invariata la classifica.

Tra ritiri, abbandoni, cadute e polemiche, il Giro non sta certo vivendo la sua migliore annata. A questo va aggiunto anche la totale assenza sinora di attacchi, allunghi e battaglie in salita tra i “big”. Prima l’arrivo sul Gran Sasso a ranghi compatti, poi questa giornata particolarmente “sui generis”, le uniche azioni si sono viste nella tappa dei muri marchigiani, comunque non decisiva ai fini della vittoria finale.

Di certo le condizioni meteo non stanno aiutando, trovare pioggia e freddo ogni giorno non invoglia il corridore ad attaccare e non accresce lo spettacolo, così come non hanno aiutato gli abbandoni di Remco Evenepeol e Tao Geoghegan Hart, la cui presenza avrebbe potuto portare a qualche azioni in più, tanto per attaccare il belga, quanto da parte di un’INEOS in superiorità numerica.

Allo stesso momento non possiamo però non cercare le responsabilità dei corridori e soprattutto dell’organizzazione. La volontà da parte dei protagonisti di accelerare non c’è stata, fatta eccezione come detto per l’allungo di Roglic a Fossombrone. D’altronde però, per caratteristiche, i corridori rimasti a lottare per la classifica sono dei regolaristi per natura, con l’eccezione di Damiano Caruso, che è stato oggi l’unico a provare, seppur timidamente e senza grossa convinzione.

Come detto però dobbiamo analizzare anche cosa ha portato a questo: ormai è evidente che RCS, nel disegnare il percorso del Giro d’Italia, tenda a sovraccaricare l’ultima settimana, imbottendola di montagne e tapponi. Questo serve in qualche modo per tenere aperto il discorso classifica il più a lungo possibile e forse anche per la conformazione territoriale del nostro paese.

Nella terza settimana non ci sarà sostanzialmente un attimo di respiro, con i corridori che non vogliono rischiare di arrivare al forcing finale con un grammo di energia in meno rispetto al necessario. È stato così lo scorso anno, è stato così nel 2021 ed è stato così spesso negli anni precedenti. Ormai sappiamo che Etna e Gran Sasso non fanno la differenza, e che dunque lo spettacolo prima dell’ultima settimana è lasciato ogni volta ad una singola tappa durissima: se negli anni scorsi lo Zoncolan aveva fatto il suo dovere, quest’anno è “andata male”, con delle circostanze esterne a cancellare l’unica possibile fonte di spettacolo.

Se l’obiettivo dell’organizzazione è quello di tenere la classifica aperta fino alla fine, è evidente che ci siano riusciti. I corridori di testa sono vicinissimi e i potenziali candidati al podio sono tanti. Ma a quale prezzo? Non è nostra abitudine fare paragoni col Tour de France, ma qual è la tappa che più ricorderemo dell’ultima edizione? Quella del Granon, arrivata al giorno 13, subito prima dell’Alpe d’Huez e con la Planche des Belles Filles già in archivio. Ovviamente qui non ci sono Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard, così come è ugualmente ovvio che negli anni abbiamo visto anche edizioni del Tour particolarmente noiose.

Quello che stiamo facendo qui è provare a cercare le cause di un’edizione del Giro d’Italia che per ora ha regalato poche emozioni, e quasi tutte negative. Ci si è messa la sfortuna, il meteo, le caratteristiche dei corridori, il loro “coraggio”, ed a questo va aggiunto anche il disegno del percorso. L’augurio è che già da domenica, nella tappa di Bergamo, gli uomini di classifica si diano battaglia, senza aspettare che sia la tremenda cronometro del Monte Lussari a scrivere la classifica finale.

Foto: LaPresse

Exit mobile version