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MotoGP, ‘Sic transit gloria mundi’. Il collasso di Repsol Honda, da espressione di supremazia a ultima ruota del carro

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“Sic transit gloria mundi” è una delle locuzioni latine più conosciute e utilizzate. In ambito sportivo viene chiamata in causa quando clamorosi insuccessi fanno seguito a grandi trionfi. In MotoGP si può applicare il concetto al team Repsol Honda, attualmente ultimo nella graduatoria riservata alle squadre. Incredibile, se si pensa all’aura che ha contraddistinto la struttura.

Il sodalizio nasce nel 1995, quando l’azienda spagnola diventa sponsor principale di HRC. È un periodo in cui le creature dell’Ala, le NSR500, non hanno rivali. Il dominio è pressoché totale. Non solo Mick Doohan vince Mondiali in serie, ma l’egemonia è marcata al punto tale da permettere al team di monopolizzare occasionalmente le prime quattro posizioni, come accade nella primavera del 1997 nei GP di Giappone e di Spagna (de facto quelli di casa per l’una e l’altra entità).

Le foto dei podi di Suzuka e Jerez de la Frontera si rivelano poderosi veicoli promozionali sia per la multinazionale nipponica che per la compagnia petrolchimica iberica. La livrea blu-arancio-bianco-rossa diventa rapidamente iconica, tramutandosi in sinonimo di vittoria e supremazia. È solo l’inizio, perché Repsol Honda si impone come potenza egemone del Motomondiale.

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Dopo Doohan, l’epopea vincente prosegue con altri centauri. Alex Crivillé, Valentino Rossi, Nicky Hayden, Casey Stoner e, soprattutto, Marc Marquez. Chi di dovere ha l’intuizione di non cambiare mai la grafica, eccezion fatta per qualche vezzosa modifica di carattere marginale, facendo passare il messaggio che vestirsi con determinati colori abbia qualcosa di magico e sia propedeutico a vincere.

In effetti, alcuni titoli hanno contorni mistici. Quello di Hayden (2006), seppur figlio delle circostanze, rappresenta la rivincita del marchio Honda su chi l’aveva piantata in asso per risollevare le sorti della grande rivale Yamaha. Quello di Stoner (2011) permette all’australiano di assumere una dimensione storica totalmente diversa. Non più “one-hit-wonder” con Ducati, bensì pilota capace nell’impresa di vincere con due Case differenti a distanza di anni.

Repsol-Honda nel motomondiale si tramuta nell’equivalente del Real Madrid nel calcio europeo, dei New York Yankees nel baseball americano o della Ferrari (quella vera) in F1. Le stagioni si dividono fra quelle in cui vince l’entità dominante e quelle nelle quali si impone “qualcun altro”.

Proprio per questo, è clamoroso vedere il team ricoprire il ruolo di fanalino di coda della MotoGP, addirittura con il 20% dei punti della struttura satellite LCR! Anche nei periodi di maggiore difficoltà, qualcosa veniva raccolto. Nel 2023 siamo al nulla cosmico. Lapalissianamente, l’infortunio di Marquez recita un ruolo preponderante in questo tracollo, ma anche Joan Mir non sta battendo chiodo. Il maiorchino sarebbe a sua volta un Campione del Mondo (2020) e avrebbe chiuso terzo il Mondiale 2021…

La stagione è ancora lunga. Mancano 16 delle 20 gare in programma e il tempo per risollevarsi c’è tutto. Di certo non per tornare in vetta, ma quantomeno per evitare di essere l’ultima ruota del carro, magari cominciando da Le Mans. Se un tempo la colonna sonora di Repsol-Honda era la ‘Marcia trionfale’ dell’Aida, oggi viceversa sarebbe ‘Viva La Vida’ dei Coldplay, perché il testo sembra scritto apposta per la situazione corrente.

Poi chissà, forse ci sarà modo di tornare ai fasti del passato. Altrimenti le dinamiche potrebbero evolvere in maniera traumatica. Perché essere alle spalle dei “Team B” di Ktm e Aprilia non solo è inaccettabile per Honda, ma anche per chi paga profumatamente allo scopo di dipingere le RC213V con i propri colori. Non più sinonimo di vittoria, bensì di irrilevanza.

Foto: MotoGPpress.com

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