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Basket femminile, Susanna Toffali: “Promozione bellissima, che emozione giocare all’Allianz Cloud. A Milano ambiente splendido fin da subito”
C’è il Sanga Milano che è tornato a dare alla città meneghina una squadra in Serie A1 dopo 31 anni. E poi c’è chi ne ha composto la storia in campo e non solo. Susanna Toffali ha rappresentato, e tuttora rappresenta, un elemento di grande spicco che sarà tra i punti fermi del club anche nella stagione 2022-2023. L’abbiamo raggiunta per un’intervista ricca di sensazioni e soprattutto di personalità, che mostra in grandi dosi attraverso ogni fase del proprio percorso.
Quanto è bella la promozione?
“Tantissimo. È uno dei risultati cui un giocatore di pallacanestro aspira per tutta la vita“.
Promozione peraltro conquistata con una stagione piena di soddisfazioni, 24 vittorie in stagione regolare, eppure con uno spavento a Mantova per i playoff.
“La stagione secondo me è stata pazzesca, siamo state una delle squadre più continue, se non la più continua, del campionato, e il fatto di aver concluso la stagione regolare al primo posto ci ha dato una consapevolezza incredibile. Consapevolezza che non abbiamo saputo tirar fuori in gara-1 contro Mantova. Non penso siamo state supponenti, siamo state proprio contratte. Loro sono arrivate con un’aggressività incredibile e ci hanno preso alla sprovvista, così siamo riuscite a ricaricare abbastanza in fretta, e ci siamo riuscite a portare a casa la serie in tre gare“.
In quel caso è stata l’unione del gruppo che ha fatto la differenza?
“Sì. Siamo un gruppo magnifico, Franz Pinotti è riuscito a mantenere lo stesso nucleo per più anni, perché alcune di noi sono qui da 5-6-7 anni e ogni anno è riuscito ad aggiungere le giuste pedine di cui avevamo bisogno. Essendo l’essenza del gruppo sempre quella, poi a lungo termine si vede soprattutto durante i playoff e nei momenti più difficili“.
Oltre a essere una specie di istituzione, coach Pinotti come allenatore e figura che effetto fa nella squadra?
“Franz è uno che ti da tantissima carica, parla durante tutta la partita e non ti lascia mai sola a giocare in campo. Una cosa che mi piace molto è che cerca di capire di cos’hanno bisogno le sue giocatrici per fare meglio. Ad esempio io sono una giocatrice che non ha assolutamente bisogno di ricevere un’urlata in faccia perché vado un po’ in crisi nel corso della gara. Lui questa cosa l’ha capita, e anche se è fortemente incavolato, se deve dirmi qualcosa me la dice con calma in modo che il messaggio possa arrivare forte e chiaro nella mia testa“.
Questo da l’idea di un tentativo di ricevere calma per poi poterla dare in campo.
“Sì, assolutamente. Lui è uno che riesce ad adattarsi alle giocatrici, noi nel corso degli anni ci siamo adattate a lui e siamo riusciti tutti a fare un passo verso l’altro in modo da poter lavorare bene insieme”.
Per te qual è stato il momento di svolta della stagione, quello in cui avete capito che ce la potevate fare?
“Fa molto ridere questa cosa, ma nel momento in cui abbiamo perso la finale di Coppa Italia. Siamo partite convinte nel corso dell’anno, siamo arrivate in finale di Coppa Italia, abbiamo perso, ci siamo guardate e abbiamo detto ‘va bene, siamo in grado di competere a questo livello, dobbiamo semplicemente farci trovare ancora più pronte’. Poi c’è questa strana leggenda metropolitana dell’A2 femminile per cui se vinci la Coppa Italia difficilmente vinci il campionato. Nel corso degli anni è capitato che chi vincesse la Coppa Italia, anche se era favorita, poi magari non salisse. Anche quest’anno è andata così. Abbiamo perso la Coppa Italia e ci siamo dette ‘va bene, a questo punto ci toccherà salire’. E così abbiamo fatto“.
Fra l’altro con un tuo finale di stagione, cioè i playoff, in cui il tuo indice di immarcabilità è diventato particolarmente elevato.
“Devo dire grazie alle mie compagne, perché se io trovo spazi per giocare, per attaccare, è perché loro sanno muoversi perfettamente. Se io ho degli assist è perché ho delle compagne che fanno sempre canestro, c’è poco da dire, ed è grazie a loro che riesco a giocare così. Da solo non riuscirei a fare niente“.
Compagne tra le quali vanno fatte alcune menzioni d’onore: Richelle van der Keijl, Elisabetta Penz, Tay Madonna.
“Trovo ci sia da menzionare chiunque. Nei momenti di maggiore difficoltà una volta a testa siamo uscite tutte. Basti pensare alla prima partita che ha fatto Benedetta Bonomi in finale. È entrata in campo con una mentalità pazzesca, ha piazzato da sola il break che ha spaccato la partita. Forse questa è la cosa che ci fa emergere maggiormente rispetto alle altre squadre. Io nei momenti di difficoltà non saprei chi marcare della nostra squadra, perché siamo tutte pronte a mettere canestri importanti e a mettere in difficoltà le altre squadre“.
Quante volte ve l’hanno detto durante i playoff che una squadra di Milano non saliva in A1 da 31 anni?
“Tantissime! Il peso della piazza si sente alla fine. Siamo la squadra femminile di una città importante, di una realtà importante, e sarebbe stato bello riportare finalmente Milano in A1 femminile. Per fortuna ci siamo riuscite a isolare completamente nei playoff e a pensare soltanto a mettere la nostra energia in campo. Poi i risultati alla fine sono venuti fuori e ce la siamo goduta insieme a tutta la città“.
A proposito di ambiente, quanto vi fa piacere che sia notoriamente molto caldo?
“È bellissimo, perché noi siamo pieni di bambini che vengono a tifarci il sabato alle sei. Vedere il Palazzetto così pieno di un tifo garbato, se posso permettermi di dirlo, perché abbiamo un tifo assolutamente tranquillo, caldo il giusto, bello e ci da tantissima carica. Ogni volta a fine partita andiamo a raccogliere tutti i bimbi e facciamo l’urlo tutto insieme, penso sia un momento emozionante tanto per loro quanto per noi“.
Capitolo Allianz Cloud: giocare lì dentro che sensazione è stata?
“È stata una scommessa, perché rinunciare al fattore campo in gara-1 non è da tutti, poi ovviamente a posteriori si dice che è una scommessa vinta, perché quando vinci sono stati tutti bravi a organizzare quello che poi è stato. Però è stata un’emozione incredibile, perché c’erano più di duemila persone e sfido chiunque di noi a contare le volte che ha giocato davanti a un pubblico del genere. È stato meraviglioso, il campo era bellissimo, trasudava di storia, vederlo così pieno di bambini, genitori, amici, amiche, parenti, tutti in arancione è stato fantastico“.
In Serie A1 stanno tornando le grandi città in generale e cestistiche. Bologna, Venezia, Sassari, ora Milano, le voci sulla nuova società di Roma. Non sembra tanto male.
“Sarà un campionato con belle trasferte a livello storico e geografico. Sicuramente sarà molto bello il tifo, perché quando si scontrano due piazze di due grandi città di sicuro il tifo è più sentito ed è più bello giocare una partita del genere“.
E poter giocare contro una squadra come Schio non capita tutti i giorni.
“No, assolutamente! Se penso che ci sono giocatrici contro cui giocherò l’anno prossimo che guardavo quand’ero piccola è incredibile. A volte devo fermarmi a pensare perché non mi sembra ancora vero“.
Parlavi del fatto di quand’eri piccola. Nel tuo percorso verso l’alto livello chi ricordi con più piacere?
“Se devo dirti un nome, ti cito i primi due allenatori che mi hanno indirizzata e sparata come un razzo verso questo mondo. Uno è Davide “Dacio” Bianchi, che per i più appassionati era il play della Stefanel Trieste (1988-1993, N.d.R.). Pronti via, col primo allenatore sono partita col botto perché avevo uno dei migliori playmaker in circolazione. Il mio secondo allenatore, ma non in ordine di importanza, è stato Andrea Ambrosi, delle mie zone (io sono del Lago di Garda). Il lavoro fatto da entrambi mi ha fatto più che appassionare a questo sport. Mi porto ancora dentro le cose che mi hanno insegnato loro più di vent’anni fa“.
Tu sei una di quelle poche giocatrici in attività che ha affrontato un campionato che oggi non si ricorda quasi nessuno, che è la Serie A3. Che cos’era quella serie, com’era strutturata?
“Era un ottimo anello di congiunzione tra la B e l’A2, perché venivano lanciate molto le giovani. Adesso secondo me l’A2 è un po’ quello che era l’A3. O venivano lanciate le giovani, o prese delle straniere per creare loro una rampa di lancio. L’ho giocato solo un anno, quando ero alla Lussana, a Bergamo. Quella è stata una cosa un po’ mistica, perché poi effettivamente negli anni ti parlano di A3 e ti dicono ‘ma come l’A3, esisteva l’A3?’, e tu dici ‘sì’. Era una rampa di lancio. C’erano squadre giovani miste a squadre che magari cercavano di fare la scalata con le giocatrici storiche della piazza. È stato un campionato molto interessante, durato solo un anno, però a quanto pare si ricorda ancora“.
Un campionato e una Coppa Italia che fecero a Carugate.
“Che andai a vedere“.
Dell’A2 fra l’altro dici bene, perché con questa divisione nord-sud con questo mix: chi vuole salire e chi, non potendo salire, deve puntare su altro.
“Trovo sia un ottimo campionato se hai delle buoni giovani nel vivaio per farle esordire. Non è così impegnativo in qualunque termine come l’A1. Avendo un’A2 puoi far esordire le tue giovani lasciandole libere di crescere, perché andranno sicuramente a giocare contro delle giovani di livello di tante altre squadre“.
Sei una persona che non sopporta particolarmente, sia dentro che fuori dal campo, quei momenti in cui si sente di fatti brutti.
“No, anzi. Io sono una che polemizza tantissimo quando succede qualcosa di brutto sia in campo che fuori, a livello di tifoserie. Io devo dire la mia, spesso lo faccio anche in maniera maleducata. Però quando qualcosa mi da fastidio devo comunicarlo e mi piace metterci la faccia perché non trovo corretto spesso rovinare un ambiente così bello come quello della pallacanestro con episodi legati all’odio e al razzismo“.
In campo si sente quanto sei battagliera e ci tieni a quello che fai.
“Assolutamente. In campo sempre testa bassa e dare il 200% per 40 minuti, se non di più. Se non do il 100% la settimana successiva la passo a rimuginare sulla precedente, quindi piuttosto dare il 100% e sbagliare, ma dandolo“.
Passo indietro: quando sei arrivata al Sanga, come ci sei arrivata?
“Ho fatto 2-3 arrivi al Sanga. La prima volta ci sono arrivata nel 2017. Ero in doppio tesseramento, ero arrivata per giocare le finali regionali Under 20 che abbiamo vinto. Siamo andate alle finali nazionali a Roseto, le mie prime in assoluto. L’anno dopo ho ripetuto lo stesso percorso, e a gennaio mi sono anche aggregata con l’A2 e ho cambiato squadra passando da Alpo a Sanga. Non era un bel momento, avevo bisogno di cambiare e questo cambio mi ha aiutato tantissimo. Ho trovato un ambiente splendido sin dal primo anno che mi ha permesso di crescere e di esprimere la mia pallacanestro“.
E poi hai giocato anche a Costa Masnaga, trovando delle ben più che discrete compagne di squadra.
“Sono andata lì a Costa per l’inizio di stagione due anni fa. Mi sono trovata benissimo. Quest’anno giocare la finale contro di loro è stato un po’ un colpo al cuore, è stata molto bella gara-2 perché ho giocato una finale in un palazzetto che, per un periodo, ho sentito come fosse casa. Ed è stato assolutamente emozionante. Sono andata via a metà anno per alcuni problemi personali, sono tornata al Sanga perché alla fine è la mia seconda casa e ho ritrovato l’ambiente che avevo lasciata e mi sono sentita subito ben accolta anche se non era un bel periodo“.
Ed era la Costa di Matilde Villa, Spreafico, persone che hanno fatto e faranno la storia del campionato italiano.
“Ho avuto modo di confrontarmi con campionesse dentro e fuori dal campo. Ho avuto il piacere e l’onore di marcare Matilde Villa durante gli allenamenti, e devo dire che è stato decisamente stimolante perché non potevo girarmi un attimo che era già scomparsa! Sicuramente è stato un ambiente e un periodo che mi ha fatto crescere, in modo da poter tornare al Sanga con qualcosa in più“.
E di Matilde c’è la sorella Eleonora che ora va in NCAA. A tal proposito, l’argomento è dibattuto: vai in America a tentare di migliorare oppure resti in Italia?
“È un dibattito che ho avuto anche io anni fa con me stessa. Penso sia la strada adatta ad alcune giocatrici, ma non a tutte. Bisogna capire se è la strada giusta o no. Io credo che sia un’esperienza pazzesca, ed Eleonora potrà sicuramente trarre giovamento da questa cosa“.
C’è stato qualche momento di sconforto e qualche persona che ti ha aiutata a superarlo, in tema cestistico?
“Sì. Il fatto di avere intorno un gruppo e una squadra del genere mi ha, nel corso degli anni, sempre aiutata a venirne fuori nel migliore dei modi. Se hai un bello spogliatoio, in campo viene fuori soprattutto a lungo termine“.
Si dice tu sia una collezionista di qualsiasi cosa.
“No, dai! Principalmente di scarpe, ma meglio non dirlo ad alta voce perché mia mamma non mi deve sentire! E poi anche di qualunque oggetto che riguardi Superman, che è il mio supereroe preferito da quand’ero bambina, quindi sono particolarmente appassionata“.
La Susanna del futuro come vuole essere?
“La cestista vuole sicuramente migliorare le lacune che ha e che sa che deve migliorare per competere a un livello più alto. La Susanna fuori dal campo sta cercando di costruirsi un percorso. Ho un obiettivo che mi sta tanto a cuore, quello di portare lo sport nelle scuole, nei contesti un po’ più difficili, nelle periferie. Sport come mezzo per riuscire a crescere in mezzo agli altri. Lavoro per la Fondazione Laureus e sono spesso impegnata nelle scuole di Corvetto, a Milano. Porto il basket come mezzo per imparare a stare in mezzo alle compagne, ad avere delle regole di gruppo. Ed è una cosa che mi emoziona sempre a parlarne. In gara-1, quando ho visto i bambini che sono venuti a vedere la partita, ho un po’ pianto. Questa cosa mi sta molto a cuore e cercherò di portarla avanti per più tempo possibile nel mio futuro“.
Anche perché si tratta di togliere dalla strada delle persone, e sappiamo la pericolosità di quell’ambiente alle volte.
“Loro crescono in strada, quindi avere qualcuno che li segue e insegna loro cose che magari dovrebbero imparare in altri modi, spero per loro sia di grande aiuto“.
Ci sono già obiettivi per la prossima stagione, anche nel breve?
“L’unica cosa che mi viene in mente è riuscire a portare la mia velocità anche a un contesto più alto. Vorrei riuscire a trascinare ancora più su per vedere se riesco a fare delle gare di velocità con le americane che sono in A1, vediamo“.
Volendo anche il sogno utopistico di schiacciare.
“Esatto! (ride) Vorrei seguire le orme di Awak Kuier, che però mi stacca di almeno una trentina di centimetri! Mi piacerebbe essere la prima donna bassa a schiacciare“.
Oltre ad avere una fisicità importante.
“Mia mamma e mio papà mi hanno passato degli ottimi geni. Mia madre era una pallavolista, saltava come un grillo. Mio padre ha giocato a calcio per tutta la sua vita. Hanno fatto un buon connubio a quanto pare“.
C’è qualche cosa di cui ti senti fiera, nel tuo lato combattente?
“Sono una a cui piace dire una parola di conforto alla compagna quando qualcosa non va. Mi auguro di riuscirci, ci tengo tanto a vedere le mie compagne tranquille di giocare e contente di essere sul campo. Quando vedo che qualcosa non va mi adopero per far sì che tutto vada meglio. tengo molto alle mie compagne e voglio che ci sia sempre un bel contesto disteso in cui sia facile per tutte giocare, non solo per me“.
Credit: Ciamillo