Ciclismo
Ciclismo, Beppe Conti: “Evenepoel rischia di fare come Pantani. Percorso del Giro d’Italia disegnato male”
Con il trionfo di Primoz Roglic, il Giro d’Italia 2023 è volto al termine. Beppe Conti, voce del ciclismo in Italia da decenni, è intervenuto nella trasmissione Bike2u, realizzata in collaborazione tra OA Sport e Sport2u, per parlare della Corsa Rosa e di molto altro. Conducono Gian Luca Giardini e Francesca Cazzaniga.
Iniziamo con un tuo parere generale su questo Giro d’Italia.
“Secondo me non era disegnato bene. C’erano troppe montagne e non si può pretendere che più aumenti le montagne più aumenti lo spettacolo. Dovrebbero avere un motorino per riuscirci, ma mi auguro nessuno lo abbia. 51mila metri di dislivello sono troppi, secondo me non ha senso. Tre tappe durissime nel finale, compresa la cronoscalata, è impossibile pretendere che ci si muova già a Campo Imperatore, poi le energie finiscono. Poi mancavano attaccanti come Vingegaard e Pogacar e quindi è andata così”.
Ripercorriamo il Giro dall’inizio. Remco Evenepoel con la vittoria a cronometro sembrava aver già chiuso la corsa.
“Evenepoel è andato fortissimo, è stato molto bravo. Per battere Ganna e tutti gli altri bisogna essere un talento incredibile, ma non lo scopriamo certo oggi. Peccato sia uscito così male dal Giro, forse anche mal consigliato. Alcuni dicono che sia voluto andare via perché la crono non era andato bene. Secondo me non si va via la domenica sera quando c’è il lunedì di riposo. In ogni caso bisognerebbe andare dagli organizzatori a giustificare la tua scelta, come fece Bernard Hinault nel 1980. Si rischia sennò di fare come Pantani, che ‘scappò’ dal Tour nel 2000 e non lo invitarono più. Anche perché non mi sembra fosse venuto gratis…”.
Il regolamento ora prevede che in caso di tampone positivo al Covid, non sia più obbligatorio comunicarlo. Tu cosa ne pensi?
“Io ho una figlia anestesista che si è fatta tutta la pandemia in sala di rianimazione. Lei mi ha detto che il Covid oggi non è più una malattia mortale e che non è più necessario fare i tamponi. Allo stesso tempo però se hai in squadra uno che sta male cosa fai? Sarà una cosa che farà discutere ancora. Secondo me le squadre fanno bene a fare i tamponi, anche perché c’è il rischio di miocarditi per chi ha avuto problemi al cuore. Credo sia giusto fermarsi tutto sommato”.
Andando avanti nel Giro, ci sono stati due bei momenti con le vittorie di Milan e di Bais. Cosa ne pensi, in particolare del primo?
“Qui mi prendo qualche merito: un paio di anni fa dissi che Milan poteva essere un Ganna più veloce e sembra che l’ho azzeccata. Continua ad essere un inseguitore eccezionale ma si sta dimostrando un velocista di grande talento. Ho saputo che sulle Tre Cime ha avuto un problema intestinale ed anche per questo a Roma non aveva le gambe. Deve ancora migliorare, sia nella scelta dei rapporti che nella posizione, e comunque ci vuole una squadra. Potrebbe trovarla alla Trek, dove potrebbe andare il prossimo anno. Non ci sono più i treni come quelli che aveva Cipollini, ma anche solo con un paio di corridori al servizio avrebbe potuto fare un tris di vittorie. Ora lasciamogli preparare bene i Giochi Olimpici di Parigi e poi che si dedichi alla strada”.
Oltre a quella di Milan, altre tre vittorie. Che idea ti sei fatto di questo nuovo che avanza?
“Per prima cosa bisogna dire che siamo stata la nazione che ha vinto più tappe. Certo, non si vince più come una volta, ma bisogna dire che il ciclismo è uno sport sempre più globale. Al Giro quest’anno hanno vinto 12 nazioni diverse, una volta non erano più di quattro, anche per questo le vittorie sono diminuite. Per il resto queste vittorie sono un ottimo segnale. Dainese è un ottimo velocista, chissà che non nasca una rivalità con Milan. Zana a me piace molto, ma ci andrei piano nel dire che è un uomo da corse a tappe. Deve prima provare a fare classifica in una corsa breve, poi vedremo. Per me non ha ancora le caratteristiche da Grande Giro, grandi montagne e grandi crono. Rimane un grande talento, che ha dimostrato di valere”.
10 tappe in linea su 18 sono state lasciate alla fuga. Questo non può penalizzare la corsa da un punto di vista dello spettacolo?
“Secondo me le squadre non erano super attrezzate per fare la corsa. Molti elementi forti non c’erano al Giro perché andranno al Tour e c’era questa spada di Damocle del finale del Giro. Servivano forze fresche per l’ultima settimana. Forse serviva una tappa in mezzo alle ultime tre durissime tappa”.
Parliamo della frazione di Crans Montana. Qual è il tuo parere sull’accorciamento?
“Io ho un sospetto: secondo me si dovesse arrivare a tutti i costi a Crans Montana per una questione economica. Il timore era che magari i corridori facessero uno pseudo-sciopero e si fermassero prima del traguardo. A parte questo era una tappa che si doveva fare. Le condizioni non erano certo da accorciamento. Poi magari la fai senza forzare, ma non era assolutamente da accorciare. Anche perché l’abbigliamento moderano ripara dal freddo in maniera straordinaria. Questo rimane uno sport difficilissimo, tremendo a volte, ma per fortuna si sono fatti grossi passi avanti”.
C’è una tappa che ti è piaciuta in particolar modo?
“Il finale è stato tutto bello. Dalla tappa del Bondone in poi è stato tutto degno di un gran finale. Mi è piaciuto Roglic, così come la grinta di Thomas. I corridori hanno dato veramente tutto e bisogna rispettarli per questo. Certo, se riuscissimo a far venire al Giro due talenti come Vingegaard e Pogacar sarebbe perfetto”.
Oltre 85 ore pedalate, solo 14” hanno fatto la differenza alla fine.
“C’è un grande livellamento al vertice, questo è ormai noto. Thomas ha sfiorato un’impresa, nessuno aveva vinto un Giro a 37 anni, neanche Bartali, Coppi o Magni. I corridori di oggi vanno fortissimo. Consiglio a tutti di piazzarsi su una salita e vedere quanto vanno forte su ogni pendenza”.
Un finale di Giro all’insegna del romanticismo: prima il vecchio compagno di camera di Roglic che lo aiuta dopo il problema meccanico, poi la vittoria di Cavendish a Roma.
“Solo il ciclismo sa raccontare queste storie. Incredibile che il vecchio compagno si sia trovato proprio nel punto giusto, dove tra l’altro non c’era tanto pubblico. Qualcuno ha avuto anche da ridire, ma ovviamente avrebbe vinto lo stesso. Una storia bellissima da raccontare, proprio come quella di Cavendish. Lui è simpatico, brillante, tra l’altro ama l’Italia. Io sinceramente non pensavo ci riuscisse, ma sicuramente la mancanza di energie di Milan ha aiutato”.
Spendiamo anche due parole per Damiano Caruso.
“Damiano è stato bravissimo. Con tutte queste montagne e tutte queste fatiche è stato bravissimo ad arrivare ai piedi del podio. Io torno a pensare all’opportunità persa lo scorso anno. Dopo il secondo posto del 2021 la scelta di mandarlo al Tour ancora non la capisco. Purtroppo il tempo passa anche per lui, e quest’anno, per quanto sia andato forte, non era quello di due anni fa. Arrivare comunque dietro a quei tre, ma davanti a tutti gli altri parla della sua serietà e della sua professionalità”.
Manca ancora un mese all’inizio del Tour, ma cosa ti aspetti in vista della Grande Boucle?
“Voglio vedere come sta Pogacar. A me risulta che non abbia fatto ancora distanza in bici dopo la frattura allo scafoide. Speriamo bene perché a me piace da matti. A me piacciono i ciclisti che non si esibiscono solo una volta all’anno, come era Lance Armstrong. Per me il campione deve essere in grado di replicare. E Pogacar è proprio questo: uno che corre per vincere la Sanremo, il Fiandre, il Tour ed il Lombardia. Vingegaard meno, perché magari va più forte, ma una volta all’anno. Mi auguro tantissimo che lo sloveno si riprenda per il Tour e che ci sia un altro bellissimo duello. Non mi piace l’idea dei nuovi Mondiali, ad agosto e con tutte le discipline insieme. Per me è una follia. Ganna e Milan dovranno scegliere tra la pista e la strada, mi sembra veramente che l’abbiano fatta grossa”.
VIDEO INTERVISTA BEPPE CONTI
Foto: LaPresse