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Basket, Gabriele Benetti: “Sono contento sia tornato l’entusiasmo a Pistoia. Fontecchio? Ai tempi ho litigato con quelli che non ci credevano”
Come giocare a Pistoia per pochi mesi eppure sapersi far voler bene: Gabriele Benetti è riuscito proprio in questo in una delle terre del basket per eccellenza in Toscana. Là dove la Serie A è tornata al termine di playoff dal sapore importante, con gli scalpi di Cantù (da 0-2) prima e Torino poi, l’ala di Vicenza di scuola Marostica e poi Virtus Bologna ha trovato anche una sua rivincita personale, dopo i numerosi infortuni che lo hanno frenato nella prima parte del suo percorso agonistico.
In questa intervista racconta davvero tanto: si va da Pistoia fino a Nicola Brienza, per passare anche dai nomi di spicco (uno in particolare) con cui ha diviso il campo al tempo delle Nazionali giovanili.
Quanta soddisfazione hai provato per la promozione?
“Tantissima, perché come ho detto anche ad altre persone per me è la chiusura di un cerchio, per quello che è stato il mio percorso per me fino ad oggi e per quello che poi ho avuto in questo percorso, dagli infortuni alle stagioni un po’ così. Quindi è una gioia immensa, e soprattutto arrivata con un gruppo e una squadra di persone veramente fantastiche. Sono super contento, e sto realizzando pian piano ogni giorno sempre di più. Le emozioni lì per lì erano talmente forti che non ci stavo capendo più niente“.
E Pistoia ci è arrivata senza pronostico a favore; il campionato non sembrava far presupporre quello che è avvenuto.
“Tralasciando il fatto che il campionato è un po’ balordo con la formula della fase a orologio, di certo non eravamo noi i favoriti. Durante l’anno abbiamo dimostrato di essere una squadra veramente compatta e che non ha mai mollato, e questo è venuto fuori alla lunga nei playoff. Anche il fatto di aver ribaltato una serie quasi chiusa, in cui eravamo con le spalle al muro: lì non abbiamo fatto altro che unirci ancora di più e tentare di dare il tutto per tutto soprattutto in campo. Quindi la soddisfazione è ancora maggiore: partiti un po’ come le cenerentole della griglia playoff siamo poi arrivati a giocarci una finale meravigliosa“.
Con un gruppo nel quale sono spiccati i due USA, Jordon Varnado e Zach Copeland, che hanno dato un contributo davvero importante.
“Sì. Il GM è stato veramente bravo a pescare due talenti veramente buoni. Devo dire bravo ai ragazzi. Io sono arrivato in corsa, ma loro si sono integrati veramente bene con il gruppo, quindi anche questo fa la differenza e in campo lo vedi. Italiani o americani, eravamo tutti molto legati e questo ha di sicuro favorito il lavoro loro in campo. Ha dato loro mano a essere in un ambiente in cui si va tutti d’accordo, si è più spronati, si sta serenamente“.
Però è anche un ambiente caldo.
“Assolutamente. La dimostrazione l’abbiamo avuta in gara-1 e gara-2 di finale con Torino in casa, quando dopo anni il PalaCarrara è tornato sold out. Un’emozione per gli stessi pistoiesi rivedere quel tifo e quella partecipazione da parte di un popolo che, negli ultimi anni, mancava. Emozioni incredibili e devo dire che a nostro favore il fattore campo è stato una cosa fondamentale, davvero il sesto uomo in campo“.
In questi anni Pistoia ha cercato di ricostruire: dall’autoretrocessione al fatto di poter ricostruire e creare un ambiente intorno ideale con la spinta per la risalita.
“È stata una presa di coscienza da grande squadra dire ‘facciamo un’autoretrocessione, cerchiamo di ripartire, ma con la voglia di fare qualcosa di buono, di grande, riportare entusiasmo’. Secondo me è una cosa da apprezzare da parte della società: ripartire, fare le cose come si deve. Questo è il coronamento di un lavoro sia dal punto di vista dei giocatori che dello staff, della società, del pubblico. Bello“.
Ci avete creduto ancora di più dopo la rimonta contro Cantù con tutti gli annessi e connessi?
“Sì, gara-5 da dentro o fuori è stata bellissima, anche lì un tripudio di emozioni. Secondo me è scattata quella scintilla, quella cosa in più in cui anche noi abbiamo capito che c’era qualcosa di speciale in questa squadra, che potevamo dire la nostra. Se pensi che abbiamo perso le prime due da loro, tra cui la prima che abbiamo perso noi, punto a punto, qualche libero sbagliato e qualche errore e l’abbiamo lasciata lì, e la seconda che abbiamo perso in 30 secondi nei 40 minuti giocati in cui abbiamo fatto una serie di errori che hanno portato a una decina di punti, spalle al muro altre squadre avrebbero sprecato tante energie a voler recuperare. Noi ci siamo compattati e abbiamo detto ‘questa serie la allunghiamo il più possibile e poi proviamo a vincerle tutte e tre’. E così e stato. Abbiamo battuto Cantù tre partite in fila ed è un risultato pazzesco“.
E quasi è una sorta di redenzione, perché dopo tutti gli infortuni che hai avuto si può dire ‘finalmente una gioia’?
“Decisamente sì. Ho 28 anni, ma è come se ne avessi 24 perché se tiriamo le somme ho perso quasi tre stagioni per gli infortuni. Tanta esperienza sul campo, ed è stato il secondo di fila in cui ho potuto giocarmi i playoff giocando minuti veri. Già quella era una grande soddisfazione. Pensare che quattro anni fa ero su un letto d’ospedale per la quarta volta e pensavo ‘come sarà il mio futuro?’, e oggi mi guardo che alzo la coppa, è qualcosa di magico. Sono stato ripagato per il fatto di non aver mai mollato. Ho sempre avuto quel briciolo di speranza che ho coltivato e alla fine il sogno si è realizzato. È la chiusura di questo cerchio, di queste sfortune che ho avuto, che però devo vedere in maniera positiva. Qualcosa mi hanno insegnato“.
L’idea di te a Pistoia a chi è venuta?
“A Pistoia ho avuto la fortuna di fare, tre anni fa, due settimane di allenamenti con loro quando facevano ancora la Serie A. Li conoscevo e mi conoscevano. Poi è successo che con l’infortunio di Del Chiaro avevano bisogno di una mano nel reparto lunghi e si è aperto questo spiraglio. L’ho colto subito, è una società che conoscevo, sapevano quali erano i loro obiettivi e si sposavano appieno con l’idea che avevo io. Sapevo quali erano loro obiettivi e questo si è sposato appieno con l’idea che avevo io. E’ nata così“.
E tu in questa squadra ti sei trovato particolarmente bene.
“Assolutamente sì, è un gruppo veramente fantastico. Devo assolutamente dire che se si è creato questo clima qui è sicuramente grazie a Della Rosa e Saccaggi che sono qui da tanti anni. Uno è pistoiese, l’altro lo è di adozione. E anche grazie a Carl Wheatle, che essendo inglese fa molto da collante. Sa bene l’italiano, sta molto con noi italiani, ma fa da collante con gli americani. Lo zoccolo duro della squadra che hanno voluto confermare si è rivelato anche perfetto per creare quell’alchimia all’interno dello spogliatoio“.
Carl Wheatle che è stato peraltro qualcuno di venuto dall’altra “era” di Pistoia, quella della Serie A.
“Oltre a essere una persona eccezionale, è anche uno di quei giocatori che non può mancare all’interno di una squadra vincente. Fa veramente di tutto, è utile in attacco, in difesa, è davvero un giocatore incredibile. L’ho amato per questi mesi che ero qui, poi mi ricordo quando ci ho giocato contro. E’ sempre stato un giocatore ostico perché difende forte, in attacco mette in difficoltà perché è anche fisico, poi adesso sta accumulando molta più esperienza, è in Nazionale britannica, ha giocato in Serie A. Giocatore che è cresciuto tantissimo, e che ha un sacco di potenzialità e punti forti“.
Cosa c’è nel tuo futuro?
“Non voglio parlarne troppo, mi sto ancora godendo quello che abbiamo fatto. Adesso è ancora presto“.
Nicola Brienza è un allenatore che forse è da molti sottovalutato, ma che, per quello che gli è stato affidato, ha sempre fatto molte grandi cose e anche stavolta ha avuto ragione lui.
“Non conoscevo Nicola di persona. Oltre a essere molto bravo dal punto di vista tecnico, è anche un allenatore che ci tiene molto al lato umano. Anche lui sa come far star bene e a proprio agio i giocatori, sa come tirar fuori il meglio da ognuno in maniera diversa, perché ovviamente l’approccio che ha con me rispetto a quello che ha con Della Rosa o Del Chiaro è diverso. Devo dire che in questo è molto bravo, a trovare quel rapporto tra allenatore e giocatore“.
Facciamo un passo indietro: ci sono stati gli anni in cui eri in Nazionale giovanile. E avevi compagni importanti: Simone Fontecchio, Diego Flaccadori, Nicola Akele, Marco Spissu, Tommaso Laquintana, Alessandro Cappelletti.
“Sono tutti giocatori che già allora avevano il futuro ben chiaro. Poi sono stati veramente bravi a trovare la loro strada, stiamo parlando di giocatori che ad oggi sono dei signori giocatori. Ho avuto la fortuna di giocare e condividere la maglia azzurra con loro. Anche quello è un ricordo che mi porterò sempre dentro“.
Il Fontecchio del 2015 quanto si vedeva che fosse così forte da guadagnarsi, come se l’è guadagnato, un posto agli Utah Jazz?
“Io ci ho fatto delle vere e proprie litigate con delle persone che non ci credevano o non la vedevano come la vedevo io. Per me Simone ha sempre avuto qualcosa in più degli altri. È veramente un talento fuori dal comune. Non mi sbalordisce il fatto che abbia fatto quell’exploit in Europa, poi in Nazionale, poi in NBA. Sono davvero super contento per lui, ma dentro sapevo che prima o poi ci sarebbe arrivato“.
E per le litigate c’è anche il motivo: negli anni di Milano sembrava si stesse perdendo, ha scelto di ripartire da Cremona e poi non s’è più fermato. Aveva talento, ma ha anche trovato qualcuno che lo sfruttasse.
“Sì, esatto. Ha fatto delle scelte, era anche molto giovane e magari faceva fatica a dimostrare quello che era veramente il suo valore. Poi sì, è andato in prestito a Cremona e lì ha fatto vedere di essere un ottimo giocatore di Serie A. Poi è andato in Europa e lì ha dimostrato di essere un fattore. Ci vuole il momento giusto e ci vogliono le occasioni per dimostrare tutto quello che ha fatto Simone“.
In quella squadra c’era poi anche un giocatore, Jacopo Vedovato, che poi ti sei ritrovato come compagno a Roma. Ritrovarti con uno con cui giocavi in Nazionale cos’ha voluto, e in generale cosa vuol dire?
“Sicuramente fa piacere ritrovare i propri compagni, perché anche in Nazionale si crea un certo tipo di legame. Chiaramente poi, quando l’arbitro fischia, si inizia a giocare, non si guarda più davanti se hai l’amico o un conoscente. Però è bello. Anche nelle finali appena passate sono rimasto a parlare con Luca Vencato, con cui ho condiviso parecchi momenti insieme. Fa piacere perché entrambi stavamo giocando una finale e comunque sia andata, e come sarebbe poi finita, è bello congratularsi e dire ‘bravo, perché ce l’hai fatta’, che poi è anche quello che è successo con lui. Poi una volta che scendi in campo e c’è da giocare si gioca“.
In tutti gli anni in cui è stata dura, cos’è che ti ha spinto a non mollare e continuare a perseguire la via della pallacanestro quando magari talvolta ci sarebbero state delle persone che non ce l’avrebbero fatta?
“Devo dire che sono stato parecchio chiacchierato. Anche quando sono tornato a giocare, nonostante l’ottima annata che ho fatto a Latina c’era qualche persona che qualche battutina la faceva. L’ultima volta che ho avuto un infortunio ho cercato di guardarmi un po’ più avanti e ho pensato ‘cavolo, se non ci provo adesso io lo so, per come sono fatto, che arriverò a 30-32-35 anni e dirò, se avessi continuato’? Io quella speranza l’ho sempre avuta, me la sono tenuta dentro e dopo l’ultima volta ho detto ‘basta, me la tengo per me, non dico più niente a nessuno, lavoro in silenzio’. E alla fine ho avuto ragione io. Quindi qualche sassolino dalla scarpa sono riuscito a levarmelo“.
Qual è stata l’importanza di uno come Daniele Magro che ha giocato Europei, a Milano, a Sassari nell’ultima finale scudetto della Dinamo?
“Lui è stato uno dei fattori. Ha fatto delle serie playoff da dominatore. Mi è stato raccontato che l’anno prima era arrivato a fine stagione un po’ più stanco. Probabilmente quest’anno, essendo un po’ più profondi come squadra, è arrivato anche un pochino a dare il meglio di sé e tenerselo per la fase finale. La sua esperienza sicuramente è infinita, poi lui è un lungo che soprattutto nel basket moderno inizia a vedersi un pochino meno. Ha fatto delle serie playoff in cui in campo era un fattore. Noi spesso, per larghi tratti, lo abbiamo cavalcato. Anche lui ha contribuito in maniera fondamentale al raggiungimento del traguardo“.
Una partita che, secondo te, ha costituito qualcosa che ha fatto capire che c’era la possibilità di farcela?
“Gara-5 a Casale Monferrato contro Cantù. Assolutamente“.
Festeggiare lontano da casa, a Torino: come hai sentito che si sia relazionato il pubblico torinese alla situazione, pur da sconfitto?
“È stato corretto. Sono rimasti a guardare la premiazione, hanno applaudito la propria squadra. Un clima veramente bello, piacevole. Vorrei sottolineare che mi ha fatto molto piacere rivedere quell’entusiasmo lì a Torino. Penso sia una piazza che se lo merita di avere il basket ad alto livello e merita di applaudire i propri giocatori come hanno fatto. Per quanto riguarda i nostri, pensavamo ‘pensa se dovessimo vincere, vinciamo fuori casa, non c’è nessuno’. In realtà i tifosi nostri sono venuti su in 300 e si sono fatti sentire. E la cosa che mi ha lasciato veramente a bocca aperta è che noi siamo rientrati direttamente dalla trasferta e noi siamo rientrati direttamente da quella e siamo arrivati circa alle sei a Pistoia. E lì ci hanno aspettati in altri 3-400, gente grande, bambini piccoli, tutti in mezzo alla strada ad aspettarci. Se pensi che hanno aspettato i giocatori per tutta la notte è una cosa fantastica, ti riempie il cuore di gioia. Veramente bello“.
Il che da anche l’idea di quanto sia sentita la pallacanestro a Pistoia, perché prima ancora della Pistoia Basket 2000 c’era un retroterreno importante.
“Assolutamente sì. Come ho detto, sono veramente contento che sia tornato l’entusiasmo in una piazza così. Di basket di alto livello ne hanno visto e parecchio, Pistoia merita questo e merita di avere il palazzetto pieno. Bello soprattutto vedere anche ragazzi molto giovani, anche la stesa Baraonda ne ha di molto giovani che saranno quelli che in futuro sorreggeranno la curva. Come ho detto prima, è fantastico vedere il sold out, il Palazzetto, dopo gli anni di Covid, la retrocessione. Se lo meritano tutto“.
Per te come senti sia stata la stagione? Sei sempre stato lì a mettere il tuo mattoncino.
“Ho avuto da subito un ruolo ben chiaro. L’allenatore mi ha parlato nei primi giorni, mi ha spiegato di cos’avesse bisogno. Sono contento che anche lui sia stato piacevolmente colpito dalla mia attitudine, dalla mia voglia di ricoprire quel ruolo lì. Magari non ho avuto il ruolo che avevo a Latina, ma se pensi che abbiamo vinto, lo abbiamo fatto di squadra, ruotando 9-10 giocatori. Vuol dire che ognuno ha portato il proprio mattoncino: c’era chi difendeva, chi si concentrava di più a far quello. Se c’era da tirar fuori una prestazione in attacco, in diverse occasioni gli interpreti sono stati diversi, vedi Della Rosa, Copeland, Varnado o Wheatle. Ed è bello avere una squadra in cui non è detto che i due americani debbano fare 20 punti tutte le volte altrimenti non vinci. D’altra parte ultimamente le squadre vincenti sono costruite così“.
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Credit: Ciamillo