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Ciclismo, Alberto Bettiol: “L’Italia non è favorita, ma deve credere di poter vincere il Mondiale”

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Alberto Bettiol sarà uno dei nostri punti di forza in vista del Mondiale di Glasgow. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente nella sua casa di Lugano alle prese con i preparativi per la partenza per San Sebastian, ultima corsa in vista dell’appuntamento iridato, e poi da lì andrà direttamente in Toscana in ritiro con la Nazionale dove troverà il ct Bennati e gli altri suoi compagni di Nazionale: “Dopo aver fatto Giro e Tour, ammetto di sentire un po’ la fatica ma sono contento della condizione con cui sono uscito dalla Grande Boucle. I favoriti per il Mondiale? Dico Philipsen e Pedersen, secondo me sono gli uomini più adatti a quel tipo di percorso, ma il meteo giocherà sicuramente un ruolo fondamentale“.

Al Tour la condizione era buona. Cosa è mancato per vincere una tappa?

“Mi è mancata una tappa adatta alle mie caratteristiche, la più adatta era quella che ha vinto Mohoric dove sono arrivato con i migliori. Lo scorso anno era un percorso un po’ più aperto, quest’anno era più duro e le tappe miste sono state vinte da scalatori”.

Al Mondiale avrai un ruolo importante in Nazionale: ti senti pronto?

“Sto discretamente bene, ho avuto modo di vedere da vicino i corridori perché secondo me il Mondiale lo vince un corridore che era al Tour, hai sicuramente una condizione diversa rispetto a chi sta preparando l’appuntamento iridato a casa”.

Il pensiero di provare a vincere c’è? 

“E’ sicuramente un obiettivo, l’Italia deve provare a vincere il Mondiale. Non partiamo come i favoriti numeri uno, ma noi saremo lì. Come Nazionale ci conosciamo bene, con Bennati abbiamo già corso l’anno scorso e quindi cercheremo di fare del nostro meglio per giocarci le nostre possibilità”.

La tua carriera è sicuramente ottima. Ti saresti aspettato qualcosa in più dopo aver vinto un Fiandre?

“Dopo il Fiandre ho avuto vari problemi, ci sono stati più intoppi di quanti me ne aspettassi, ma nonostante questo sono riuscito a risolvere tutto e continuare con la mia carriera. Potevo fare meglio certamente, ma anche peggio quindi sono abbastanza soddisfatto di come stiano andando questi anni. Vincere come prima gara della carriera un Fiandre ha i suoi pro e i suoi contro. Ci sono state un po’ di pressioni sia da parte mia che dall’esterno”.

C’é una corsa che ti piacerebbe vincere da qui a fine carriera?

“Le Strade Bianche, perché sono in Toscana. E’ una corsa a cui sono parecchio legato, ma ogni anno me ne succede una. Mi piacerebbe vincere o comunque essere al via della Parigi-Roubaix che non ho mai corso ed è una corsa che mi affascina molto”.

Per quanti anni ti vedi ancora in gruppo?

“Ancora un po’ di anni sicuramente, mi sento ambizioso e non arrivato. Sono in una fase della mia carriera in divenire, ogni anno imparo sempre qualcosa e voglio vedere i frutti degli insegnamenti di questi anni. Ho una squadra che mi fa sentire come a casa, non è un lavoro facile, ma bisogna trovare il giusto equilibrio”

Come è cambiato il ciclismo tatticamente nell’era di fenomeni come Van Aert, Van der Poel, Evenepoel? 

“E’ un ciclismo che si basa su altro, prima c’era un po’ più di tattica. Oggi invece sono cambiate tante cose, è un ciclismo che premia le azioni da lontano, l’aerodinamica, non si può più dare niente per scontato e le fughe spesso non si riescono a controllare; un esempio è la tappa del Tour che ha vinto Asgreen, sulla carta una tappa per velocisti, ma avendo lasciato andare la fuga che ha poi dato i cambi regolari non è più stata ripresa. In gruppo c’è meno controllo, più libertà e quindi più spettacolo. Oggi poi abbiamo dei materiali molto più performanti come i tubeless per esempio e l’abbigliamento. Inoltre è cambiato anche il metodo di allenamento, la media del gruppi si è alzata molto e oggi si pedala davvero forte sin dai primi chilometri”. 

Foto: Lapresse

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