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Ciclismo
Tour de France: bravo Ciccone, ma il ciclismo italiano va salvato dall’estinzione
Giulio Ciccone ha vinto la classifica dei Gran Premi della Montagna del Tour de France 2023. La maglia a pois torna in Italia 31 anni dopo Claudio Chiappucci, che la vinse per due edizioni consecutive nel 1991 e 1992. Va detto che ‘El Diablo’ in quelle occasioni giunse rispettivamente 3° e 2° nella classifica generale, mentre l’abruzzese è fuori dai 30 ad oltre due ore di distacco. Tutto questo per dire che Ciccone ha messo il mirino sull’obiettivo di diventare il miglior scalatore della Grande Boucle, accantonando sin da subito ogni velleità di portare a casa un piazzamento di rilievo, mentre per Chiappucci la maglia a pois arrivò dopo aver provato a lottare per il bersaglio grosso contro l’allora imbattibile Miguel Indurain.
Intendiamoci: per un movimento come quello italiano tristemente alla deriva, il risultato di Ciccone rappresenta un motivo di vanto ed orgoglio. In tempi di carestia, ci si accontenta di quello che si ha. Peraltro solo lo spagnolo Federico Bahamontes ed il colombiano Luis Herrera sono riusciti a conquistare la maglia di miglior scalatore in tutti e tre i Grandi Giri. L’azzurro vanta già in bacheca la maglia azzurra del Giro d’Italia 2019, dunque gli manca solo quella a pois della Vuelta per entrare definitivamente nella storia: chissà se ci proverà già a fine agosto. Ad ogni modo, nell’albo d’oro degli italiani che hanno primeggiato nella classifica dei GPM al Tour de France, il classe 1994 va ad aggiungersi, tra gli altri, a Giovanni Battaglin, Gastone Nencini, Fausto Coppi, Gino Bartali…Dunque diamo a Ciccone quel che è di Ciccone: domani a Parigi riceverà un prestigioso premio tutt’altro che scontato o semplice da raggiungere.
Tutto ciò premesso, non possiamo di certo voltarci dall’altra parte e far finta di niente: il ciclismo italiano, in Francia, ha recitato il ruolo di attore non protagonista. Erano appena 7 i nostri portacolori ai nastri di partenza, una vera miseria: nessuno di questi avrebbe potuto ambire ad un piazzamento di rilievo in classifica (Ciccone, come detto, ha sacrificato la graduatoria generale proprio per puntare alla maglia a pois). La speranza era quella di portare a casa almeno una vittoria di tappa, ma anche questa volta si è rimasti al palo. L’ultimo successo parziale risale al 2019 con Vincenzo Nibali: sono dunque trascorse da allora 84 frazioni senza un italiano in grado di alzare le braccia al cielo, nonché ben quattro edizioni complete (2020, 2021, 2022, 2023). Ovviamente salvo miracoli (improbabili) nella passerella di domani a Parigi.
Sappiamo da tempo che il ciclismo italiano è in via di estinzione, perlomeno per quanto riguarda il settore della strada. Si attende con speranza una possibile inversione di tendenza, eppure anche i risultati giovanili non inducono all’ottimismo, perlomeno non nell’immediato. Qualcosa di buono si è visto all’ultimo Giro d’Italia, in particolare con un Jonathan Milan che nei prossimi anni sarà protagonista delle volate al Tour de France (e garantirà, si spera, almeno delle vittorie di tappa) ed un Filippo Zana che ha mostrato delle interessanti qualità da scalatore: non sarà mai un Pogacar o Vingegaard, ma potrà ambire ad entrare con regolarità tra i top10 nelle corse a tappe di tre settimane. Diverso il discorso per quanto riguarda la pista, dove invece si vive una vera e propria epoca aurea, dove ai trionfi di fuoriclasse come Filippo Ganna e Jonathan Milan si aggiungono già diversi talenti in rampa di lancio, come hanno testimoniato i recenti Europei juniores e U23.
E qui sorge un quesito: perché da ormai diversi anni l’Italia brilla nei velodromi (che peraltro scarseggiano, se consideriamo che l’unico coperto resta quello di Montichiari) e peggiora gradualmente su strada? Perché i giovani abbondano su pista e faticano ad emergere tra i professionisti? È indubbio che il problema della sicurezza stradale incida, e non poco, sulle nuove generazioni. Oggi, per un genitore, avere un figlio che fa il corridore significa vivere con il cuore in gola ogni giorno finché non rimette piede in casa. Non è un caso che una ex-campionessa come Marta Bastianelli abbia dichiarato ad OA Sport che non vorrebbe che la figlia ripercorresse le sue orme. Le strade italiane non sono sicure per i ciclisti, inutile negarlo; non sono pensate, salvo qualche eccezione, per tutelare chi si sposta su due ruote. Gli incidenti e le tragedie sono purtroppo all’ordine del giorno. Ed ecco che la pista diventa un feudo rassicurante che accoglie i giovani, tranquillizza i genitori e costruisce campioni. Servirebbe una rivoluzione culturale che valorizzi la bicicletta e la renda un pilastro sociale come lo è, ad esempio, in Olanda e Belgio. Per farlo servono investimenti, un ripensamento della viabilità stradale, nonché un’educazione civica da attuare sin dalle scuole primarie. Ma qui sconfiniamo nella politica e, come sapete, OA Sport preferisce rimanerne alla larga.
Dunque ringraziamo Giulio Ciccone per averci regalato una piccola soddisfazione: domani ci sarà anche l’Italia sul podio a Parigi. Ma un sorriso non cancella di colpo una dura realtà da cui non sarà affatto semplice evadere in tempi brevi.
Foto: Lapresse