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Wimbledon, Carlos Alcaraz sale sul trono, Djokovic abdica dopo 5 set
Carlos Alcaraz è il nuovo campione di Wimbledon, il primo spagnolo dopo Rafael Nadal nel 2010. Il murciano resta numero 1 del mondo in virtù dell’1-6 7-6(6) 6-1 3-6 6-4 con il quale batte Novak Djokovic, che chiude una striscia d’imbattibilità che ai Championships durava dal 2018 compreso. Il serbo non perdeva sul Centre Court dalla finale del 2013 contro Andy Murray; per lo spagnolo classe 2003, invece, stagione perfetta sull’erba: 5 vittorie al Queen’s e 7 nello Slam che più di ogni altro è segno di storia. 4 ore e 42 minuti la durata di un match che rimarrà nella storia, per un’infinita qualità di motivi.
Per Djokovic l’inizio di questa finale ricorda quello della semifinale con Sinner; una palla break annullata (via servizio), un game lungo e, nel successivo, le tre chance in fila sono tutte del serbo. Il dritto tradisce Alcaraz, che perde la battuta a 15. Lo spagnolo, nei turni in risposta, gioca paradossalmente meglio che quando serve, e sul 30-30 del terzo game quasi trova un tweener-lob che Djokovic rischia di non valutare bene, ma è appena largo secondo il Falco. Il campione in carica ha altre tre chance, l’ultima delle quali va a segno per via di un rovescio incrociato molto complesso tentato dal murciano. Il parziale si conclude poco dopo, ed è un pesante 6-1 a favore del serbo.
Un calo di quest’ultimo, però, fa sì che Alcaraz possa immediatamente avere un temporaneo riscatto con il break che lo porta sul 2-0. Djokovic sbaglia di più, ma in questo momento sono entrambi a non esprimere il miglior tennis, tant’è che il controbreak arriva subito. Il quarto gioco diventa una lotta, ma ne esce bene il serbo. A quel punto, il match si fa un po’ più calmo, per certa misura. Se è vero che lo spettacolo non manca, è altrettanto vero che i turni di servizio vanno via facili fino al 5-4 per il murciano, quando il suo avversario va (molto) vicino a regalargli un set point, fatto scongiurato da un provvidenziale Challenge. Per il 5-5 Djokovic deve inventarsi un’irreale controsmorzata che strappa tanti applausi al Centre Court, il quale è comunque più dalla parte di chi è indietro nel punteggio.
Si arriva al tie-break, nel quale il serbo allunga subito, salvo bruciare il 3-0 con una palla corta mal gestita che significa 3-3. La lotta prosegue incerta, comprendendo anche un warning a Djokovic perché se ne vanno i 25″ per la prima sul 5-4 in proprio favore, ma quando la chance ce l’ha Alcaraz, dopo aver annullato quella del numero 2 ATP. Sul 7-6 pesca una risposta che fa saltare in piedi tutti i presenti: la serie di tie-break vinti in fila negli Slam da parte del serbo si ferma a 15.
Sotto il potenziale shock della situazione evidentemente imprevista, Djokovic inizia a sbagliare di più, soprattutto di rovescio, il che apre la strada al servizio strappato da Alcaraz a inizio terzo parziale (1-0). Tutto, però, va a riassumersi in un altro gioco, il quinto, che rimarrà nella storia di Wimbledon anche se non del tutto con merito, vista l’enorme quantità di errori di entrambi se rapportata ai (pochi) vincenti e punti spettacolari. 26 minuti, una discussione tra Djokovic e il giudice di sedia Fergus Murphy, 30 punti giocati e, alla settima palla break, arriva l’ulteriore allungo del murciano. Questo, per il serbo, è un segnale enormemente pesante, perché gli ultimi due game si trasformano in un calvario che lo porta dritto verso il 6-1, ma stavolta a suo sfavore. Ed è anche il tredicesimo che subisce nella sua carriera a livello Slam.
Per il numero 2 del mondo i problemi si fanno serissimi a inizio quarto set: la scivolata nel secondo game suona quasi da presagio, oltre a concedere due palle break ad Alcaraz. Djokovic si ribella a un destino che pare già scritto, ritrova l’uso del dritto e, sul 2-2, è lui ad andarsi a prendere la propria chance. Interviene il Falco a dichiarargli lunga una palla molto interessante. La seconda vede ancora il Challenge protagonista, stavolta su palla non lunga del murciano, che poi annulla comunque via palla corta. Alla terza però, il serbo sfrutta una demivolée che rimane sotto il nastro e poi manda un bacio, in tribuna, a qualcuno tra la folla, resta da capire chi e perché. Il sette volte vincitore avanza, a questo punto, in sostanziale tranquillità, e anzi nel nono game approfitta di un Alcaraz poco incisivo con due doppi falli, l’ultimo dei quali gli costa sia il 6-3 che l’approdo a quel parziale decisivo che, ai Championships, non si vedeva da quattro anni.
Si riparte subito coi fuochi d’artificio, perché lo spagnolo, sotto 30-0, s’inventa un passante lungolinea che gli vale l’immediata palla break, solo che la prima di Djokovic trova l’incrocio delle righe e il serbo, dopo altri sforzi (e momenti spettacolo), chiude il game. Tocca proprio a lui procurarsi una chance nel gioco successivo, ma viene sprecata con un dritto al volo ben sopra la rete. E guarda poi la palla, con quel dubbio sul fatto che, magari, lasciarla uscire sarebbe stato meglio dopo uno scambio durissimo. L’ultima parola ce l’ha l’iberico, che sull’1-1 con il passante di rovescio trova il modo di strappare la battuta al suo avversario (il quale, per tutta risposta, si sfoga dando una racchettata al paletto). Per Alcaraz si generano cori che ricordano quelli di uno stadio (o di Wimbledon 2001). Si arriva così fino al 5-4, e a cinque punti ricchi di tensione, con l’ultimo dei quali che regala il match point allo spagnolo con un servizio vincente. Ed è il dritto a regalargli il successo conclusivo: secondo Slam, primo sui prati per l’iberico.
C’è un solo punto di differenza tra i due a fine match: 177 Alcaraz, 176 Djokovic. In un match del genere la differenza è nei piccoli dettagli, e sono forse quelli che tradiscono il serbo (62% con i punti vinti con la prima contro il 70% dello spagnolo). Soverchiante la questione vincenti-errori gratuiti: 66-45 per il vincitore, 32-40 per lo sconfitto.
Foto: LaPresse