Ciclismo
All’Italia di Bennati non è mancato il coraggio di osare. Il sogno di Bettiol e una tattica garibaldina
“Non abbiamo paura di nessuno“. Tornano alla mente le dichiarazioni di Daniele Bennati alla presentazione della Nazionale azzurra svoltasi lo scorso martedì al Mugello. Sembravano frasi di circostanza quelle del commissario tecnico, invece la compagine italiana ha veramente corso un Mondiale da protagonista, facendoci persino balenare per qualche minuto nella testa il pensiero stupendo che potesse vincerlo.
I grandi favoriti della vigilia erano Mathieu Van der Poel, Wout Van Aert e Tadej Pogacar: non è di certo una sorpresa che siano finiti tutti sul podio. Mads Pedersen faceva parte della rosa dei primi 5 papabili al titolo ed è giunto quarto. Remco Evenepoel è stato l’unico a steccare tra gli uomini più attesi, ma evidentemente il non aver disputato il Tour de France ha messo il belga in una condizione di svantaggio rispetto agli avversari che avevano maturato una condizione migliore grazie alla corsa a tappe transalpina. Nel ciclismo moderno inserirsi tra questi mostri sacri appare oggettivamente quasi impossibile: sono oramai solo loro a spartirsi le grandi Classiche Monumento. Le sorprese sembrano ormai dimenticate, appartenendo ad un passato che non c’è più.
In queste condizioni appariva impensabile che l’Italia potesse vincere il Mondiale, ma lo stesso discorso va fatto anche per Francia, Spagna, Gran Bretagna, Germania e tutte le altre compagini che non possono beneficiare dei fenomeni sopracitati. L’Italia è stata l’unica però a tentare di opporsi in tutti i modi ad un destino ineluttabile. Gli azzurri non hanno corso per un semplice piazzamento, ma per provare realmente a far saltare il banco, con l’orgoglio e il coraggio di chi sa di rappresentare un grande Paese delle due ruote, seppur decaduto.
Al ct Bennati non si può imputare nulla: tatticamente la selezione tricolore non ha sbagliato una virgola. La competizione iridata è stata studiata nei minimi dettagli, senza lasciare nulla al caso. Gli azzurri hanno fatto la corsa, non l’hanno subita passivamente. Erano in testa al gruppo con Rota e Bagioli quando hanno messo in atto un forcing a poco più di 100 km dall’arrivo che ha letteralmente frantumato il gruppo. Trentin (sfortunatissimo e messo fuori causa da una caduta) e Bettiol sono sempre stati attentissimi a rispondere agli attacchi dei favoriti, provando di continuo a portare via un gruppetto. Proprio Bettiol ha fatto lungamente sognare con un attacco che non dimenticheremo, a poco più di 50 km dal traguardo: in solitaria ha raggiunto un vantaggio massimo di 38″. Purtroppo per lui, prima il lavoro del Belgio e poi l’accordo tra Van Aert, Van der Poel, Pogacar e Pedersen ha vanificato uno splendido sogno che è durato sino ai -20.
Nessun rimpianto, ad ogni modo. Anche qualora gli inseguitori si fossero ‘guardati’, dando vita ad un tatticismo esasperato, certamente non sarebbe comunque cambiato nulla. Per Bettiol, arrivato al traguardo 10° e stremato, probabilmente non sarebbe stato sufficiente neppure un minuto di vantaggio per contenere il mostruoso incedere del neo-iridato Van der Poel, autore di una cavalcata imperiale che non ha dato scampo agli avversari.
Insomma, l’Italia ha corso per vincere, per lunghi tratti ha anche sperato di potercela fare. A conti fatti, non è mai stata realmente vicina all’impresa, ma ci ha provato, ed è questo che conta. Una squadra che è andata ben oltre i propri limiti. Nelle prossime due edizioni torneranno di scena gli scalatori. E chissà che non ci si possa riprovare con Giulio Ciccone e Filippo Zana: a questa Italia non manca il coraggio di osare.
Foto: Lapresse