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Basket, Andrea Paccariè: “Il progetto Luiss ha dimostrato di essere competitivo, lo difendiamo a oltranza”
C’è un uomo che più di tutti è stato orgoglioso di aver portato la Luiss Roma alla promozione in A2. Si tratta dell’allenatore storico, Andrea Paccariè, che ha vissuto tutta la parabola in questo senso. Fino a dare alla squadra della nota università capitolina un traguardo che è un caso praticamente unico non solo in Italia: una squadra universitaria nel secondo massimo campionato. Nelle settimane successive al traguardo della Luiss abbiamo raggiunto coach Paccariè, mai banale quando si tratta di concetti da esprimere.
Questa promozione vostra è stata storica: non s’è mai vista un’università che sale in A2.
“Non s’era mai vista e nemmeno pensata come un’opzione. Neanche l’avevamo ipotizzata noi, a essere onesti“.
Quando avete capito di potercela fate per davvero?
“La domenica sera della promozione, verso le 21, abbiamo realizzato che, alla fine della festa, tutto quel battage intorno alla squadra si traduceva in una standing ovation per qualche cosa di assolutamente impensabile“.
Fra l’altro in una situazione, quella della Final Four di Ferrara, che ha dato adito a situazioni particolarmente diaboliche nel girone finale.
“Diciamo che la formula non ha aiutato nell’ultima giornata lo spettacolo complessivo. Questa situazione va rivista, ripensata e forse anche ricollocata nella sua importanza strutturale. Vorrei però ricordare che nelle prime due serate avevamo battuto Rieti e Vigevano: non è stato esattamente frutto di un artificio aritmetico quanto il frutto di una squadra che era arrivata lì vincendo il proprio girone di Serie B, eliminando Ozzano e Fabriano, vincendo a Ozzano e Fabriano, e poi vincendo a Ferrara contro Rieti e Vigevano“.
A Fabriano vincendo gara-2 in trasferta dopo aver perso gara-1 in casa, la sola seconda sconfitta casalinga in tutta la stagione.
“Esattamente. Quindi una squadra capace di vincere 14, 15, 16 volte fuori casa e che, alla fine, ha onorato il campionato in maniera costruttiva. Non una situazione di casualità dal punto di vista dei risultati, ma della formula che forse poteva essere strutturata in un’altra maniera. Se però facciamo il conto di partite vinte, partite vinte fuori casa, punti fatti, e di quella che è stata l’espressione di Ferrara, dove abbiamo vinto sempre, anche meglio“.
Vigevano era una piazza che voleva ritornare in alto. Di Rieti non serve neanche fare presentazioni. Dunque quadrupla, quintupla soddisfazione.
“La nostra soddisfazione nasce dal fatto che questo progetto ha dimostrato in Italia e forse anche in Europa di essere un progetto competitivo che può essere percorso, che può essere vincente e lo è stato in una situazione specifica, particolare. Ed è un progetto che coniuga questa dual career, dove permettiamo di giocare e studiare a giocatori di pallacanestro di buon livello. In questo momento si è dimostrato particolarmente vincente. E’ chiaro a tutti che la strutturazione delle squadre e delle società, degli organici, delle aspettative delle squadre che non sono andate in Serie A, cito a braccio Livorno, Roseto, Rieti, Orzinuovi, è quella di squadre con background strutturato anche di tifosi e organizzazione. Siamo orgogliosi di aver rappresentato una squadra di studenti che hanno ottenuto un risultato assolutamente impensabile“.
La Luiss è una realtà in cui non si fa un mercato propriamente detto, ma si fa qualcos’altro come sistema di reclutamento dei giocatori.
“Esiste la volontà dell’impegno di questi ragazzi di condividere un progetto che rappresenta la formazione culturale e lavorativa e la condivisione del progetto che porta anche dentro a un livello di pallacanestro. Il nostro reclutamento passa attraverso la volontà espressa di studenti, ragazzi e giocatori di inserirsi al livello di un contesto. A noi può capitare di non avere determinati ruoli, determinate annaate, una situazione d’incastro. Non possiamo scegliere ‘prenderò Paperino o Pluto’. Noi ci muoviamo un anno prima per cercare d’incastrare i posti dei ragazzi che hanno finito il loro programma, perché si sono laureati o vanno da qualche parte. Non è sempre scontato che un ragazzo va via in un ruolo e noi riusciamo a sostituirlo. Qualche volta bisogna arrampicarsi un po’. Tra l’altro nel corso della nostra annata per noi non è assolutamente possibile sostituire un ragazzo per nessuna ragione al mondo, che sia di infortuni o disciplinare. Quelli che si sono iscritti a luglio sono e arriveranno a giugno. Noi cercheremo nel frattempo di fare il meglio dal punto di vista tecnico e universitario per le caratteristiche di questo progetto, ma se abbiamo sbagliato o è successo qualcosa (come un anno e mezzo fa con quattro infortuni gravissimi, per cui la squadra a Natale era penultima), quello è e quello è rimasto. Poi fortunatamente abbiamo recuperato qualche ragazzo e abbiamo iniziato a giocare meglio, e il senso d’appartenenza ha fatto il resto. Quindi da quel punto di vista un anno e mezzo fa siamo stati premiati e abbiamo raddrizzato la baracca“.
Quest’anno la Luiss ha avuto Matteo Fallucca, giocatore con una storia, un passato importante, da Campione d’Europa Under 20. Si può dire che sia stato l’uomo-faro?
“Sì. Anche se a me piace, da allenatore, cercare di sottolineare l’importanza del gruppo, l’esistenza di un’identità di tutti. E’ indiscutibile che quello che ha fatto Fallucca, per non andare tanto lontani, con Vigevano ha del clamoroso. Quindi bisogna levarsi il cappello. Fallucca rappresenta quello che per noi è il target di quella che potrebbe essere la Luiss che verrà. Giocatori di alto livello, d’esperienza, d’alta professionalità, che a un certo punto della carriera decidono di cominciare a investire le loro capacità tecniche e risorse culturali, organizzative, personali, in una formazione che possa permettere loro da qui a x anni di trovare un dopo pallacanestro. Perché quello che sta facendo in questo momento Matteo è un master in sport e management. Lui è già laureato, sta frequentando questo master per verificare le sue capacità di inserimento reale nel mondo del lavoro. Da questo punto di vista cerchiamo di essere presenti, come università, anche con profili più alti di quello che è sempre stato il nostro standard. Dove comunque negli ultimi otto anni abbiamo fatto sempre i playoff. Poi esistono quelle congiunzioni astrali che comportano, come quest’anno, in cui la Luiss vince la B, va in B d’Eccellenza, la vince e partecipa alla poule per andare in A2 e va in A2. Questo doppio salto è chiaro che nemmeno se passava la cometa si sarebbe mai potuto pensare. Però il nostro procedere e strutturare la società in questa maniera è quello che poi ha sempre cercato di pensare, sognare, costruire“.
Nei suoi quasi due lustri in cui ha animato la Luiss, quali giocatori Le fa particolarmente piacere ricordare?
“Ce ne sono stati talmente tanti negli ultimi otto anni e nell’altra era che, complessivamente, ne saranno passati un centinaio che si sono laureati, che sono in giro per il mondo, che lavorano, che occupano posizioni di prestigio in tante situazioni importanti. Farei un torto a citarne uno invece di un altro. Mi piace invece ricordare di più che in queste giornate della promozione, perché da lì abbiamo cominciato a raccogliere i frutti della semina di questi anni, sono stati talmente tanti i messaggi significativi, gli attestati di stima, d’affetto nei confronti dell’università, che abbiamo scoperto che in questi 25 anni abbiamo lasciato in giro a tanti ragazzi che sono rimasti nel cuore, un po’ come nell’Alma Mater in America, talmente tanto legati che questo è poi il risultato del sacrificio e dell’impegno di tutti questi ragazzi succedutisi nel corso degli anni“.
Qui si è generata una cosa che negli USA non si potrebbe pensare mai. E’ come se un’università che gioca l’NCAA va a giocare con la G League. Quello che sta succedendo qui combina quello che si può definire un semiprofessionismo dell’A2 con il sistema universitario. Quasi impossibile a pensarci, eppure…
“Infatti noi stiamo cercando febbrilmente di organizzare le nostre giornate per aggiustare il tiro in queste situazioni. Questo è al di là di quella che può essere la comprensione. Quando presentiamo un progetto che sia di formazione culturale, lavorativa e un livello di pallacanestro fatto in una certa maniera. In esso questa cosa si può sposare in una maniera non competitiva per la situazione legata al campionato italiano. Noi confidiamo che questa cosa sia ancora vincente, sia ancora uno sbocco che trovi un sistema vincente anche a questo livello. Eravamo preparati per fare la B d’Eccellenza; il doppio salto è ultragratificante. Vogliamo fare in modo tale che questo progetto rimanga competitivo anche a questo livello“.
Ora ci sarà la Serie A2. Normalmente le squadre mettono insieme 1-2 stranieri. Come si organizza in questo senso la Luiss?
“Noi, fedeli al nostro progetto, ci stiamo muovendo per cercare soluzioni compatibili con esso, con giocatori interessati alla doppia carriera e procedere con la doppia formazione: studiare, fare master (chiaramente arrivano da laureati) e giocare a pallacanestro. Mi rendo perfettamente conto che questo target è complicato per il livello del campionato: pensare che possa esistere un giocatore competitivo per l’A2 che abbracci il progetto Luiss e venga a Roma a studiare può sembrare pretenzioso. Noi ci lavoriamo, è quello per cui siamo arrivati in Serie A2: difendere un progetto contro tutti e contro tutti, perché ci hanno detto per anni ‘se non li pagate non ci vengono, non esistono giocatori di questo livello, se fate la squadra così non vincerete mai, se fate la squadra senza pagare i giocatori non vincete, retrocederete e ringraziate Dio che fate i playoff’. Questo ci hanno detto per anni. Nel frattempo abbiamo fatto due finali per andare in A2, una con Nardò e l’altra con Cassino, abbiamo vinto la B. Non è stata una casualità. Il tentativo di difendere a oltranza il nostro progetto dev’essere assolutamente una possibilità. Abbiamo lavorato per anni perché le persone abbracciassero questo progetto. A Ferrara sono arrivati tutti quelli che volevano crederci, difendere e fare loro questo progetto“.
Capitolo impianto: dove giocherà la Luiss?
“Alzo le mani. Finché parliamo di università, di organizzazione, di come vogliamo fare la squadra, della nostra squadra, sono preparatissimo. Qui abbiamo tutte le assicurazioni del caso sul nostro trasferimento al Palazzetto di Viale Tiziano. L’Eur sappiamo benissimo che non è di nessuno. La città di Roma non presenta un’alternativa nemmeno per la B. Questo non è e non può essere un problema della Luiss, ma della città. Non credo di essere così presuntuoso di potermi arrogare il diritto di risolvere i problemi della città di Roma se per vent’anni, trenta, quaranta, cinquanta, altri molto più potenti di me non ne sono stati capaci. Noi abbiamo tutte le rassicurazioni nel caso. Io tutte le volte che leggevo e sentivo che la Luiss giocava in un impianto non all’altezza della situazione, un tendone del circo, un capannone dove si moriva di caldo o di freddo, ero assolutamente concorde con qualsiasi tipo di valutazione negativa di quello che era il campo dove giocava in casa la Luiss. Devo però fare due puntualizzazioni. La prima è che la Luiss ha vinto 11 partite fuori casa, i playoff a Ozzano, Fabriano e Ferrara. La seconda è che se a Roma non c’è un campo non è colpa della Luiss. Responsabilità nostra è tentare in tutte le maniere di giocare in un campo a Roma. Il problema della città non può essere addebitato a noi. Se la Capitale non riesce ad avere un impianto da 1000-1500 posti non è un problema mio“.
Ed è giusta l’osservazione: non può essere un problema di tutte le società di qualsiasi sport se a Roma la situazione è questa.
“A Roma a livello temporale siamo gli ultimi a poter parlare. Però se negli ultimi anni i campi non li ha costruiti nessuno, non esiste la possibilità di giocare, io non ci posso far niente, la Luiss poco, la politica dovrebbe fare qualcosa. Che dobbiamo fare?”
Lei, nell’anno delle Universiadi in Italia, a Napoli, ha allenato la Nazionale. Cos’è stato avere quell’incarico?
“Sicuramente un privilegio straordinario, tenendo conto del fatto che nella mia modestissima carriera ho allenato la Nazionale militare per 14 anni. Mondiali, Olimpiadi, Europei, Giochi Mondiali. Ho allenato la Sperimentale. Nell’ambito della Nazionale femminile, l’Under 18. Di soddisfazioni nel mio rapporto con la Nazionale ne ho avute tante. Allenare quella Nazionale a Napoli è stato un momento particolarmente importante, perché era una manifestazione di alto livello in una città così bella, calda e partecipativa e perché in quel momento rappresentava un punto che, come Federazione, secondo me cavalcare meglio. Rappresentava un momento in cui si poteva dare la possibilità di formazione ed esperienza internazionale di sviluppo e crescita a ragazzi che avrebbero potuto fare comodo al piano di sopra. Certe cose sono passate, certe altre no, ma entrare al San Paolo in quella serata non me lo leverò mai dagli occhi e dal cuore“.
Lei ha vissuto l’ambiente cestistico di Malta: come l’ha vissuto?
“Malta è un posto straordinario per partecipazione emotiva, coinvolgimento di tutti. Rimane un’isola che, con la superficie e i numeri che ha, in cui tutto quel che possono fare lo fanno. Sono stati anni estremamente interessanti perché ho avuto l’occasione di girare una grossa parte d’Europa. Moldavia, Romania, Irlanda, Cipro: un momento di grossa soddisfazione, come i campionati che abbiamo giocato. Abbiamo vinto gli Europei e dopo due anni abbiamo bissato in Irlanda con un argento bellissimo. In mezzo tante esperienze molto interessanti con i ragazzi: bronzo Under 18 a Cipro. Ci sono delle grosse potenzialità, delle belle prospettive da portare avanti. Penso che abbiano bisogno di continuare a giocare e fare esperienza in giro per l’Europa, perché è un progetto interessante“.
A proposito di progetto: ha parlato di com’è stata vista la cosa dall’esterno. Accanto al livello di scetticismo quant’è stato più importante quello di fiducia accordato dal mondo esterno alla Luiss?
“Il mondo esterno c’ha visto con incredulità più che scetticismo. Man mano che passavano le settimane aumentava l’incredulità per quello che i ragazzi stavano facendo. Erano trascinati da un senso collettivo di partecipazione e di quella che poteva essere la loro importanza all’interno di questo tipo di progetto, di incoscienza rispetto a quello che stavamo facendo. A un certo punto sembrava che le cose non potessero andare mai male. Il mondo esterno ha visto questa situazione come transitoria, ‘sì vabbè, mò questa l’avete fatta, adesso vedrai’. Solo che poi s’è tramutato nel primo posto in B, quella che sembrava una favola che avrebbe dovuto stemperare i suoi colori a un certo punto e ritornare in una realtà più consona per questo gruppo di studenti è diventata una cosa per cui i toni sono esplosi in una situazione incontrollabile secondo me anche da fuori“.
Di quelle esperienze citate con il femminile che cosa ricorda?
“Ricordo con tantissimo affetto le esperienze ad Alghero, che sono state clamorosamente interessanti dal punto di vista ambientale e d’affetto da cui siamo sempre stati contornati con la squadra di A in un campionato complicato, perché poi andavamo sempre a fare viaggi complessi, lunghi e faticosi. Nell’ambito del Settore Squadre Nazionali è stata un’esperienza lo stesso formativa, perché i Mondiali femminili, i raduni con l’Under 16 e 18-19 sono state esperienze clamorose. In Repubblica Ceca i Mondiali con le ragazze sono stati un’esperienza tra le più belle per conoscenza, esperienza generale, vedere così tante squadre d’alto livello, è stato un percorso molto interessante“.
Oltre a questo c’è stata un’altra situazione un po’ particolare: è stato a Olbia, in quella stessa società che vide ‘nascere’ Gigi Datome. Al tempo stava ancora crescendo, ma si sapeva e sentiva che c’era qualcuno che stava diventando importante?
“Beh, se devo essere onesto quando io sono andato a Olbia Gigi era già Gigi Datome, nel senso che era già stato a Siena, a Scafati. Non era ancora il Gigi dei Pistons e dei Celtics, ma era già tanta roba. Ricordo con tantissimo affetto quel periodo a Olbia perché è stato clamorosamente bello per la situazione logistica. Se non vi è mai capitato di vedere Olbia, Golfo Aranci e il resto, perdeteci 30 secondi a cercare perché parliamo di uno dei posti più belli del mondo. Al di là di questo, l’esperienza della B fu bellissima: facemmo i playoff, un grande campionato, ricordo la gente che era intorno alla squadra, i ragazzi li ricordo tutti. In queste settimane hanno anche avuto l’occasione di scrivermi, di ricordare quei periodi. Davvero tanto affetto e trasporto. Una delle esperienze più belle della mia vita“.
Tornando al femminile, con la squadra del 2014, c’erano: Santucci, Cubaj, Keys andate in Nazionale maggiore, Ciavarella iridata 3×3, Policari andata in Serie A. Un bel gruppo.
“Gran bel gruppo purtroppo funestato da una sequenza di infortuni quando stavamo a Taranto. Francesca Pan ebbe la mononucleosi, un’altra ragazza ebbe un grave infortunio. Le cose si misero un po’ storte. Non è stato un Campionato del Mondo dai risultati indimenticabili, perché questa sequenza di cose non ci ha aiutato, quando dovevamo partire, a mettere insieme l’organizzazione. Quelle erano ragazze super, poi hanno fatto parte della storia della nostra pallacanestro. Per me è stato un grandissimo privilegio poterci riuscire a fare un’edizione iridata“.
Credit: Ciamillo