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F1, “sette lustri” dalla scomparsa di Enzo Ferrari. L’uomo che diede “lustro” all’Italia come pochi altri grazie alla sua ambizione

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Enzo Ferrari

Quest’oggi cade l’anniversario della scomparsa di Enzo Ferrari, il quale terminò la propria esistenza terrena nelle prime ore del mattino di domenica 14 agosto 1988. Come da ultime volontà, la notizia della sua dipartita venne divulgata solo a esequie avvenute. Fu pertanto annunciata a mezzogiorno di Ferragosto. Il leggendario imprenditore scomparve alla veneranda età di 90 anni, tenendo saldamente il timone dell’azienda da lui fondata quasi fino alla fine dei suoi giorni.

Da quella data fatidica per la storia dell’automobilismo, sportivo e non solo, sono passati 35 anni. Un arco temporale pari a sette lustri. Sette sono i piloti laureatisi Campioni del Mondo a bordo delle vetture marchiate dal Cavallino Rampante con il Drake in vita (Alberto Ascari, Juan Manuel Fangio, Mike Hawthorn, Phil Hill, John Surtees, Niki Lauda, Jody Scheckter). “Lustro” è un termine con più di un significato, compreso quello di “vanto”.

Il concetto di “eccellenza italiana”, di cui ultimamente si abusa, si sposa invece perfettamente a  Ferrari. Difatti, dopo la seconda guerra mondiale questo cognome è stato motivo di vanto per il nostro Paese come pochi altri, rafforzandone la reputazione in ogni angolo del mondo. “Ferrari” è diventato sinonimo di perfezione e di altissima qualità. Non solo in ambito sportivo, sia chiaro.

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È entrato nel linguaggio comune, divenendo un modo di dire. Se si vuole indicare qualcosa che sia il cosiddetto “top di gamma” si può dire “è una Ferrari”. All’estero, il cognome indica immediatamente il massimo dello stile. Un esempio? Quando nel 1984 vide la luce l’iconica serie TV “Miami Vice”, i produttori volevano dotare i protagonisti di una Daytona Spyder. Non volendo rischiare di danneggiare uno dei pochissimi esemplari esistenti del modello, decisero però di usare una Corvette C3, “camuffandola” da Ferrari apponendo un Cavallino Rampante sul muso. La volontà di “dare un tono” a Sonny Crockett e Rico Tubbs spinse addirittura a “taroccare” una banale Chevrolet!

Quando a Maranello lo vennero a sapere, impallidirono, soprattutto alla luce del successo che il serial stava guadagnando. Si decise quindi di regalare (REGALARE, sia chiaro, non “vendere” o “affittare”) due Testarossa nuove di zecca alla produzione. Così Miami Vice ebbe la sua Ferrari vera e il Cavallino Rampante poté beneficiare di un’ulteriore vetrina pubblicitaria sensazionale.

Insomma, il Cavallino Rampante è diventato nel corso degli anni un vero e proprio status symbol. Perché? Semplice, Enzo Ferrari non si è mai accontentato, raggiungendo risultati ben superiori a quelli che in linea teorica le dimensioni della sua azienda gli avrebbero consentito di artigliare. Già, il Commendatore non si è mai seduto, cercando sempre l’eccellenza assoluta, fino alla fine. Nel corso del 1986, quando di anni ne aveva già 88, portò a Maranello John Barnard, all’epoca considerato il miglior progettista su piazza e tentò di ingaggiare Ayrton Senna, unanimemente ritenuto il pilota più promettente del Circus.

Se “Ferrari” significa ciò che significa, suscita le emozioni che suscita e rappresenta quanto rappresenta, il merito è tutto di chi ha voluto sempre puntare al successo. Senza compromessi. Una filosofia perseguita anche subito dopo l’interregno immediatamente successivo alla scomparsa del Drake. A metà anni ’90 non ci si beò dell’eredità lasciata da chi era venuto prima, ma si fece in modo di farla fruttare.

Oggi si può dire altrettanto? A giudicare dal modo in cui è stato approcciato l’impegno nel World Endurance Championship, culminato con il trionfo nella 24 ore di Le Mans del centenario, si direbbe che in certi ambiti quel modo di pensare sia rimasto inalterato. In altre categorie non si sa. Perché non si vince da 16 anni (and counting) e si rimane sempre impantanati nella stessa palude. Una situazione che, qualcuno, avrebbe considerato intollerabile.

Prima o poi le auree, anche quelle più luminose, si affievoliscono e si dissolvono se non vengono rinfocolate. L’importante è non sedersi e non accontentarsi, proseguendo a dare lustro al marchio, nel rispetto di chi lo creò, anche se il tempo passa e i secoli cambiano.

Foto: La Presse

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