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Calcio, Italia di seconda fascia. Azzurri in via di estinzione, ai club non interessa la rovina della Nazionale

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Spalletti

Siamo caduti in basso. Fa male, è difficile, forse impossibile accettarlo, ma lucidamente non siamo sorpresi: ed è forse la cosa peggiore, perché non si intravede una possibile inversione di tendenza. Guardiamo il periodo dal 2017 al 2023. L’Italia ha mancato la qualificazione a due Mondiali, ora il rischio è di guardare da spettatori anche la prossima rassegna continentale. Il trend di questa epoca storica è quello di una Nazionale che fa fatica a partecipare ai grandi eventi. La vittoria (che a questo punto non è esagerato definire miracolosa) degli Europei 2021 ha rappresentato l’eccezione, non la normalità.

Non c’è allenatore che tenga. Da Mancini a Spalletti il materiale umano non poteva di certo mutare ed appare oggettivamente di qualità modesta. Andiamo a prendere, singolarmente, gli undici titolari di ieri contro la Macedonia del Nord: chi di loro è all’altezza di un calcio internazionale, diciamo da Champions League? Sicuramente i due terzini Di Lorenzo e Dimarco, il difensore centrale Bastoni, le due mezz’ali Barella e Tonali: fine. Qualcuno potrebbe obiettare che anche Donnarumma lo sia e, sino ad un paio di stagioni fa, saremmo stati d’accordo; tuttavia l’estremo difensore campano ha vissuto una indiscutibile involuzione da quando ha lasciato il Milan per volare al PSG: oggi possiamo ancora inserirlo tra i migliori 10 portieri d’Europa? Per il resto un difensore centrale che non ha mai fornito grandi garanzie (Mancini), un regista che regista non è (Cristante), un’ala che nel Napoli dello scudetto ha scaldato a più riprese la panchina (Politano), un esterno offensivo che solo a 28 anni sta iniziando a maturare le prime esperienze al di fuori dei confini nostrani (Zaccagni) e un attaccante che ha sempre avuto un rapporto controverso con la Nazionale (Immobile). Anche gli innesti della ripresa non hanno di certo rubato l’occhio per la qualità, anzi.

A casa sono rimasti, tra infortuni e problematiche legate alla condizione di forma, Acerbi, Pellegrini, Berardi, Chiesa, Scamacca. Avrebbero fatto comodo, indubbiamente. Ma è altrettanto vero che anche con loro la realtà non cambia radicalmente, anzi. L’Italia è oramai una Nazionale di seconda fascia sulla scena internazionale. Lo è da sei anni, se si eccettua la meravigliosa parentesi, per chissà quanto tempo irripetibile, firmata da Roberto Mancini nel 2021.

Sapete qual è il vero problema? Questa situazione addolora tifosi e semplici appassionati, ma non tange in alcun modo dirigenti e presidenti delle squadre di club. Molti tendono a puntare il dito contro la FIGC, ma è un errore: cosa può fare la Federazione se ormai il numero di italiani in Serie A è di poco superiore al 30%? I risultati dalle compagini giovanili stanno arrivando e sono sotto gli occhi di tutti. Quest’anno l’Italia è giunta seconda ai Mondiali U20 ed ha vinto gli Europei U19: se mancassero i giocatori di talento o se la Federazione lavorasse male, tali risultati non arriverebbero. Andate però a vedere quanti di questi giovani giocano in Serie A o, perlomeno, siano stati oggetto di trattativa in sede di calciomercato. Ve lo diciamo noi: quasi nessuno. La marea straniera che dall’inizio del Nuovo Millennio ad oggi ha invaso il Campionato non accenna in alcun modo ad arginarsi. Non solo non si intravede un’inversione di tendenza, ma la sensazione è che gli italiani si conteranno sempre più sulle dita di una mano. Un esempio? Il Milan lotterà per lo scudetto schierando sovente una squadra con 10 stranieri e 1 italiano (Calabria).

Il risultato è che il ct, in questo caso Spalletti, si ritrova a convocare giocatori semplicemente perché italiani, non avendo alternative o possibilità di scelta in determinati ruoli. Una situazione identica, peraltro, a quella del basket. Cosa può fare la Federazione? In Serie B ha previsto degli incentivi economici per le squadre che fanno giocare gli italiani: una scelta lungimirante e da apprezzare. Ma in Serie A i margini di manovra non consentono rivoluzioni. Non si può, ad esempio, imporre un numero minimo di italiani in campo, perché si andrebbe in contrasto con le norme comunitarie. La formazione dei calciatori italiani dovrebbe partire dai vivai dei club, ma salvo rare e virtuose eccezioni (come Empoli ed Atalanta), quasi tutti reputano molto più semplice andare a pescare profili esteri già formati, piuttosto che investire risorse per progetti di lungo periodo e senza la certezza di rientrare nei costi.

Tutto ciò premesso, non può stupire che l’Italia faccia ormai fatica anche solo a qualificarsi a qualsiasi competizione, con la triste consapevolezza che ormai, in partita secca, può veramente perdere o pareggiare contro chiunque. Il miracolo di Mancini nel 2021 era maturato grazie al gioco che aveva saputo attuare l’ormai ex-ct jesino: il collettivo aveva camuffato le carenze dei singoli. La stessa strada proverà a percorrerla Spalletti, ma il tempo stringe e la situazione di classifica diventa sempre più precaria.

Foto: Lapresse

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