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C’era una volta la Ryder Cup tra USA e Gran Bretagna. L’avvento dell’Europa ha mutato i valori

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Arnold Palmer

C’è stato un tempo in cui la Ryder Cup non era la sfida Europa-USA. Un tempo neanche troppo lontano, a dire la verità: gli anni, però, iniziano a passare da quel 1979 in cui si ebbe la svolta. In origine, infatti, il confronto era legato a due sole entità golfistiche, evidentemente quelle dove lo sport attecchiva più che in altri luoghi: la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.

La storia nasce così: nel 1920 Golf Illustrated scrisse alla PGA of America di mandare da 12 a 20 golfisti all’Open Championship con sottoscrizione popolare. La sfida fu raccolta, e da queste premesse nacque anche una primissima sfida a Gleneagles giocata prima di un evento di preparazione all’Open. Vinse la Gran Bretagna 9-3 (i match erano 1o singoli e 5 foursome, dal momento che dagli States non era partito Harry Hampton e Jim Barnes si era reso indisponibile). Chi ebbe l’ultima parola fu Jock Hutchinson, che riuscì a conquistare l’Open.

Successivamente, arrivò Samuel Ryder che decise di mettere in palio la coppa che porta il suo nome per un match tra professionisti britannici e americani. L’intenzione era di cominciare con il 1926 a Wentworth, ma, per tutta una serie di circostanze, la coppa finì per non essere assegnata quell’anno (il match comunque ci fu e i britannici vinsero 13-1). Si cominciò così dal 1927: fu varato il Deed of Trust, e fu così che la Ryder ebbe la possibilità di avviarsi nel Massachusetts. La prima vittoria fu degli USA; 9,5-2,5 con quattro foursome e otto match singoli disputati su due giorni.

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Si decise, per ovvie ragioni pratiche, di portare in scena la Ryder Cup ogni due anni, con l’alternanza di sedi tra britanniche e statunitensi. Prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale l’equilibrio c’era, con quattro vittorie americane e due della Gran Bretagna. Poi il divario è enormemente aumentato, anche per la comparsa di figure che hanno fatto la storia del golf sul fronte USA.

Per rendere l’idea, nei Major del dopoguerra, e fino al 1979 non compreso, i vincitori della Gran Bretagna o dell’Irlanda del Nord sono stati appena quattro: Fred Daly, Henry Cotton, Max Faulkner e Tony Jacklin (che, però, ha avuto il merito di ridare all’Inghilterra lo US Open nel 1970, dopo ben 46 anni di astinenza). Gli USA, dal canto loro, non dominarono completamente la scena solo perché, il più delle volte all’Open Championship, trovavano avversari come Peter Thompson, Bobby Locke e soprattutto Gary Player, che invece contro gli States ha vissuto un’inenarrabile quantità di confronti.

Simboli di questo dominio americano furono Ben Hogan e Sam Snead negli Anni ’40 e ’50, poi venne il tempo di Arnold Palmer e Jack Nicklaus, con Lee Trevino che si è rivelato anch’egli un personaggio di grande spicco negli anni successivi a Palmer e contemporanei a Nicklaus. Con queste premesse si capisce perché, tra il 1947 e il 1971, i risultati siano stati quasi sempre colorati di rosso States: la Gran Bretagna ottenne una sola vittoria, nel 1957, e pareggiò nel 1971 sul 16-16 (ma gli USA si tennero la coppa, avendola vinta due anni prima).

In questi anni cambiarono parecchio anche i format: fino al 1959 si giocavano quattro foursome da 36 buche nel primo giorno e 8 match singoli ancora su 36 buche nel secondo. Nel 1961 si cambiò, raddoppiando i confronti, ma inserendoli su diciotto buche e quattro sessioni, quindi nel 1963 e fino al 1971 si andò avanti così: 8 foursome nel primo giorno, 8 fourball nel secondo e 8 match singoli nel terzo. Pian piano, le cose si aggiustarono fino al 1979, anno dal quale è arrivato il format attuale che tutti conosciamo (foursome e fourball nei primi due giorni, 12 match singoli nel terzo).

Furono anni di grandi cambiamenti, quelli dal 1973 al 1979. Innanzitutto, nel 1973, per aumentare la competitività, si decise di inserire anche i giocatori dell’Irlanda in quanto tale. Primo di questi fu Christy O’Connor Senior, 10 top ten in carriera all’Open Championship. Quell’edizione fu effettivamente combattuta per due giorni, ma nei match singoli gli USA dilagarono (13-19). E anche nel 1975 e 1977 la storia non cambiò minimamente. A quel punto, però, Jack Nicklaus già stava spingendo per inserire i giocatori dell’Europa continentale. Vari talenti stavano nascendo, di lì a due anni Seve Ballesteros avrebbe vinto l’Open Championship e sarebbe diventato tra i golfisti più influenti del suo tempo insieme a Bernhard Langer. Spagna, Germania: due luoghi totalmente nuovi che portarono, nel 1979, ad allargare definitivamente all’Europa continentale  la selezione per la Ryder.

Nei primi anni non cambiò molto, nel senso che nonostante tutto la presenza soprattutto inglese e scozzese fu preponderante e gli States continuarono nella loro serie vincente. Tuttavia, dal 1985 (l’anno di un’autentica onda spagnola con Ballesteros, Manuel Piñero, José María Cañizares e José Rivero), il rapporto prese a invertirsi totalmente, con l’Europa a vincere sempre in serie e gli Stati Uniti a trovare soltanto un’unica conferma della coppa, quella del 1993 (dopo un’accoppiata di anni in cui tra Ballesteros e Paul Azinger ne accaddero di tutti i colori). Spesso sono i team europei a vincere, ma gli USA, quando lo fanno, di solito sono molto netti. Oggi la Ryder è realmente ad altissima competitività, e questo è forse l’anno in cui, complessivamente, regna un equilibrio che era difficile a vedersi dai tempi di Celtic Manor e del miracolo di Medinah.

Foto: LaPresse / Olycom

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