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Tiro a volo, Giovanni Pellielo: “Non era facile credere in me a 53 anni. Ai Mondiali avevo un profondo dolore”

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Dall’impresa messa a referto ai Mondiali di tiro a volo Baku è passata circa una settimana, eppure le emozioni non si sono “calmate”, anzi: sgorgano in un misto di felicità e commozione per quanto è stato fatto e come è stato fatto.

OA Sport ha intervistato uno dei totem dello sport italiano: quel Giovanni “Johnny” Pellielo che all’età di 53 anni è riuscito a piazzare la zampata vincente nel trap maschile andando, sulle pedane dell’Azerbaijan, a conquistare un pass olimpico pesantissimo per l’Italia. Il sesto posto conclusivo, al termine di un concorso di incredibile livello, non impressiona minimamente. E’ un elemento in più di un dialogo a cuore aperto.

Giovanni, ci puoi portare dentro la tua impresa, questo incredibile risultato?
“Vivo questo risultato in due dimensioni: da una parte c’è chiaramente la gioia, dall’altra un nodo alla gola per la scomparsa di mia madre, avvenuta proprio nei giorni precedenti ai Mondiali. L’idea di non avere potuto farle vedere quello di cui sono stato capace chiaramente mi dispiace. Il mio animo è combattuto: è difficile metabolizzare tutto quello che mi è successo. Per me, la mamma è stata una figura di riferimento: ho vissuto con lei fino all’ultimo. Mi viene in mente in questo momento un’immagine: quella di lei che, con i suoi sforzi economici, mi compra il primo fucile”.

Passiamo ora dagli aspetti emotivi a quelli tecnici: cosa è successo a Baku?
“I miei compagni di nazionale sono andati a svolgere un training camp sulle pedane del Mondiale nella settimana dal 23 al 30 luglio. Io invece non ero lì presente: ho rinunciato alla partenza spiegando al direttore tecnico Marco Conti la situazione che stavo vivendo. Sono arrivato quindi in Azerbaijan con qualche giorno di ritardo, avendo la possibilità di provare pochissimo. Sapevo però, essendoci già stato, che  era un campo tecnico, magari anche con tanto vento e poco senso di profondità.
Da lì però in me è scattato qualcosa: i Mondiali, le carte olimpiche in palio. Sapevo di avere un Everest di fronte ma piano piano ho cominciato a capire che ce l’avrei potuta fare. Poi è iniziata la gara: punteggi altissimi, stratosferici, eppure non ho mai smesso di crederci, sino allo shoot off che ho vinto. In quel momento dopo aver preso la carta olimpica ho capito che per me la gara fosse finita”.

Ecco, parliamo dei punteggio e dello shoot off: che momenti hai vissuto?
“Alle Olimpiadi di Rio ho fatto 122 in qualifica e ho staccato il pass per la finale con il primo punteggio, qui con 123 ho dovuto spareggiare. Il livello si sta alzando, ma qui siamo andati oltre: su questo campo questi scores non si erano mai visti, anche perché le condizioni non erano mai state così favorevoli. Dopo il primo giorno avevo uno score di 73/75: ero 27esimo, mi sono reso conto che sarebbe servito un qualcosa di straordinario, di pieno, altrimenti anche con un solo errore sarei rimasto fuori, come è successo ai miei compagni. E’ iniziata la seconda giornata: ho trovato un 25/25. Li ho capito che c’ero. Poi è successo qualcosa di difficilmente ripercorribile: anziché salirmi la tensione, sono riuscito a trovare una dimensione tutta mia, probabilmente anche legata ai miei pensieri e alla situazione che avevo vissuto. Avevo una serenità incredibile addosso: ero imperturbabile, un guerriero. Siamo arrivati allo shoot off. Eravamo in 7, tutti fortissimi: all’inizio pensavo di non farcela, poi ho pensato positivo, con gioia e consapevolezza. La vita è questa: ho sparato e rotto un piattello dopo l’altro sino a prendermi lo spareggio”.

Dopo aver realizzato quanto avevi fatto hai affrontato la finale, ma si può immaginare che la carica non fosse quella solita. E’ corretto?

“In seguito allo shoot off ho avuto un down emotivo. Avrei quasi chiuso l’attrezzatura con il fucile per andare via. Nella mia carriera ho vinto quattro mondiali, unico insieme a Michel Carrega (tiratore francese degli anni ’70, ndr), vincerne un quinto non mi avrebbe cambiato nulla. L’ho sentito: non era quello il momento. L’obiettivo era la carta e così è stato”.

Infine un’ultima domanda: la tua carta non è nominale, ma bensì contingentale, ossia di proprietà dell’Italia: ti aspetti di essere scelto per le Olimpiadi di Parigi 2024?

“La mia carta, così come quella conquistata da Mauro De Filippis, è appunto della squadra. Il mio augurio è quello di far parte della formazione italiana per le Olimpiadi di Parigi 2024. Intanto, dal mio punto di vista, non posso che ringraziare tutte le aziende che mi hanno sostenuto, il mio Gruppo Sportivo Militare (Fiamme Azzurre), il presidente della FITAV, Luciano Rossi, e soprattutto il direttore tecnico Marco Conti: ha sempre creduto in me, anche se non facile farlo. Io ho 53 anni: non era semplice pensare che uno come me potesse ancora fare una cosa del genere. Nel momento in cui ho rinunciato al training camp per stare vicino a mia mamma – dice con commozione – l’ho chiamato per spiegargli la situazione e lui ha capito dandomi fiducia e dicendomi di non preoccuparmi perché ai Mondiali ci sarei stato lo stesso, anche con qualche allenamento in meno. E’ stato un attestato di fiducia, si è esposto per me, e sono contento di aver ripagato la sua fiducia”.

Foto: FITAV

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