Pallavolo
Volley femminile, a Lodz hanno perso tutti: azzurre, Mazzanti e la Federazione
I sorrisi, che hanno caratterizzato gran parte del cammino estivo di un’Italia eliminata ai quarti di VNL, quarta agli Europei in casa, non qualificata in un girone abbordabilissimo per i Giochi di Parigi, sono (finalmente) spariti dai volti delle azzurre, dello staff tecnico e, probabilmente, anche da chi in federazione ha avallato tutte le scelte che hanno portato a questo fallimento totale. Perchè da sorridere c’era poco anche prima.
Perchè con i sorrisi hanno fatto credere che ci si divertisse in campo, fuori, in pullman, in albergo, anche se dai social sono spariti i “reel” e le “stories”, messe sotto accusa quando il bronzo ai Mondiali sembrava uno scempio e scomparsi con il risultato di perdere tutto ciò che si poteva. Nella pallavolo, come in ogni altro sport, ci si diverte quando si vince e qui tutti ce l’hanno messa tutta per rompere un giocattolo a cui bastava un’aggiustatina, con un pizzico di pazienza.
Il primo sconfitto è Davide Mazzanti. Ci ha messo la faccia, ha voluto dimostrare che si poteva vincere anche senza chi metteva a terra 40 palloni a partita, non ha avuto il coraggio di far giocare assieme due giocatrici che potevano assicurarne 60 di palloni a terra a partita e adesso chi ha avuto il coraggio di fare questa mossa “azzardatissima” festeggia e il coach azzurro forse starà ancora sorridendo perchè le consegne erano quelle di sorridere sempre, anche quando il mondo stava crollando su una squadra troppo debole psicologicamente, troppo poco continua, con dei deficit strutturali evidenti e senza il giusto spessore internazionale per ottenere anche obiettivi minimi, che potevano essere un podio agli Europei e una qualificazione olimpica ampiamente alla portata.
Si era costruito un bonus importante, l’allenatore azzurro, con due medaglie iridate, l’oro europeo e la vittoria in VNL ma la situazione era chiara già un anno fa. La sua scelta di non avere un rapporto con le giocatrici ha portato a mosse e contromosse da spionaggio internazionale e oggettivamente Mazzanti ha dato l’impressione nel momento più difficile di non voler cambiare rotta. Lui unico condottiero e chi lo amava lo doveva seguire, senza troppe discussioni. La gestione di Egonu è un trattato di come non si gestisce un’atleta di quel calibro e può essere portata tranquillamente ad esempio nei futuri corsi per allenatori. Non puoi chiamare una star assoluta e farla sedere in panchina per poi affidarti a lei quando ti accorgi che forse è indispensabile (mandando in tilt tutte le componenti della squadra) e se non la chiami (apparentemente per sua scelta ma le spinte erano arrivate da tutte le parti) rischi: Mazzanti si è assunto il rischio ed ha perso, esaurendo tutti i bonus a disposizione. Mazzanti, sia chiaro, è un allenatore si altissimo livello (quello che ha fatto con l’Italia resterà negli annali come uno dei periodi più floridi della nostra Nazionale) ma, da un anno a questa parte, è la persona sbagliata nel posto sbagliato, supportato da altre persone sbagliate nel posto sbagliato: con questi presupposti non poteva che finire male.
Hanno perso le giocatrici perchè sia chi c’era, sia chi non c’era ha recitato un ruolo in questo scempio. A partire da coloro che si sono presentate davanti al presidente della Fipav un anno fa per chiudere la testa dell’allenatore, fino all’ultima di quelle che non sono state capaci di battere una fra USA e Polonia, che sono uscite sconfitte dall’Olanda nella finale per il terzo posto agli Europei, che sono state battute due volte dalla Turchia, prima in VNL e poi in semifinale del torneo continentale, riportando l’Italia indietro di sei o sette anni lustri nei valori internazionali, quando, dal 2018, le azzurre erano state protagoniste a tutti i livelli. Abbiamo assistito a esclusioni eccellenti, chiacchierate con correnti di spogliatoio sbandierate ai quattro venti, giocatrici che si sono prima tirate fuori, poi dichiarate disponibili alla chiamata, a fughe senza particolari spiegazioni dal ritiro azzurro, a rinunce per infortuni che apparentemente non sembravano così gravi. Un campionario di eventi figlio di un ambiente schizofrenico che ha lasciato tutti, appassionati e addetti ai lavori, a bocca aperta, quasi increduli di ciò che stava accadendo in una delle Nazionali più forti al mondo, un “unicum” che speriamo si trasformi in “una tantum” dal quale tutti usciranno con le ossa rotte.
Ossa rotte da reparto ortopedia anche ai piani alti della sede Fipav. Quando i risultati non vengono, quando in una squadra ci si rende conto che lo spogliatoio in ebollizione, quando le prospettive sono tutt’altro che rosee in termini di rapporti (e questo lo sapevano tutti) nel mondo dello sport, dal calcio, all’hockey su prato, fino alla pallavolo femminile, si fa un ragionamento molto semplice: si cambia allenatore o si cambiano le giocatrici? Una domanda retorica a cui non ci sarebbe nemmeno bisogno di dare una risposta. In Fipav la risposta è stata quella sbagliata. Via (o dentro con ruoli marginali) le giocatrici che avevano evidenziato un malessere diffuso nell’ambiente. Risultato? L’ambiente non è mai stato tranquillo e le polemiche inevitabili per scelte incomprensibili ai più hanno ulteriormente minato gli 81 metri quadrati dove l’Italia giocava le partite più importanti. Le mine hanno fatto il loro lavoro e sarebbe bene che chi ha contribuito a spargerle, magari anche involontariamente, si facesse da parte perchè in questa situazione le responsabilità non sono solo di chi scende in campo o siede in panchina.
Foto Fivb