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Biathlon, Lukas Hofer non si arrende. Il decano del movimento azzurro spera nella rinascita dopo una stagione persa

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Lukas Hofer

C’è un USO (Unidentified Skiing Object), un oggetto sciante non identificato, all’interno dell’Italia del biathlon. Parliamo di Lukas Hofer, ormai per tanti aspetti alieno a quel movimento di cui è stato il trascinatore. D’altronde il veterano altoatesino ha 34 anni, otto in più del secondo azzurro più anziano in attività, ovverosia Daniele Cappellari, classe 1997. Inoltre, il navigato sudtirolese si allena ormai in autonomia, fuori dai meccanismi delle squadre nazionali.

Alieno, appunto, essendo estraneo per età e preparazione a un ambiente radicalmente rinnovatosi nell’arco del 2022. Eppure, questo singolare ruolo di Maverick non preclude alcuna possibilità al decano del biathlon tricolore, che a dispetto di tutte le difficoltà fisiche incontrate nell’ultimo inverno non ha voluto gettare la spugna. Il 2022-23 di Hofer non è sostanzialmente esistito a causa di perduranti infiammazioni ai tendini. Grazie alla sua tenacia è riuscito in qualche modo a presentarsi al via dei Mondiali di Oberhof, ma è stata una sorta di azione alla Enrico Toti, perché ha subito dovuto chiudere anzitempo la stagione.

Avrebbe potuto dire basta, la sua carriera parla per lui. Ci troviamo di fronte a chi, nell’arco di quasi tre lustri, ha preso parte a 298 gare individuali di primo livello; ne ha vinte 2; è salito sul podio 11 volte; si è piazzato fra i primi sei in 36 occasioni e ha complessivamente fatto breccia nella top-ten in 85 casi. Il tutto condito dalla medaglia di bronzo nella mass start dei Mondiali di Khanty-Mansiysk. Dominik Windisch avrà prodotto lampi abbaglianti, ma negli anni ’10 del XXI secolo, il fuochista del movimento italiano è stato Luki. È lui ad aver fatto il duro e sporco lavoro di spalare il carbone nella fornace per tenere vivo il fuoco.

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Per quanto stanco e forse logoro, non si è arreso. Viceversa, ha optato per proseguire. In effetti, perché smettere se la motivazione e la passione sono ancora intatte? È vero che se non sono supportate dal fisico, allora non c’è sentimento interiore in grado di sopperire al deperimento biologico. Però, al tempo stesso, l’Hofer di inizio 2022 era ancora sulla cresta dell’onda. Ai Giochi olimpici di Pechino, nell’inseguimento, ha sfiorato una medaglia; poche settimane dopo, a Kontiolahti, si è presentato sul podio in Coppa del Mondo. Poi, solo tra la primavera e l’estate, sono sopravvenuti i forti risentimenti fisici che hanno nullificato il 2022-23.

Quale possa essere la dimensione del veterano azzurro nel 2023-24 dipende principalmente, per non dire esclusivamente, dal suo stato di salute. Se gli acciacchi sono superati e starà bene, allora potrà recitare una parte di rilievo nel cast di supporto della Coppa del Mondo. Nessuno gli chiede di battere Johannes Bø, oppure di competere ad armi pari con i vari Sturla Holm Lægreid, Sebastian Samuelsson o Quentin Fillon Maillet.

Anzi, diciamo pure che non gli si chiede nulla. Quanto poteva dare, lo ha dato. Se dovesse aggiungere qualche piazzamento di prestigio e rappresentare una solida putrella per la staffetta, sarebbe tanto di guadagnato. Tutto, però, è subordinato alla risposta fisica. È indubbio che un Hofer in condizione accettabile possa essere ancora tra i migliori italiani e, alieno o meno all’ambiente attuale, il movimento non può permettersi di cestinare alla leggera un patrimonio d’esperienza come il suo.

Se poi i responsi del 2023-24 dovessero essere positivi, allora si (ri)aprirebbe la prospettiva di vederlo in azione ai Giochi Olimpici del 2026 nel ruolo, con pardon parlando, del “grande vecchio”, come vent’anni prima aveva fatto con profitto il quasi quarantenne Willy Pallhuber a Torino 2006.

Foto: La Presse

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