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Ciclismo, l’allarme di Pozzato: “Se non investiamo sui giovani, tra 10 anni spariremo. Lavoro per una Professional”

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Filippo Pozzato, vicentino di Sandrigo e classe 1981, è passato tra i professionisti a soli 18 anni. Fortissimo in volata, “Pippo” nel 1999 ha disputato a Verona il Mondiale Juniores vinto da Damiano Cunego. Pochi mesi dopo, dal gennaio del 2002, è passato professionista con la formazione belga di Patrick Lefevere, la Mapei-Quick-Step. Pozzato ha corso nella massima categoria fino al 2018, stagione in cui ha deciso di appendere la bici al chiodo. Tra le altre ha indossato le maglie della Fassa Bortolo, Quick-Step-innergetic, Liquigas, Kathusha, Farnese, Lampre, Southeast e Wiliter Trietstina. Ben 45 le sue vittorie tra cui la Milano-Sanremo del 2006, due tappe al Tour de France, una al Giro d’Italia, tre edizioni del Trofeo Laigueglia (di cui è primatista), due al Trofeo Matteotti e nel 2003 ha conquistato una tappa (la seconda, la Sabaudia-Tarquinia) e la generale della Tirreno-Adriatico. Oggi invece ha grandi doti come manager e organizzatore di corse e dal 2020 ha aperto la sua società: la PP Sport Events e dopo il debutto come organizzatore del Campionato Italiano da Bassano del Grappa a Cittadella, Pippo è entrato sempre più a far parte del settore organizzativo del grande ciclismo.

Nelle ultime settimane si è parlato di un tuo progetto per creare una squadra italiana World Tour: puoi dirci qualcosa a riguardo?

“Non c’è nulla di diverso rispetto a quanto ho detto anni fa: siamo in contatto con un’azienda, ma al momento non c’è niente di certo. Bisognerà vedere come andrà”. 

Per arrivare nel World Tour ci sono due strade: acquistare la licenza oppure ottenere dei risultati da Professional per ottenere la promozione. Quale delle due vorresti percorrere?

“Quella del punteggio, senza ombra di dubbio. Bisogna avere un progetto ed essere supportati da aziende con una forte capacità economica. Mi piace molto il progetto Tudor di Fabian Cancellara. Il mio obiettivo? Mi piacerebbe partire con una Professional con un budget di almeno 10 milioni”. 

Secondo te perché, a differenza di quanto avviene all’estero, in Italia il ciclismo fa così fatica ad attirare grandi sponsor? 

“In primis non c’è una progettualità. Ivan Basso sta facendo un bel lavoro insieme a Contador, ma anche per loro non è semplicissimo. In Italia abbiamo purtroppo un sistema fiscale complesso, non c’è una fiscalità che agevoli una sponsorizzazione e non abbiamo le istituzioni che si sanno muovere con la politica e quindi bisognerebbe rivedere qualche legge. Nessuno sta facendo niente per il settore giovanile e questa è una cosa drammatica”. 

Giro del Veneto e Veneto Classic sono due Classiche recenti, ma grazie a te hanno già raggiunto un grande prestigio e sono ambite. Come pensi di farle progredire ulteriormente?

“Quello che cerchiamo di fare noi – anche se spesso ci hanno messo il bastone tra le ruote e soprattutto quest’anno – è di reinvestire nelle corse tutto il guadagno senza metterci noi in tasca i soldi. Tutto quello che prendiamo lo investiamo sulle corse e su tutti Crèdit Agricole ha creduto sin da subito nel nostro progetto. Così siamo riusciti ad avvicinare altri sponsor a cui abbiamo presentato un progetto ben strutturato”. 

Il problema del ciclismo italiano è veramente solo l’assenza di una squadra World Tour? O c’è altro?

“La squadra World Tour è sicuramente importante, ma non deve essere di certo il Governo a finanziare come ho sentito dire più volte. Abbiamo bisogno delle istituzioni che siano forti con la politica e quindi che ci siano delle agevolazioni per le aziende intenzionate a sponsorizzare il nostro sport e per farlo serve, come ho già detto, rivedere qualche legge. Al momento il nostro sistema non sta funzionando”.

Il Veneto è una grande terra di ciclismo, ma perché fanno sempre più fatica a emergere corridori come Pozzato?

“Abbiamo pochi iscritti nelle categorie giovanili e se non si fa niente per agevolare la pratica di questo sport, tra 10 anni non avremo più niente a meno non ci venga fuori un grande talento. Dobbiamo imparare da sport come il tennis che è un progetto che sta funzionando benissimo. Noi non siamo mai stati messi così male come al giorno d’oggi, continuiamo a pagare un lavoro non fatto pensando solo al professionismo – che è quello che dà risalto – e non alla base”. 

Come valuti il tuo corregionale Filippo Zana?

“Zana è sicuramente un corridore forte, ma non abbastanza per vincere un Grande Giro. Può fare bene nelle tappe di montagna e puntare ad una top10 in un Grande Giro. A me piace come corridore, è tenace e ha un bel potenziale”. 

La Milano-Sanremo è la vittoria che maggiormente porti nel tuo cuore?

“La vittoria più importante è sicuramente la Milano-Sanremo, ma quelle che mi sono piaciute di più sono state il primo Laigueglia nel 2003 e la prima tappa al Tour l’anno successivo: questi successi mi hanno aperto le porte al grande ciclismo. La Sanremo me l’aspettavo, ma chiaramente era il sogno da bambino”. 

Invece in quel famoso Giro delle Fiandre del 2012, Boonen era davvero più forte di te o è stato semplicemente più furbo?

“Io ero il più forte quel giorno, ma forse ero troppo sicuro di vincere e ho sbagliato tatticamente la volata. Dovevo far partire Boonen più lungo per poterlo battere e invece ho peccato un po’ di presunzione e sicurezza”. 

Foto: Lapresse

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