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Ciclismo, Marco Pinotti: “Al Giro e al Tour 2024 le cronometro saranno decisive”

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Marco Pinotti

Marco Pinotti, sport engineering director del team Jayco Alula, è stato professionista dal 1999 al 2013: tra i suoi successi spiccano, tra gli altri, una tappa al Giro di Polonia, sei volte campione italiano nelle prove contro il tempo, due tappe ai Paesi Baschi, un prologo al Giro di Romandia e le cronometro individuali al Giro d’Italia 2008 e 2012. Su pista, invece, è stato campione italiano nell’inseguimento individuale. Solido in salita ed eccellente nelle prove a cronometro, Pinotti ha saputo ritagliarsi il ruolo eccellente di gregario dei capitani nelle varie squadre in cui ha militato: Lampre, Saunier Duval, T-Mobile, HTC e BMC. Il nono posto ottenuto al Giro d’Italia 2010 è il suo miglior piazzamento nella classifica generale di un Grande Giro, senza dimenticare però i cinque giorni in maglia rosa totalizzati tra l’edizione del 2007 e quella del 2011. Ritiratosi nel 2013 e laureato in ingegneria gestionale, Pinotti è rimasto nel mondo del ciclismo, prima con la CCC, sorta sulle ceneri della BMC (ultima squadra in cui ha militato) e poi dalla stagione 2021 insieme alla formazione australiana di Brent Copeland, la Bike Exchange, oggi Jayco AlUla.

Marco, sei sempre stato un grande esperto delle prove contro il tempo. Come sono cambiate le cronometro negli ultimi anni?  

“Negli ultimi anni hanno leggermente ridotto il peso specifico, le cronometro si sono accorciate e sono diventate un po’ più dure rispetto ad una generazione fa. L’anno prossimo però al Giro e Tour ci saranno due cronometro di rilievo: lunghe e da specialisti, e questo è un po’ un ritorno rispetto agli ultimi anni”. 

E in termini di preparazione cos’è cambiato? 

“C’è stata ancora più enfasi sulla posizione e nelle scelte aerodinamiche, per questo le velocità sono aumentate più o meno di 2 km/h. Come preparazione fisica invece non è cambiato tantissimo, i valori sono sempre quelli ma, è migliorato l’equipaggiamento tecnico della bicicletta e quindi della posizione”. 

Come alleni i tuoi ragazzi? 

“Ogni atleta ha il suo allenatore e quando ci avviciniamo alle cronometro mi consulto con il relativo allenatore per capire come preparare al meglio la prova, decidiamo insieme la strategia e come distribuire lo sforzo”. 

Si nota sempre un grande miglioramento nelle prove a cronometro quando c’è il tuo zampino. Cosa c’è dietro questi risultati? 

“Non c’è una formula magica: il corridore magari si sente supportato maggiormente e quindi è più motivato ad alzare l’asticella. Supporto i ragazzi in tanti piccoli momenti, non sono decisivo, ma l’esserci sempre fa sentire il corridore sicuro sulla linea di partenza e quindi anche lui stesso ci mette quel qualcosa in più rispetto alle sue potenzialità”. 

Quali differenze ci sono tra una crono individuale e una a squadre? 

“La crono a squadre richiede molta più cura nei dettagli e quindi bisogna essere capaci di mettere insieme tutti i corridori per farli performare al massimo. E’ necessario quindi trovare la giusta armonia tra i cambi e distribuire lo sforzo tra i vari componenti in maniera ottimale. Preparare una cronometro a squadre richiede più tempo e ci sono più fattori di rischio rispetto ad una individuale”. 

La cronometro è quindi la disciplina più scientifica del ciclismo su strada… 

“Esatto, è quella dove si può prevedere l’output. La prova su strada è più soggetta a fattori che non sono sotto il controllo dell’atleta”. 

In che direzione sta andando questa disciplina? 

“Vive fasi alterne, ha sempre una grossa importante perché i distacchi a cronometro spesso determinano la classifica. L’anno prossimo al Giro e Tour le prove contro il tempo saranno determinanti. Faccio fatica ad identificare un trend, ma negli ultimi anni i km a cronometro sono diminuiti, tuttavia l’attenzione da parte dei team verso la disciplina è aumentata”. 

Qual è, secondo te, il momento più difficile di una cronometro? 

Se si sono fatte le cose bene non c’è nessun momento difficile, ma forse direi dalla fine del riscaldamento alla partenza e quindi quei 10/15 minuti di concentrazione pre-gara che sono i più delicati“.

Tu sei stato campione italiano nell’inseguimento individuale. Quanto la pista può essere determinante nel preparare le prove contro il tempo? 

“Nel mio caso specifico è stata determinante. La difficoltà, ad esempio, di allenare una crono a squadre è quella di trovare un luogo sicuro per allenare 7/8 atleti ad alta velocità e la pista in questo garantisce una sicurezza senza pericoli. Oggi in pista si fanno tanti test aerodinamici, è un ambiente controllato e si possono raccogliere velocemente tanti dati. Non dico sia fondamentale, ma è importante: si può fare anche senza, ma averla permette affinare la preparazione”. 

Qual è l’aspetto più gratificante del tuo lavoro? 

“Quando vedo il miglioramento di un atleta, non necessariamente il risultato ma il miglioramento della performance. Inoltre è gratificante andare alle corse e vedere tutti gli atleti che si impegnano al 100% e che anche coloro che non sono degli specialisti la prendono sul serio e non la considerano come un giorno di riposo”. 

E quello più complesso? 

“Quando si parla per radio ad un atleta perché le parole dette possono aiutare ma non è sempre scontato. Bisogna saper usare le parole giuste, che spesso sono delicate e complesse e la complessità sta nel fatto di trovarti spesso con atleti diversi che devi imparare a conoscere”. 

Che differenze ci sono, a livello di approccio mentale, tra uno specialista e un corridore su strada?

“Con lo specialista per me è più facile perché ragioniamo più o meno allo stesso modo, mentre il corridore su strada non sa bene neanche lui cosa vuole e quindi va guidato un po’ di più. Spesso dagli specialisti imparo tantissimo, diciamo che è uno scambio reciproco, mentre con un corridore su strada che appunto non è uno specialista della disciplina sono io chiaramente a dover dare di più”. 

Foto: Lapresse

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