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Coppa Davis, noi che abbiamo conosciuto l’onta della Serie C… Anni di patimenti, poi la rinascita: l’Italia è tornata grande

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Filippo Volandri

Ci sono quattro date che aiutano a capire perché quello del 26 novembre 2023, per l’Italia di Coppa Davis, è un giorno che rappresenta la chiusura di una specie di cerchio. Percorrono un arco di tempo lungo 13 anni, 13 difficili stagioni in cui dal (quasi) punto più alto si scese verso il basso e poi l’Italia, con grandissima fatica, riuscì a risalire.

La prima è il 4 dicembre 1998. Vero, poi la finale contro la Svezia al Forum di Assago proseguì nei due giorni successivi, ma di fatto terminò sulla spalla che abbandonò Andrea Gaudenzi dopo aver rimontato in un quinto set memorabile contro Magnus Norman. Sul rosso indoor dell’arena milanese si consumò di tutto, comprese le tantissime problematiche che dividevano dirigenti e giocatori. Quel giorno si chiuse, letteralmente, un triennio di emozioni, fatto di altre due semifinali in altrettanti anni precedenti.

La seconda è il 23 luglio 2000. C’era la sfida per non retrocedere, contro il Belgio. Un Belgio teoricamente depotenziato, con Filip Dewulf ormai ombra del semifinalista al Roland Garros 1997 e i fratelli Christophe e Oliver Rochus ancora giovani, nonché con il doppista Tom Vanhoudt. L’Italia se l’era già vista molto brutta nel settembre precedente a Sassari (recuperò da 1-2 contro una squadra in cui già circolava Jarkko Nieminen), ma questa volta il patatrac arrivò. Andrea Gaudenzi giocò malissimo contro Olivier Rochus, Davide Sanguinetti batté Dewulf, ma il giorno dopo il doppio si risolse in un altro disastro del faentino, che di fatto non supportò Diego Nargiso. A quel punto arrivò la sostanziale richiesta di mandare Sanguinetti in campo il giorno successivo con eventuale opzione Renzo Furlan, da tempo fuori dall’élite. Non bastò: ne uscì una partita a tratti assurda con Christophe Rochus. Il nativo di Viareggio andò sotto di due set e 2-5 nel terzo, ma rimontò non si sa bene come, annullò tre match point, volò nel quarto parziale, 2-0 nel quinto, e poi si spense un’altra volta. Poi si riaccese, ma per poco: dopo 4 ore e 11 minuti, Rochus vinse 6-2 7-5 6-7(6) 1-6 7-5. L’Italia per la prima volta scese nel Gruppo I della zona Euro-Africana, la Serie B. Da cui non risalì subito: nel 2001 3-2 a Helsinki con una squadra rivoluzionata dalle squalifiche per nove mesi dettate dall’accusa dei giocatori di non esser stati consultati nella scelta di Corrado Barazzutti quale capitano e poi sconfitta a Roma con la Croazia per 3-2, nel 2002 sconfitta da tregenda contro la Finlandia in casa e salvataggio contro il Portogallo.

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La terza è il 20 settembre 2003. L’Italia aveva già perso in Marocco, sulla terra rossa, con Davide Sanguinetti, Filippo Volandri, Massimo Bertolini e Giorgio Galimberti che persero per 3-2 dopo che, al sabato, il vantaggio era stato di 1-2. Ma c’erano ancora Younes El Aynaoui e Hicham Arazi, due che assommarono otto quarti di finale Slam complessivi (quattro a testa). La trasferta dello Zimbabwe in teoria era semplice: certo, Wayne Black (l’unico rimasto: l’altro, Byron, aveva mollato) e Kevin Ullyett erano un forte doppio, ma si contava sui singolari a Harare. Macché: Ullyett sorprese Volandri in quattro set, Black travolse Sanguinetti e, a quel punto, Bertolini e Galimberti si trovarono nella posizione più scomoda possibile. Non riuscirono a vincere neppure un parziale. Retrocessione nel Gruppo II della Zona Euro-Africana fu. La Serie C, in sostanza.

Quell’inferno durò un solo anno, anche se ci mancò davvero poco (due match point, per l’esattezza) che ci si rimanesse, perché in quel 2004 dopo il 3-2 alla Georgia (che, a parte Irakli Labadze, non aveva sostanzialmente nulla di significativo) e il 5-0 alla Bulgaria, contro la Polonia di Frystenberg/Matkowski, ottimi doppisti, successe di tutto: Volandri perse in cinque set da Lukasz Kubot, al tempo lontanissimo dalla carriera di bicampione Slam in doppio e valido singolarista che avrebbe poi avuto, mentre Potito Starace dovette annullare due match point a Mariusz Fyrstenberg prima di vincere 7-5 al quinto.

Il ritorno nel Gruppo I significò un mix di sfide di alto valore e beghe giocatori-FIT: nel 2005, a Torre del Greco, si arrivò con Volandri tenuto fuori per una questione, banalmente, di soldi. Si giocò incomprensibilmente sul rosso contro la Spagna, Andreas Seppi fece un mezzo miracolo contro Juan Carlos Ferrero, il doppio azzurro Bertolini/Galimberti batté Rafael Nadal e Feliciano Lopez, ma l’ultimo giorno vide gli iberici vincere. Stesso finale a Salamanca l’anno dopo nonostante un clamoroso Volandri contro Tommy Robredo e, per quasi due set, contro Nadal. 2007: brutta sconfitta in Israele, salvataggio contro il Lussemburgo. 2008: sconfitta più preventivabile con la Croazia, Lettonia (con Ernests Gulbis) battuta 3-2, ma il vero problema arrivò di nuovo fuori dal campo con la scelta di Simone Bolelli di andare in Asia per i punti-classifica. Comunicazione fatta a tempo debito, non ricevuta: si scatenò una campagna stampa contro di lui, e l’interdizione dalla maglia azzurra gli fu tolta solo un anno, una separazione da Claudio Pistolesi e un match (quello contro la Slovacchia) dopo. Ma, contro la Svizzera di Roger Federer e Stan Wawrinka, c’era poco da fare. 2010: Italia facile sulla Bielorussia, ma stavolta fu Seppi quello costretto ad andare a Castellaneta Marina per ribadire che non era in grado di giocare. Fu sconfitta anche l’Olanda in trasferta, ma in Svezia il discorso promozione passava dal doppio, data l’impossibilità di battere Robin Soderling sul veloce indoor. Quella vittoria sfuggì di poco.

Si arriva così al 2011. L’Italia batté subito, a luglio, la Slovenia e guadagnò un playoff con il Cile, stavolta possibile perché la qualità cilena era scesa di schianto. Potito Starace batté Paul Capdeville in quattro set, poi Fabio Fognini approfittò del ritiro di Fernando Gonzalez che in quel periodo era più fuori che dentro il campo, infine Fognini con Bolelli portò a casa la promozione. Era il 17 settembre 2011, a Santiago del Cile. Un’altra volta, si direbbe.

Il resto è storia abbastanza recente: il World Group ritrovato e sempre sostanzialmente tenuto, con due soli playoff retrocessione giocati (2012 contro il Cile e 2015 contro la Russia), una semifinale (quella del 2014 contro la Svizzera di Roger Federer e con doppio scalpo, sia della Gran Bretagna che di Fabio Fognini singolarmente contro Andy Murray). Poi il cambiamento dato dalla riforma e la lenta, ma inesorabile scalata verso quanto accaduto quest’oggi.

Foto: LaPresse

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