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Coppa Davis, tutte le finali dell’Italia. Ultimo precedente nel 1998

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L’Italia è per l’ottava volta in finale di Coppa Davis. L’attuale format, quello con le sfide delle Finals e dei gironi su singola giornata, vede gli azzurri per la prima volta all’ultimo atto. In precedenza, due volte c’era stato l’approdo all’epoca del Challenge Round, quattro quando questo era stato eliminato, ma rimanevano le fasi zonali, infine una nel periodo 1981-2018, quello del World Group come l’abbiamo conosciuto nella sua composizione a 16 squadre e quattro turni per arrivare all’ultimo atto.

La prima finale giunse nel 1960. Era tutto diverso: si doveva passare attraverso un intero tabellone di fase zonale europea, per prima cosa. In questo senso l’Italia batté l’Ungheria 3-2 a Budapest con tre punti portati da Nicola Pietrangeli, il Cile (che, al pari di Brasile, Argentina e Sudafrica, era “ospitato” nella zona europea) ancora per 3-2 a Torino con Orlando Sirola decisivo su Patricio Rodriguez, la Gran Bretagna per 4-1 sul Court 1 (del tempo) di Wimbledon, e in realtà era già 3-0 dopo due giorni, e infine la Svezia in quel di Bastad per 3-2. Nell’Interzonale ci fu la storica sfida agli USA a Perth con rimonta da 0-2 a 3-2 firmata da Pietrangeli contro Butch Buchholz e Sirola contro Barry MacKay nell’ultimo giorno. L’Australia sull’erba di Sydney, però, era troppo: Neale Fraser, Rod Laver e Roy Emerson erano davvero troppo e fu 4-1 con Pietrangeli che comunque sconfisse Fraser nell’ultimo singolare, a giochi già fatti.

Il 1961 vide gli azzurri ripetersi. Nel tabellone europeo caddero Belgio 3-2 a Bruxelles (ma di fatto era 3-1), Germania Ovest a Monaco di Baviera (3-2, ma Pietrangeli portò a casa tutti i punti giocando 15 set), Francia 1-4 negli impianti del Roland Garros (con ritorno in squadra di Fausto Gardini), Svezia per 4-1 a Milano. L’Interzonale fu ospitato dal Foro Italico di Roma e stavolta con gli Stati Uniti fu un più semplice, se così si può definire, 4-1. Il viaggio in Australia, al mitico Kooyong di Melbourne, fu però ancora fatale agli azzurri, che nei match che contavano non raccolsero nessun set contro Emerson e Laver, con il secondo che avrebbe poi fatto il Grande Slam l’anno successivo prima di passare professionista, al pari del primo. Un destino, quello di pro, cui è stato vicinissimo anche Pietrangeli.

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Nel 1976 si ebbe la terza finale azzurra. Non così nota è la storia di come ci si arrivò sul piano tennistico: dopo il preliminare con la Polonia senza Fibak (5-0 a Firenze), nella Zona B della parte europea l’Italia si trovò davanti la Jugoslavia di Zeljko Franulovic e Niki Pilic (che, rinunciando alla Davis tre anni prima, fu squalificato dalla federazione internazionale: questo provocò la rinuncia di 81 giocatori a Wimbledon nell’azione collettiva più clamorosa della storia del tennis). La batté 5-0 in modo facile, poi fu 4-0 a Roma sulla Svezia senza Borg. A Wimbledon, contro la Gran Bretagna accanto ad Adriano Panatta, invece di Corrado Barazzutti, fu schierato Zugarelli: le doti di Tonino sull’erba si videro, e in men che non si dica Roger Taylor, John Lloyd e David Lloyd uscirono tutti sconfitti dal Court 1. A quel punto c’era l’Interzonale: a Roma, contro l’Australia, fu scontro durissimo: John Alexander vinse i suoi singolari, Barazzutti il primo su Newcombe, che poi toccò ad Adriano Panatta battere (con la conclusione di lunedì) per mandare l’Italia in Cile. O forse no, perché per settimane la discussione, anche (e soprattutto) politica sul tema fu all’ordine del giorno. Di fatto, si deve a Pietrangeli la riuscita di una trasferta poi divenuta trionfale contro Jaime Fillol e Patricio Cornejo all’Estadio Nacional (che esiste ancora). Quel 4-1 è ancora scolpito nella memoria di tutti.

Il 1977 vide la squadra tricolore raggiungere ancora l’ultimo atto. Direttamente nella semifinale della Zona B europea, l’Italia non ebbe problemi con la Svezia senza Borg, mentre se Josè Higueras poté qualcosa, di nulla fu in grado Manolo Orantes contro Barazzutti e Panatta nella finale Spagna-Italia. Semmai, del 17 luglio di Barcellona sono noti i fatti del dopo-match tra Javier Soler e Panatta: Adriano non voleva giocare, era svogliato, andò in campo e prese un 6-1 6-0. Seguirono tumulti in tribuna, Panatta partecipò egli stesso in maniera attiva dato che gliene furono dette di tutti i colori. Com’è come non è, fu finale contro l’Australia dopo un facile 4-1 (e 3-0 già al sabato) contro la Francia. Gli aussie, a Sydney, forti lo erano per davvero con Tony Roche e John Alexander, ma il doppio l’Italia lo vinse e Panatta sembrò poterla girare con Alexander, solo che perse quel quarto match 6-4 4-6 2-6 8-6 11-9. Tradotto: Australia 3-1.

Nel 1979, invece, l’Italia ripartì da un facile 5-0 sulla Danimarca a Palermo per proseguire a Varsavia, in Polonia. Fu 4-1, ma non prima di vedere Wojciech Fibak battere Panatta e impegnare fino al quinto set Barazzutti. Ci fu poi la rivincita dell’anno prima con l’Ungheria per 3-2 e, infine, un particolare 4-1 con la Gran Bretagna in cui Panatta partì malissimo, il suo doppio con Paolo Bertolucci fu sostituito da Barazzutti/Zugarelli e, infine, lo stesso Adriano travolse John Lloyd. Nell’Interzonale ci fu la finale con la Cecoslovacchia, che aveva Jan Kodes a fine carriera, Tomas Smid e un giovane Ivan Lendl. Il futuro numero 1 mondiale si prese due 6-0 nei quattro set con Panatta, ma impegnò duramente Barazzutti in cinque set prima di lasciare agli azzurri il pass per la finale. Toccò affrontare gli Stati Uniti, nell’ultimo atto, a San Francisco e con questa formazione: John McEnroe, Vitas Gerulaitis, Stan Smith, Bob Lutz. Una fine annunciata per chiunque, e assieme all’infortunio di Barazzutti nel primo match qui si parla davvero di una sfida impossibile, senza set vinti e che mai vide l’Italia in grado di giocarsela, per l’unica volta.

Il 1980 fu, di fatto, come la chiusura di un cerchio. Dopo i facili 5-0 alla Svizzera e 4-1 alla Svezia (ancora senza Borg), pur con un Panatta sottotono in quel luglio romano, si giunse a un’altra sfida con l’Australia di Paul McNamee e Peter McNamara, battuti per 3-2 (in realtà 3-1). Quello che successe nella finale con la Cecoslovacchia, a Praga, fu invece ben oltre i limiti della decenza. Al di là delle sconfitte in cinque set (con Adriano Panatta rimontato dopo il 6-3 6-3 iniziale da Smid e il doppio che perse un parziale di vantaggio), quello che accadde in quel frangente provocò un frastuono molto importante. Gli ufficiali di gara erano tutti locali, e si prodigarono in una serie incredibile di chiamate insensate, tutte a favore dei padroni di casa. Fu tanta la rabbia degli azzurri, ma la questione arrivò al tavolo della federazione internazionale che fece sì che, nei futuri incontri, ci sarebbero stati solo giudici di sedia e compagnia internazionali.

Dopo 18 anni di digiuno, l’Italia ritornò in finale con la prospettiva di poterla, finalmente, disputare in casa. A tanto erano serviti, infatti, i successi nelle tre precedenti sfide del World Group. A Genova, sul rosso, fu battuta l’India di un giovane Mahesh Bhupathi, futura stella del doppio, che batté Davide Sanguinetti (il quale detestava cordialmente la terra rossa). Poi, sulla terra di Prato, fu battuto lo Zimbabwe dei fratelli Wayne e Byron Black, fortissimi doppisti, ma che in singolare valevano meno soprattutto sul rosso. La semifinale fu giocata a Milwaukee, contro gli USA privi di Sampras e Agassi, ma con Jan-Michael Gambill e Todd Martin. Il primo lo batté Andrea Gaudenzi, il secondo Sanguinetti dopo una memorabile impresa, dato che in quegli anni Martin era ancora al top assoluto. Il doppio contro Martin e Justin Gimelstob Gaudenzi e Diego Nargiso lo vinsero rischiando di farsi rimontare, ma fu 3-0 (poi 4-1) in cinque set. Arrivò così l’ultimo atto, che si giocò a Milano contro la Svezia. Prima volta in casa, si diceva: al Forum di Assago andò in scena uno dei drammi per eccellenza della Davis. Gaudenzi sfidò Magnus Norman, andò sotto di due break nel quinto set, rimontò e passò sul 6-5, ma lì gli saltò la spalla. Ritiro dopo cinque ore e di fatto Davis finita, perché Sanguinetti perse malissimo con Magnus Gustafsson e l’obbligato doppio Sanguinetti/Nargiso non poté competere con Jonas Bjorkman e Nicklas Kulti se non per un set.

Foto: LaPresse / Olycom

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