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Ciclismo, Paolo Bettini: “Pogacar unico che può fare doppietta Giro-Tour. Bagioli ha davanti dei mostri sacri”

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Paolo Bettini

Paolo Bettini, campione olimpico di ciclismo su strada nel 2004 ad Atene, due volte Campione del Mondo (nel 2006 e 2007) e per quattro edizioni, dal 2010 al 2013, ct della Nazionale, il ciclismo lo conosce molto bene e a 360°, avendo vinto tutto quello che in una carriera si può vincere. Abbiamo così raggiunto telefonicamente il toscano classe 1974 che negli anni ha scritto pagine memorabili del nostro sport.

Il prossimo sarà un anno importante: un Giro d’Italia che in tanti aspettiamo e che parte già in maniera tosta rispetto alla tradizione con l’arrivo ad Oropa nella seconda tappa, un Tour de France che parte da Firenze. Cosa ti aspetti dal 2024?
“Sicuramente sarà l’anno perfetto per gli amanti del ciclismo agonistico. Il Giro d’Italia sarà molto curioso, ma ci saranno anche le Classiche di Primavera. Quello del prossimo anno è un Giro esigente e io non me ne ricordo uno così tosto subito il secondo giorno, dove gli uomini di classifica devono farsi trovare pronti. L’obiettivo sarà dunque quello di arrivare in condizione, ma allo stesso tempo gestirsi in vista delle grandi montagne nell’ultima settimana e quest’anno tutta la gestione sarà più complicata. Il Tour farà la storia con la partenza dall’Italia e qui avremo un termine di paragone molto importante: storicamente il Giro blocca l’Italia per una serie di motivi; cosa farà il Tour? Secondo me il Tour bloccherà l’Italia e lo farà in maniera positiva e porterà lungo le strade migliaia di persone”.

L’argomento caldo di questi giorni è la partecipazione di Tadej Pogacar al Giro d’Italia: la doppietta è possibile, oppure si presenterà al Tour non con la freschezza necessaria per contrastare un riposato Vingegaard?
“Voglio essere concreto e quindi guardare oltre conoscendo bene questo mondo. Tadej ha detto sì al Giro, ma viene per cosa? Per divertirsi e per avere la testa sul Tour? O per provare a vincerlo? Saranno due approcci completamente differenti e quindi bisognerà capire che cosa farà. Secondo me è l’unico atleta in questo momento che può veramente pensare alla doppietta Giro-Tour. Pogacar conosce l’Italia ed è gestito da un grande team prevalentemente italiano che conosce le insidie delle nostre strade e quindi secondo me può puntare alla doppietta”. 

Al Giro d’Italia vedremo il meglio del nostro ciclismo. Partiamo da Bagioli. Essendo stato tu l’ultimo fuoriclasse italiano nelle corse di un giorno, come lo vedi?
“Bagioli è un bel corridore, con ottime qualità e può fare bene. In questo momento nelle Grandi Classiche non è tra i favoriti, ma può provare a vincere. L’importante sarà farsi trovare pronto nel momento giusto, ma a livello di performance ha davanti dei mostri sacri”.

Ha fatto bene secondo te Bagioli a lasciare la Soudal per approdare alla Lidl-Trek?
“Questi sono i famosi cambiamenti che fanno bene e ti stimolano. Quando cambi ambiente e ti rimetti quindi in discussione devi dimostrare a chi ha creduto in te che ha fatto bene, e quindi ci può stare”. 

Al Giro vedremo all’opera anche tre scalatori, o passisti-scalatori, come Tiberi, Pellizzari e Piganzoli: è legittimo aspettarsi un buon piazzamento nella generale o saranno cacciatori di tappe?
“Possono fare un bel Giro regalando anche belle soddisfazioni se escono di classifica per andare a caccia di tappe, questo è il mio pensiero. Sono ottimi atleti che se la cavano in classifica e possono provare a mettere nel mirino qualche frazione. Già il secondo arrivo di tappa ad Oropa darà delle risposte. E’ meglio provare a vincere una tappa piuttosto che stare in classifica a galleggiare”. 

Tiberi può fare il salto di qualità che ci si aspetta?
“Me lo auguro. Tiberi può fare un gran Giro se riesce a trovare la sua dimensione e l’aiuto di Caruso per lui sarà fondamentale. Tiberi-Caruso sarà una coppia che al Giro potrà fare divertire, uno può correre in funzione dell’altro e in coppia è sempre meglio che da soli”. 

Cosa ti aspetti da Roglic al Tour de France dopo il cambio di squadra?
“Per lui sarà una bella presa di posizione. Adesso ha tutto per fare la sua corsa, quindi sarà il suo anno. Tra i fenomeni è quello più maturo e quindi dovrà concretizzarsi”. 

Nella tua esperienza da ct, qual è il momento che ricordi con più affetto e quale invece il rimpianto più grande?
“Ricordo con affetto tutti i momenti di lavoro insieme allo staff. Stefano Piccolo mi ha insegnato a gestire la Nazionale, era la mia ombra. Firenze con Nibali è un grande rimpianto, Vincenzo ci ha fatto divertire fino all’ultimo, ma purtroppo sul finale è stata medaglia di legno”. 

Nel 2004 vincevi l’oro ad Atene. A Parigi nella prova su strada l’Italia potrà schierare tre corridori, al posto di quattro, e quindi al via ci sarà un uomo in meno perché siamo scesi in graduatoria. Chi porteresti tu? E che cosa ti aspetti dalla prova olimpica, così diversa dalle altre corse?
“E’ una corsa difficile da gestire, soprattutto in tre. Ci vogliono tre uomini di grande esperienza e che si sappiano supportare: devono essere egoisti perché tutti e tre devono volere la medaglia, ma in maniera altruista devono sfruttare gli altri due uomini. Sarà quindi un gioco di squadra per convenienza. Potrebbero esserci un Matteo Trentin, Alberto Bettiol e forse Alberto Dainese”.

Il ciclismo italiano sta soffrendo: è secondo te una questione di cicli o secondo te c’è un problema strutturale?
“E’ un problema strutturale, continuano a calare le società, i tesserati e le organizzazioni di corse. Sotto la piramide è un problema federale perché, se calano i tesserati, vuol dire che non si sta creando un programma adatto per reclutare i giovani ciclisti che possono essere i campioni del domani. Poi c’è il problema al vertice che è la mancanza di una o più formazioni World Tour, ma questo è un discorso legato al ciclismo professionistico”. 

Perché in Italia il ciclismo ha sempre meno appeal tra i giovani, molto più attratti da altri sport? Serve una svolta culturale, ma in che modo?
“La Federazione già vent’anni fa non ha trovato il modo di far nascere dei ciclodromi, infrastrutture necessarie per poter lavorare con tranquillità e sicurezza con i giovani. Questo serve oggi al ciclismo di base, perché la strada è pericolosa e i ciclisti sono presi di mira. E’ cultura, programmazione e progettualità. Ma sono tutte cose che devono arrivare dall’alto. E’ un lavoro di Federazione, poi la World Tour arriva come conseguenza del buon lavoro svolto alla base. Ci sono tante aziende in Italia che vanno convinte nuovamente del grande potenziale medicino che il nostro sport offre, ma si riesce a farlo solo partendo dalla base”.

Foto: Lapresse

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