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Australian Open, quali sono stati i migliori risultati degli italiani nella storia

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La storia degli italiani agli Australian Open è particolarmente complicata per un motivo ben preciso: a lungo, complici costi, distanza e status di “gamba zoppa” degli Slam a lungo avuto dal torneo aussie, i nostri non si sono sobbarcati la trasferta Down Under. Questo tranne rarissime eccezioni tra gli uomini e situazioni ancor più isolate tra le donne.

In sostanza, l’atto pratico mostra come la presenza costante ci sia stata solo dal 1987 in avanti, cioè dall’ultimo anno del Kooyong e più ancora dopo, con il trasferimento più passaggio erba-cemento a Flinders Park e poi a Melbourne Park. Del resto, va comunque ricordato che il luogo di svolgimento del torneo aussie cambiava spesso: si è andati, prima di Melbourne, a Sydney, Adelaide, Brisbane, Perth e finanche in Nuova Zelanda, a Christchurch e Hastings.

Tra gli uomini, il primo a sperimentare il lungo viaggio fu Giorgio De Stefani nel 1935. L’uomo che fu tra i pionieri del tennis tricolore, nonché finalista del Roland Garros 1932, fu anche buon protagonista. Gli servirono due turni, quelli con Dudley Frankenberg e Jack Clemenger, per giungere ai quarti. Solo che questo volle dire Fred Perry, e un conto era Perry sul rosso e un altro Perry sull’erba. Risultato: 6-0 6-0 6-0, uno degli appena nove della storia del torneo, tutti pre-Era Open. Vale la pena ricordare che, negli Slam, simile risultato si è verificato 67 volte in singolare (e nessuna dal 1993 a oggi) e 13 in doppio.

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Se la presenza di Fausto Gardini nel 1953 si limitò a un secondo turno da 4 del seeding, Nicola Pietrangeli si portò dietro Antonio Maggi (che perse subito) nel 1957 e arrivò anch’egli ai quarti, perdendo in tre set da quel Mal Anderson che, qualche mese più tardi, avrebbe vinto gli US Open. Si trattava allora, sempre, di Championships: la definizione Open è arrivata per l’Australia nel 1969, anno in cui di cinque italiani (Adriano Panatta, Pierino Toci, Vittorio Crotta, Pietro Marzano e Massimo Di Domenico) nessuno vinse una partita e Marzano passò un turno solo perché Tom Okker non si presentò. Persero subito anche Gianni Marchetti ed Enzo Vattuone nel 1976, l’anno della più clamorosa vittoria Slam di sempre (Mark Edmondson, da numero 212 del mondo: è ancora oggi l’ultimo australiano ad aver vinto in patria).

Poi, dal 1987, gli italiani hanno sempre presenziato, tranne che nel 1992 (e non per classifica in questo caso). Nel 1991 fecero sognare in due: Omar Camporese, che giocò uno dei match più belli della carriera sfiorando l’impresa contro Boris Becker (14-12 al quinto per il tedesco), e soprattutto Cristiano Caratti. Breve, ma intenso fu il bagliore di speranza dato dal classe ’70 di Acqui Terme, protagonista di una prima metà di 1991 straordinaria. A Melbourne sfruttò un bel buco di corridoio, superò agli ottavi un giovane Richard Krajicek, ma perse da Patrick McEnroe ai quarti in cinque set, forse stanco dall’averne giocati altri 18 nei giorni precedenti. Il McEnroe più famoso, John, l’avrebbe battuto a Manchester qualche mese più tardi.

Diversi furono poi gli ottavi raggiunti (e ancor più i terzi turni contro nomi di grande peso): Camporese nel 1992 perse da uno degli ultimi Ivan Lendl deluxe, nel 1996 Renzo Furlan infilò Scott Draper, Albert Costa e Goran Ivanisevic prima di perdere da Thomas Enqvist, poi più nulla fino al 2013, quando Andreas Seppi superò un altro croato, Marin Cilic, per arrivare agli ottavi. E qui lo sorprese una delle versioni più incredibilmente pepate del francese Jeremy Chardy, mai più giunto a tali livelli. Due anni dopo Andreas piazzò il colpo della vita: sconfiggere Roger Federer con tanto di passante di dritto insensato sul match point, al tie-break del quarto set. Poi fu avanti di due set contro Nick Kyrgios, che però rimontò, annullò un match point sul quale l’altoatesino non poté fare niente e poi vinse al quinto. Altri ottavi nel 2017 (stavolta con l’australiano sconfitto), ma di là dalla rete ci furono tre tie-break di Stan Wawrinka a eliminarlo, nell’anno in cui un certo altro svizzero firmò una delle sue imprese più memorabili.

Nel frattempo, anche Fabio Fognini era riuscito ad arrivare agli ottavi nel 2014, e lo avrebbe rifatto proprio assieme a Seppi nel 2018. In un caso stop con Novak Djokovic, nell’altro con Tomas Berdych (e per Andreas con Kyle Edmund). Altri migliori 16, per il ligure, nel 2020 (Tennys Sandgren) e nel 2021 (Rafael Nadal).

Poi, nel 2022, finalmente i quarti. Matteo Berrettini e Jannik Sinner ci arrivarono insieme, ma se all’altoatesino toccò una versione mostruosa di Stefanos Tsitsipas (da cui partì un anno travagliatissimo), al romano, fermato da un infortunio l’anno prima proprio senza poter giocare con il greco, riuscì di battere in sequenza Carlos Alcaraz, Pablo Carreno Busta e Gael Monfils. Semifinale, come mai nessuno prima. Ma il destino, quell’anno, era tutto per Nadal, che infatti sconfisse Matteo in quattro set. L’ultimo ottavo è ancora di Sinner, e di nuovo contro Tsitsipas, di un anno fa.

Il capitolo femminile, invece, è ancora più complicato. Nessuna donna si presentò in Australia fino al 1965, quando lo fece Lea Pericoli. Risultati modesti per lei, Daniela Porzio (poi Marzano) a gennaio 1977, Sabina Simmonds nel 1978 e Raffaella Reggi nel 1983. Poi, nel 1989 e sempre a parte il 1992, anche da qui non mancarono più le presenze tricolori.

E fu proprio la faentina a mettere insieme diversi eccellenti momenti: arrivò agli ottavi nel 1989 e nel 1990, incocciando prima contro Gabriela Sabatini (ma all’argentina riuscì a togliere un set) e poi Steffi Graf (che fu un po’ meno tenera). Poi nessuna più giunse tra le migliori 16 fino al 2001, anno che vide Rita Grande trovare un bel corridoio e lo scalpo di Amy Frazier, con l’americana al tempo 16 del tabellone. A fermarla senz’appello fu Martina Hingis. L’anno successivo la napoletana si ripeté, e giocò un bel match contro Jennifer Capriati agli ottavi, ma meglio di lei fece Adriana Serra Zanetti, nel torneo della vita. Virginia Ruano Pascual, Amy Frazier, Silvia Farina e Martina Sucha: queste le battute sull’inattesa strada verso le migliori otto. Fu lei, da Modena, la prima azzurra ad arrivare ai quarti a Melbourne. Poi colpì ancora il fattore Hingis, che poi proprio contro Capriati si divorò la finale da 6-4 4-0 avanti con quattro match point annessi. L’elvetica ebbe tanti guai fisici e si ritirò dal tennis fino al 2005, l’americana vinse l’ultimo Slam della carriera.

Nel 2004 furono due le azzurre agli ottavi: Farina (con ancora Ruano Pascual e Frazier sulla strada prima di perdere da Kim Clijsters) e Mara Santangelo, che dominò nelle qualificazioni e poi eliminò Magui Serna, Barbara Schett ed Eleni Daniilidou. Ma, dopo questa sequenza Spagna-Austria-Grecia, le toccò l’altra grande belga del tempo, Justine Henin, contro cui arrivò al tie-break nel secondo set. Ancora Farina nel 2005, da 15 del seeding: tre turni superati facilmente, poi il vantaggio contro Maria Sharapova, ma la russa rimontò e vinse 4-6 6-1 6-2.

Nel 2006 toccò a Francesca Schiavone in un anno da ben cinque italiane al terzo turno: solo lei andò agli ottavi e perse in due set tirati da Clijsters, sua storica nemesi sebbene i match siano spesso stati combattuti. La milanese tornò agli ottavi anche nel 2010, quando fu sotto 0-6 1-5 contro Alizé Cornet, poi rimontò e batté la francese 0-6 7-5 6-0, quindi sconfisse Julie Coin e, sullo slanciò, maltrattò Agnieszka Radwanska. Dalla polacca passò a Venus Williams: le tolse un set, poi si spense la luce. Che non si sarebbe spenta, invece, meno di sei mesi dopo al Roland Garros.

E non l’avrebbe fatto nemmeno a Melbourne nel 2011. Debutto rischioso con la spagnola Arantxa Parra Santonja e la canadese Rebecca Marino, promessa distrutta dalle nefandezze a lei rivolte dal peggio dell’ambiente degli scommettitori. Quindi la rumena Monica Niculescu, e poi il match che tutti ricordano, contro Svetlana Kuznetsova. 4 ore e 44 minuti, sei match point annullati, due volte avanti di un break, due volte ripresa, poi 6-4 1-6 16-14. Andò anche sul 6-3 3-1 contro Caroline Wozniacki, ma nel quinto game il serbatoio disse “basta” e chiuse: 3-6 6-3 6-3 per la danese, al tempo numero 1 del mondo.

L’anno dopo, dall’Australia iniziarono gli anni della parabola di Sara Errani. Fresca di cambio di racchetta, cancellò tutte le avversarie sulla propria strada (Valeria Savinykh, Nadia Petrova, Sorana Cirstea e Jie Zheng), perse un solo set contro Cirstea e fu ampiamente in partita con Petra Kvitova, anche se poi la ceca vinse 6-4 6-4. Nel 2014, infine, fu la volta di Flavia Pennetta, che dopo tre ottime performance nella prima settimana entrò nella seconda con quello che, fino a quel momento, fu il più bel set della sua vita. Angelique Kerber non sapeva dove girarsi, poi si riebbe e ne nacque una battaglia vinta dalla brindisina per 6-1 4-6 7-5. Poi arrivò Na Li lanciatissima, che le rifilò un doppio 6-2 e poi vinse con pieno merito quello Slam. Da allora, più nessuna italiana è riuscita ad arrivare tra le migliori otto. E nemmeno tra le migliori 16: tante le chance, nessuna a portarla a casa, chi per poco, chi senza andarci vicina.

Foto: LaPresse

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