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Ciclismo, Riccardo Riccò: “Sono stato uno sciocco, ma non ero il peggiore. La depressione e l’incidente in bici”

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Riccardo Riccò, professionista dal 2006 al 2011, è passato dai successi a Giro e Tour all’essere uno dei tre soli ciclisti radiati per doping al mondo. Il Cobra di Formigine da un po’ di anni ha una nuova vita: ha trovato l’amore e insieme a sua moglie Melissa ha aperto una gelateria a Vignola, in provincia di Modena, con ottimi gelati e torte fatte su più piani: “L’attività sta andando bene, siamo felici e abbiamo in progetto di aprire un’altra gelateria a 20 km da Vignola in primavera. Ho aperto anche un’Academy dove insegno da zero il mestiere del gelataio, dalla parte pratica sino a quella commerciale e quindi di gestione dell’attività. L’Academy è organizzata secondo pacchetti e ognuno può acquistare quello che più gli interessa in base alle proprie esigenze, dal gelato, alle torte e semifreddi“.

Come stai Riccardo? 

“Bene, sto bene grazie. A settembre una macchina non ha rispettato lo stop e mi ha investito mentre ero in bici, ma per fortuna non mi sono fatto niente di grave: mi sono rotto due costole e qualche graffio, ma il casco mi ha salvato sicuramente”. 

Purtroppo il tuo è solo uno degli innumerevoli casi che accadono ogni giorno. Il problema della sicurezza stradale resta al centro dei vari dibattiti…

“Ho ripreso a pedalare con costanza quest’estate dopo un po’ di anni in cui usavo pochissimo la bici e mi sono reso conto che la gente oggi alla guida è molto più distratta, soprattutto con il telefono, rispetto a quando correvo io”.

Ormai sono trascorsi diversi anni dalle tue vittorie da corridore: come pensi di essere ricordato oggi? 

“In gelateria vengono tanti tifosi e sono felice che si ricordino di me dopo tanti anni. All’inizio non ero ben voluto ma oggi, a distanza di tempo, le cose sono migliorate. Sono ripartito, ho capito i miei errori e sono andato avanti con la mia vita. Nel ciclismo inizialmente avevo un po’ di terra bruciata, sono riuscito a recuperare, ma sicuramente non sono considerato “l’angelo”, ma non sono neanche stato il peggiore”. 

Ti dispiace che la stragrande maggioranza associ il tuo nome al doping, quasi non dando peso ai risultati che avevi ottenuto?

“Purtroppo si viene ricordati per questo e non tanto per le vittorie. Mi sono reso conto dei miei errori, ma quella era l’epoca del ciclismo, non ero il solo. Mi piacerebbe oggi essere più presente nel mondo del ciclismo, ma è anche vero che è passato tanto tempo e me ne sono fatto una ragione”. 

A mente fredda, pensi che il sistema si sia accanito contro di te e ti abbia utilizzato come capro espiatorio?

“Secondo me al Tour del 2008 mi hanno usato come capro espiatorio, poi la seconda volta ho sbagliato io e mi hanno giustamente bastonato”.

C’è qualcuno del mondo del ciclismo che ti chiama ogni tanto?

“Danilo (Di Luca, ndr) lo sento spesso, eravamo amici e siamo rimasti tali”. 

Ti piacerebbe raccontare la tua esperienza di vita ai giovani per aiutarli a non ripetere certi errori? 

“Sì, molto. Non è stato facile per me, ho sofferto di depressione e sono stato tanto male. Mi piacerebbe quindi che la gente facesse tesoro di quello che posso raccontare”. 

Come lo vedi il ciclismo di oggi? Com’è cambiato in questi anni? 

“Invidio i ragazzi che corrono oggi, perché il ciclismo è cresciuto e anche a livello di immagine si è evoluto moltissimo. È sicuramente più organizzato e ne sono felice perché il ciclismo si meritava tutto questo”. 

E quello italiano invece? 

“L’Italia ormai è rimasta indietro e ha una grande lacuna difficile da colmare. Ci sono sempre le stesse persone di quando correvo io, ma il ciclismo è andato avanti e quindi occorrerebbe un cambio generazionale al passo con i tempi”.

A 40 anni che bilancio tracci della prima parte della tua vita?

“Che sono stato uno sciocco. Oggi faccio un lavoro ‘normale’ e quando le cose non vanno bene spesso guardo indietro. A 23 anni chiaramente ragioni diversamente rispetto a quando ne hai 40 e con il senno di poi avrei fatto le cose diversamente. Carlo Santuccione per me è stato come un secondo papà, era una persona di cui mi fidavo ciecamente. È stato un grande punto di riferimento; è una delle persone più competenti che io abbia conosciuto nel mondo della bici, un grande preparatore”. 

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