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Salto con gli sci
Sport Invernali, la nascita del “Polish Tour” genera una riflessione. Il pubblico italiano è più volubile di quello di altri Paesi?
Da venerdì 12 a domenica 21 gennaio assisteremo al cosiddetto “Polish Tour”, una serie di tre tappe polacche valide per la Coppa del Mondo di salto con gli sci. Si partirà questo weekend da Wisła, dopodiché ci si trasferirà a Szczyrk per un appuntamento infrasettimanale, concludendo poi il trittico sullo storico trampolino Wielka Krokiew di Zakopane.
Chi conosce la disciplina, sa bene come la Polonia sia una delle nazioni dove l’interesse e la passione per questo sport sono pantagruelici. Nel senso più letterale del termine, perché i fan sono insaziabili. Lo skoki narciarskie, come lo chiamano da quelle parti, è diventato nazional-popolare all’inizio del XXI secolo grazie ad Adam Małysz, capace di scrivere indelebili pagine di storia. L’oggi quarantaseienne nativo proprio di Wisła è un’autentica istituzione in terra polacca, tanto da essere diventato un affermato dirigente sportivo. Se volesse entrare in politica, raccoglierebbe facilmente molti voti “di simpatia”.
Quanto sta accadendo è propedeutico a effettuare una riflessione. Se si vuole trovare qualcosa di equivalente in Italia nell’ambito degli sport invernali, bisogna giocoforza scomodare Alberto Tomba. Solo l’ex sciatore bolognese ha saputo essere, per il nostro Paese, ciò che Małysz è stato per la Polonia. Un catalizzatore d’attenzione, capace di smuovere le folle, appassionando a un ambito generalmente settoriale anche la proverbiale “casalinga di Voghera”.
C’è però una grossa differenza fra le nostre longitudini e quelle polski. All’alba del 2024, lo sci non gode neanche lontanamente della stessa popolarità di cui era forte tre decenni orsono. Ritiratosi Tomba, nel marzo 1998, la bolla si è rapidamente dissolta. Sofia Goggia, Federica Brignone e Dominik Paris si stanno proponendo tra gli azzurri più vincenti di sempre. Eppure non sono in grado di far detonare le masse come ha saputo fare “la Bomba” nazionale.
Viceversa, il “Polish Tour” è il coronamento di un’ambizione che i polacchi avevano da tempo. Si tratta di un sogno diventato realtà nonostante Małysz abbia appeso il casco al chiodo nel 2011. Dunque 13 anni dopo Tomba e, curiosamente, anche 13 anni fa. Proprio per questa ragione, viene da pensare alla situazione dello sci alpino italiano in quel 2011. Nonostante l’oro olimpico appena conquistato da Giuliano Razzoli, la popolarità era al minimo storico nel post-Tomba. La risalita si è avuta con l’avvento della generazione del terzetto citato in precedenza.
Perché questo è accaduto? Forse il salto con gli sci di Polonia ha avuto la fortuna di trovare immediatamente un atleta in grado di raccogliere il testimone da chi ha acceso il fuoco della passione nel pubblico generalista. Parliamo di Kamil Stoch, che ha subito tenuto viva la fiamma con risultati eclatanti fra il 2013 e il 2014, proseguendo poi a macinarne fino al 2021. Nel frattempo, altri uomini di grido quali Dawid Kubacki e Piotr Zyła hanno egregiamente coadiuvato l’ormai trentasettenne di Zakopane.
In Italia questa dinamica non si è verificata. Non c’è stato un “Tomba-bis”, un uomo forte e vincente. I risultati sono arrivati anche a cavallo dei due millenni, ma senza che ci fosse una personalizzazione degli stessi. Solo per questo? No. Va sottolineato come Alberto sia stato un fenomeno mediatico, per mille ragioni. Dopo di lui, qualcosa di simile lo si è visto solo nel motociclismo con Valentino Rossi.
Però Małysz non era un Tomba dal punto di vista mediatico. Non lo è neppure Stoch. Il profilo è quello del più classico vicino di casa, quello gentile e volenteroso, che magari se sei assente ti ritira un pacco ed evita rimanga esposto alle intemperie. Insomma, non certo un personaggio fuori dagli schemi e sopra le righe.
Ci sarebbe da riflettere sul come e sul perché lo sci, in Italia, non sia mai più tornato ai fasti degli anni ’90, mentre il salto, in Polonia, sia rimasto in quota, crescendo addirittura al punto da diventare un business tale da attirare sponsor di peso e permettere la creazione di un evento che rappresenterà un pinnacolo organizzativo.
Solo una questione di eredità raccolta subito, oppure il pubblico tricolore è più volubile e frivolo di quello di altri Paesi? C’è bisogno del “fenomeno mediatico” per far innamorare gli italiani di uno sport? L’argomento viene qui proposto. Se ben sviluppato, potrebbe essere oggetto di una tesi di laurea in sociologia. Nel caso qualcuno volesse cimentarvisi, sarebbe ben accetto.
Foto: La Presse