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Ciclismo, Davide Martinelli: “Da ds vorrei vincere 1/10 di mio padre. Ho capito che dovevo smettere”

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Davide Martinelli

Davide Martinelli a fine 2023 ha deciso di chiudere la sua carriera agonistica e di voltare così pagina. Il trentenne bresciano, figlio d’arte (papà Beppe, detto Martino, è stato un buon professionista ed un grandissimo direttore sportivo ed è tuttora in ammiraglia  all’Astana, ndr), da questa stagione è entrato a far parte dello staff tecnico del Team MBH Back Colpack Ballan CSB, formazione con la quale Martinelli ha gareggiato da Under23 nel 2014 e 2015 ottenendo 10 successi, tra cui 2 titoli italiani a cronometro e 2 podi europei su strada e nelle prove contro il tempo. L’abbiamo raggiunto telefonicamente in Spagna a Calpe dove si trova in ritiro con la squadra.

La Coppa Bernocchi in maglia Astana è stata la tua ultima corsa. Come sono stati questi primi mesi da ex? 

“Bello, sono entrato subito in un nuovo progetto e quindi ho sentito poco il passaggio. Non ho avuto tanto tempo per pensarci e penso che sia stato un bene. La mia è stata una decisione consapevole e sono riuscito a vivere il tutto a cuor leggero”. 

Cos’hai fatto durante il periodo invernale in cui non dovevi uscire tutti i giorni in bicicletta? 

“Sono uscito qualche volta in bici e devo dire di essermi goduto le uscite al 100%, un giorno ho addirittura fatto quattro ore. Quando sei corridore anche nei momenti di scarico non puoi mai mollare la presa, quest’inverno ho scoperto un altro ciclismo ed è stato bellissimo”.

Com’è iniziata invece la tua collaborazione con il Team MBH Back Colpack Ballan CSB, come assistente direttore sportivo? 

“La Colpack è un ambiente che conoscevo bene ed ero sicuro di trovare un clima sereno. Mi sono sentito di nuovo come a casa: è una formazione con un progetto ambizioso anche in vista della prossima stagione (la squadra del Team Manager Bevilacqua passerà Professional nel 2025, ndr) e questo mi ha dato un’ulteriore motivazione. Tutto è cominciato alla festa dei fratelli Carera lo scorso novembre quando ho incontrato sia Rossella Di Leo che Gianluca Valoti e tra una chiacchiera e l’altra si è presentata questa grande occasione”. 

Ti capita di confrontarti con il tuo papà? Gli chiedi qualche consiglio? 

“Sì, sicuramente. Ci siamo confrontati tanto più che altro sui rapporti da tenere con i ragazzi, da atleta a direttore sportivo il passaggio è brevissimo: in questa nuova veste sono io che devo offrire qualcosa agli altri e soprattutto non bisogna pensare da corridore riuscendo anche a mantenere quel giusto distacco con i ragazzi. Devi essere un conoscente e non un amico, altrimenti il tutto si complica e prendere decisioni diventa difficile. Non è facile perché molti di loro li conosci e magari ci hai anche corso insieme, ma è necessario farlo per riuscire a lavorare nel migliore dei modi”. 

Da quale corsa debutterai in questa nuova veste? 

“Dovrei iniziare all’Umag Trophy in Croazia a fine febbraio, ma per questo primo periodo sarò solo di supporto e cercherò di imparare il più possibile”.

Come ti immagini la prima volta in ammiraglia? 

“Non lo so, ma emozionante sicuramente. Sarà un momento che rigodrò per sempre, così come la prima corsa tra i professionisti. Mi rendo conto di essere un privilegiato e so di essere stato fortunato, quando ero bambino sognavo di diventare professionista e ci sono riuscito, da atleta poi mi sarebbe piaciuto – una volta appesa la bici al chiodo – seguire le orme di mio papà e quindi intraprendere la strada del direttore sportivo e mi si è presentata questa bella opportunità che ho voluto cogliere al volo”. 

Otto stagioni da professionista, tantissime le esperienze e i km in sella. Trasmetterai quanto appreso in tutti questi anni ai tuoi ragazzi? 

“Sì, ho avuto anche modo di raccontare già qualcosa ai ragazzi che mi vedono come un consigliere che ha vissuto il ciclismo moderno”. 

Come vedi il ciclismo italiano? Chi sono i giovani interessanti in prospettiva? 

“Ce ne sono parecchi di giovani interessanti, abbiamo però bisogno di un campione che possa essere un leader vero. Non è vero che in Italia non abbiamo corridori, è solo che  a vincere sono sempre gli stessi e quindi gli altri passano per corridori mediocri, ma molto spesso sono dei grandi corridori che fanno un “lavoro sporco” e spesso passano in secondo piano”. 

Avendo visto da vicino gli atleti del Team Colpack in questi ritiri invernali da chi ti aspetti un salto di qualità quest’anno? 

“Abbiamo in squadra corridori che hanno raccolto già tanto negli scorsi anni come ad esempio Ambrosini, Meris e Nespoli. Da loro, ma anche da un altro paio di corridori ripongo delle grandi aspettative. Sono giovani che, dati alla mano, vanno davvero forte e non mi aspettavo di trovarli a questo livello”. 

Ti manca l’essere atleta? 

Ogni tanto, poi però mi fermo a pensare e capire il perché ho deciso di smettere“.

Ti sei dato poi una risposta?

“Sì, forse le gare cominciavano a piacermi meno rispetto ai primi anni e sentivo di non avere più quel fuoco necessario per continuare a fare bene la vita da atleta”. 

Qual è oggi il tuo sogno nel cassetto? 

“Nel breve periodo mi piacerebbe vincere, essendo bresciano, il Città di Brescia; nel lungo termine invece vorrei vincere un decimo di quello che è riuscito a conquistare mio papà nella sua carriera”. 

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