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Olimpiadi, 40 anni fa si chiuse Sarajevo 1984. Fu l’ultimo atto della Jugoslavia unita, sportivamente e culturalmente

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Sarajevo1984 | Hedwig Klawuttke CreativeCommons

Nella giornata odierna cade un significativo anniversario, quello della cerimonia di chiusura dei Giochi olimpici invernali di Sarajevo 1984. La ricorrenza merita di essere approfondita, poiché lo spegnimento di quel braciere espresse simbolicamente la fine dell’unità jugoslava.

Quella manifestazione fu l’ultimo atto coordinato e armonico di un organismo di cui già si percepivano i primi segnali di disfacimento. La morte del Maresciallo Tito, avvenuta nella primavera del 1980, aveva dissolto l’anima stessa della Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija.

Slovenia e Croazia, le ricche repubbliche federate del nord, domandavano sempre più autonomia. Aree di etnia e religione differenti, quali il Kosovo, rivendicavano con maggior forza la propria identità. Richieste che il governo centrale di Belgrado non era disposto a soddisfare. Sappiamo in quali drammatici eventi sfocerà questa differenza di vedute. Eppure, nel febbraio del 1984, la Jugoslavia visse per l’ultima volta in armonia.

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Quei Giochi, ottenuti nell’autunno del 1977 superando sul filo di lana la concorrenza di Sapporo (39 preferenze contro 36 al ballottaggio, dopo che Sarajevo si era trovata indietro 31 a 33 nella prima votazione), rappresentavano un evento storico. In piena Guerra Fredda, per la prima volta le Olimpiadi bianche si sarebbero disputate oltrecortina, seppur in un Paese “non allineato” allo strapotere di Mosca.

La manifestazione non fu fine a sé stessa. Apportò benefici diffusi, in quanto la città di Sarajevo ebbe modo di modernizzarsi, come successivamente sapranno fare anche Barcellona e Torino. Nel caso di specie, l’agglomerato urbano venne completamente gassificato, permettendo agli abitanti di riscaldare le proprie case in maniera più efficace (e meno inquinante) rispetto alle vetuste stufe a legna o a carbone.

Abitanti che, nel giorno della cerimonia inaugurale, si riversarono spontaneamente in massa nelle strade. Non per festeggiare o manifestare, bensì per lavorare alacremente allo scopo di liberare le vie dall’esagerata nevicata verificatasi durante la notte. Perché quelle Olimpiadi, sotto molti punti di vista, seguirono l’ipotetico copione di un film.

Furono a rischio fino all’ultimo momento, giacché nei Balcani l’inverno fra il 1983 e il 1984 fu caratterizzato da temperature anomale e miti. Si temeva che la manifestazione naufragasse, tramutandosi in un fallimento epocale. Invece la neve arrivò, tutta assieme, giusto in tempo per salvare l’evento e conferirgli un’atmosfera idilliaca.

Da film fu anche quanto accadde nel corso dei Giochi. Fino al 1984 la Jugoslavia non aveva mai conquistato una medaglia in ambito invernale, ma spezzò l’astinenza proprio nell’edizione casalinga. L’uomo del destino fu Jure Franko, che nello sci alpino si fregiò dell’argento nel gigante grazie a una seconda manche strappacuore alla “o la va, o la spacca”.

Per l’ultima volta la Jugoslavia fu davvero unita, dimenticando temporaneamente quelle tensioni che detoneranno tremendamente nell’estate del 1991, sbriciolando una nazione che ormai non era più tale. Fu proprio Sarajevo a soffrire più di ogni altra città. Assediata per anni, venne letteralmente dilaniata dal conflitto.

Tragicamente, i siti dei Giochi si trasformarono in luoghi strategici dal punto di vista bellico. Vennero utilizzati dagli assedianti come postazioni per i cannoni dell’artiglieria e per i cecchini, oppure tramutati in campi minati. I luoghi dove si era celebrata una festa divennero fonte di morte e distruzione per un quadriennio. La stessa durata di un ciclo olimpico.

Con la fine delle ostilità, si è progressivamente e faticosamente tornati alla normalità. La rinascita si è simbolicamente completata nel 2019, quando Sarajevo fu palcoscenico dell’EYOF invernale (il Festival olimpico invernale della gioventù europea).

Al giorno d’oggi, nei territori un tempo uniti nella Repubblica jugoslava, gli sport invernali sono praticati soprattutto (per non dire esclusivamente) in Slovenia e Croazia. La Serbia, il Montenegro e Kosovo brillano altrove (tennis, pallavolo, basket, pallanuoto e judo). La Macedonia del Nord sgambetta l’Italia del calcio.

La Bosnia-Erzegovina, di cui Sarajevo è diventata la capitale, aspetta ancora la sua prima medaglia olimpica. Giust’appunto sabato, ha però sfiorato un clamoroso podio nello sci alpino. Elvedina Muzaferija ha chiuso quarta la discesa libera di Crans Montana, mancando la terza posizione per soli 11 centesimi.

Insomma, anche la Bosnia-Erzevogina si attesterà nelle prime tre posizioni in un teatro di rilievo assoluto. Se fosse un film, come fu Sarajevo 1984, accadrebbe proprio fra pochi mesi a Parigi, nell’anno del quarantennale di quell’evento corale al quale era giusto tributare un ricordo.

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