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Amara sconfitta per Flavio Cobolli: troppi errori e Kotov avanza ai quarti a Marrakech

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Flavio Cobolli
Cobolli / LaPresse

Amara sconfitta per Flavio Cobolli negli ottavi di finale dell’ATP250 di Marrakech (Marocco). Sulla terra rossa nordafricana il giocatore italiano (n.63 del ranking) è stato sconfitto dal russo Pavel Kotov (n.68 ATP) con il punteggio di 6-1 7-6 (5) in 1 ora e 58 minuti di partita. Un match nel quale l’azzurro ha commesso troppi errori e non ha sfruttato le proprie chance “break”, al contrario del suo avversario che si è rivelato più lucido. Kotov approda ai quarti dove affronterà il vincente della sfida tra Fabio Fognini e il serbo Laslo Djere (testa di serie n.1).

Nel primo set Cobolli pecca sia in termini di concretezza che di strategia. Tante/troppe palle break non sfruttate (primo, terzo e settimo game, quattro in totale). Il romano vuole fare a gara di pallate, cercando poco gli angoli e consentendo così a Kotov di fare la differenza con la sua palla molto penetrante. La prima di servizio non assiste il nostro portacolori e il russo è chirurgico nel capitalizzare le sue opportunità in risposta, archiviando il parziale con lo score di 6-1.

Nel secondo set il romano continua a costruirsi delle possibilità per andare avanti di un break o di vantaggio nei turni in risposta, ma un po’ per i meriti del rivale e un po’ per poca lucidità non è concreto, come nell’ottavo e nel decimo game (set-point). Flavio deve però anche salvarsi dallo 0-40 dell’undicesimo gioco, prima di andare al tie-break. Qui i rimpianti non mancano perché, avanti 5-3, l’azzurro non trova il campo con un dritto abbastanza comodo e nei fatti la sua partita finisce qui. Kotov è molto convincente nei due servizi successivi e un altro dritto steccato costa il 7-5 al classe 2002 del Bel Paese.

Leggendo le statistiche, a pesare è chiaramente il 7/7 alla voce “palle break salvate” dal russo, più abile invece a sfruttare le sue occasioni, tenendo conto anche di un Cobolli che ha commesso tanti errori e con una prima di servizio messa in campo solo nel 43% dei casi.

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