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Basket, Giulia Arturi: “Quand’ho iniziato non potevo avere così tante speranze. Nei playoff pronte a battagliare”

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Arturi / Davide Di Lalla/IPA Sport

Giulia Arturi, per il Geas, sarà sempre un nome ricco di significato. E di storia. La stessa maglia l’ha vestita fin dall’inizio della sua carriera, dando a Sesto San Giovanni semplicemente tutto. E oggi, dopo vent’anni trascorsi sul parquet, è pronta ad affrontare gli ultimi playoff della carriera, che vedranno lei e le sue compagne in campo contro Campobasso. L’abbiamo raggiunta per un’intervista in cui c’è pallacanestro, sì, ma non soltanto.

Per te com’è arrivare alla fine?

E’ stato un lungo percorso. Tutte le cose hanno un inizio e hanno una conclusione, mi sto godendo queste partite, questi playoff. Sono felice, anche se mi mancherà tanto“.

E ti sei goduta l’abbraccio del PalaNat all’ultima di stagione regolare.

E’ stata molto emozionante, tutti a festeggiare con i miei amici più cari, le compagne di squadra del passato. Ti da un po’ la misura di tutto, è un po’ il senso di quello che ho fatto“.

Per te 20 anni abbondanti sempre con la maglia del Geas. Cosa ti ha spinta a non voler cambiare mai?

Quando sono salita per la prima volta in A1 a vent’anni, poi siamo state 4-5 anni in massima serie. Poi quando siamo scese in A3 l’obiettivo era diventato riportare la mia squadra dove meritava di stare. Da lì è stata ogni anno una nuova sfida. Non ho mai avuto rimpianti, è stato bello così. Mai annoiata! Ogni anno un obiettivo, e questo mi ha spinto. Ed è una fortuna poter costruire così tanto in tutti questi anni, avere l’opportunità di fare qualcosa nel posto in cui sei“.

Di questi anni, quello per te più bello qual è stato?

Questa è la classica domanda impossibile! Le tre promozioni sono state bellissime, dall’A2 all’A1. Ma anche alcuni anni di A1, la finale di Coppa Italia che abbiamo fatto nel 2019. Sceglierne uno in cui condensare tutto è difficile“.

Anche perché da ognuno di essi puoi trarre qualcosa di felice, di positivo.

Ogni annata, ogni stagione, ogni cosa ha contribuito a costruire legami, rapporti, esperienze. Da ogni anno si è portato a casa qualcosa“.

Cosa senti di aver dato alla pallacanestro in questo percorso?

Mi ha cresciuto come persona, la pallacanestro. Lo sport di squadra ti da il senso di stare con gli altri, cosa vuol dire sacrificarsi, essere generosi, sapersi interfacciare con l’altro, arrivare da qualche parte. Cosa ho dato? Tutto quello che avevo, fisicamente ed emotivamente. Ci ho messo sempre tutto il cuore del mondo. Non mi sono mai tirata indietro“.

Come vivi questa serie di playoff, sapendo che per te è l’ultima?

Uguale alle altre, come una serie di playoff. Un po’ più speciale, sì, sarà difficile lasciare qualcosa che ho fatto per tutta la vita. Un grande cambiamento, ma prima o poi va affrontato, al momento giusto. Li vivo con grande gioia. La speranza è di andare più lontano possibile“.

Serie con Campobasso che è la meno scontata di tutte, viste le squadre vicine come valori.

In campionato le abbiamo perse tutte e due, ma in Coppa Italia abbiamo vinto ai quarti. Tutte partite combattutissime, ruvide, difficili. Sarà una bella serie. Dovremo ribaltare il fattore campo, sarà una difficoltà in più. E non sarà facile, ma siamo pronte a battagliare“.

Con una squadra che ha dimostrato molte cose quest’anno, perché ha unito talenti, straniere ed emergenti.

Alla fine è il lavoro di due anni, perché tanto di questo gruppo parte da lontano. Quest’anno, secondo me, siamo migliorate rispetto a quello scorso in tante cose. Nella solidità, nella costanza. Affrontiamo questi playoff su di questo“.

La cosa che colpisce, ogni anno, del Geas, è che in realtà i percorsi di due anni sembrano sempre continuativi, quasi pluriennali a mandata continua.

Vero. Ci sono tante persone che restano per un po’ qua. Con dei cambiamenti mirati si mette a frutto il fatto di conoscersi da tempo, che aiuta“.

Come hai visto il campionato che ha appena finito la regular season anche in riferimento a quelli scorsi?

Parlo di noi, perché rispetto all’anno scorso siamo riuscite a giocare a viso aperto contro le big del campionato spesso. Vedo sempre un bel trio lì davanti, però i playoff sono i playoff. Ogni partita è stata difficile, campionato bello tosto dove bisognava veramente prepararsi bene e combattere ogni domenica“.

Si è in effetti visto il fatto che le squadre più in difficoltà all’inizio abbiano recuperato e migliorato, così da mostrare sempre meno risultati netti.

Sono d’accordo. Campionato molto tosto, competitivo“.

Hai sempre voluto affiancare qualcosa di diverso, nel caso l’attività giornalistica, a quello che facevi sul parquet. Per te questo è stato un passaggio naturale?

Sì, da quando ho smesso di studiare nel 2015 ho iniziato a lavorare. Dal 2018 sono giornalista professionista e ho portato avanti entrambi i percorsi. Poi ho privilegiato più il basket in A1 perché è diverso giocare in A1 e in A2 dal punto di vista del tempo. Ormai sono 10 anni che porto avanti le due cose in contemporanea. Finirò col parquet, continuerò con quello che ho costruito fuori dal campo“.

Hai poi avuto sempre tantissime collaborazioni avviate: avrai solo l’imbarazzo della scelta.

In realtà non sarà così facile rimboccarsi le maniche e capire veramente qual è la mia strada, senza perdere di fiducia. Così farò“.

Peraltro non ti sei occupata di solo basket.

Mi è capitato di fare anche altro, ho lavorato in tante redazioni. Non è solo la pallacanestro che mi appassiona in ambito sportivo. Mi piace lo sport in generale, da appassionata e dal punto di vista professionale“.

Altra domanda impossibile. Hai visto passare sotto i tuoi occhi tante giocatrici forti, per tanti vale ad esempio Zandalasini da giovane. Quali sono quelle che tu hai visto che per te sono state le più forti?

Ti direi Ticha Penicheiro, che ha giocato con noi nella stagione 2008-2009, e poi Jazmon Gwathmey che è qui ancora oggi“.

Gwathmey fa venire in mente anche il periodo in cui avete avuto tanti problemi di infortuni, che però avete superato con la forza del gruppo, il vostro credo principale.

Purtroppo gli infortuni ci hanno raramente lasciate in pace. Devi comunque scendere in campo a giocare. Si trovano altre risorse. Se manca qualcosa si costruisce con qualcos’altro. O così o niente“.

Si definisce spesso il Geas come un ambiente-famiglia. Quanto c’è di vero?

La testimonianza è che tante giocatrici rimangono qui diversi anni: è un posto dove si lavora bene, e dove giocatrici e persone vengono e stanno volentieri“.

Che rapporto hai avuto con Cinzia Zanotti in tutti questi anni?

Abbiamo condiviso tantissime annate ed esperienze di qualsiasi genere. Ormai non so più neanche da quanto mi allena, da tanto è! Siamo passate da qualsiasi esperienza: A1, A3, risalire solo con le nostre forze, ne abbiamo fatte di ogni. Questo è qualcosa che rimarrà per sempre“.

Curiosità social: su Instagram hai un cappello blu, che in inglese è cap. Appunto capitana. Come nasce?

Mi chiamano tutti cap! Inevitabilmente è venuto il cappellino“.

Te l’hanno mai fatto indossare nella realtà!

No, niente cap reale! Solo virtuale“.

Con quali speranze cominciavi il tuo percorso nella pallacanestro e quanto senti di aver realizzato?

Quando ho iniziato a giocare non potevo avere così tante speranze. Ero una bambina che si divertiva a giocare col pallone. Ho capito man mano cos’era la pallacanestro dal punto di vista umano. E anche mi fossi immaginata qualcosa, non sarebbe stato quello che è accaduto, perché è stato tutto troppo bello, oltre le mie aspettative“.

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