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Golf
Masters Augusta 2024: le 18 buche ai raggi X. Fascino intramontabile a Magnolia Lane
Augusta National Golf Club. Il percorso più iconico che ci sia nel golf. Un nome, una garanzia. Mai il Masters si è disputato lontano da Magnolia Lane, con il primo Major dell’anno che è il sogno di ogni giocatore che si approccia a questo sport. La ‘Giacca Verde’ quest’anno sarà più ambita che mai, con il duello annunciato tra Scottie Scheffler e il campione in carica John Rahm stracolmo di sfaccettature e storie da raccontare. Non ci sarà purtroppo il tricolore protagonista, con Francesco Molinari che ha perso l’esenzione dopo il suo trionfo all’Open nel 2018, e non sarà sul campo che nel 2019 lo ha visto fermarsi ad un passo dal songo, dopo una domenica che non ha mai veramente superato.
Buca 1 (Tea Olive, par 4, 445 yards): prende il nome dall’arbusto sempreverde originario della Cina e del Giappone. Leggero dogleg verso destra tutto in salita, ampio spazio per il tee shot ma sbagliarlo può risultare fatale. Importantissimo è infatti il secondo colpo, che deve essere preciso e possibilmente nel segmento del green dove è posta la bandiera. Approccio molto complicato fuori dal green, e anche chiudere in due putt se si è lontani dalla buca non è per nulla scontato.
Buca 2 (Pink Dogwood, par 5, 585 yards): il nome deriva da una particolare specie di corniolo, che si origina in Nord America e in Messico. Buca che scende in discesa e vira verso sinistra. Primo vero momento da birdie di tutto il percorso, un par 5 che con un tee shot preciso può tranquillamente essere raggiunto in due colpi. Vietato entrare nel bunker con il primo colpo, e assoluta attenzione anche ai due ostacoli di sabbia che proteggono il green. ‘Tricky’ tutti gli approcci e le letture delle pendenze di un green veramente ostico.
Buca 3 (Flowering Peach, par 4, 350 yards): buca che è una variante floreale del pesco che si trova in Cina, la meno modificata del campo dal disegno originale di Alister MacKenzie e Bobby Jones. Classico par 4 corto con due strategie; quasi tutti preferiscono giocare il ferro dal tee per avere un colpo quasi pieno di secondo ed evitare di mettere in gioco i quattro bunker, c’è chi però è più aggressivo e si posizione sotto al green. Attenzione però, occorre essere precisi con il secondo colpo. Rimanere corti può essere fatale, e attenzione che se si va lunghi il putt in discesa è da toccare appena.
Buca 4 (Flowering Crabapple, par 3, 240 yards): nella sostanza è il melo selvatico fiorito, originario dell’Estremo Oriente, che offre il nome a questa buca. Primo snodo complicato delle 18 buche, ferro lungo al green con spesso vento ingannevole che entra a dar fastidio ai giocatori. Uscire con un par è assolutamente positivo, per un green che più volte ha cambiato la sua forma.
Buca 5 (Magnolia, par 4, 495 yards): il fiore in questione è tra i più antichi che si conoscano. Tutti metterebbero la firma per scavallare questo ostacolo con il par. Buca lunghissima in salita con dogleg verso sinistra, un tee shot impegnativo in cui per raggiungere il green nei colpi regolamentari è imperativo trovare il fairway (due ostacoli di sabbia sono pronti a raccogliere diverse palle). Green ondulato che scende verso avanti, e un bunker lungo sono le difficoltà maggiori per approccio e putt.
Buca 6 (Juniper, par 3, 180 yards): il nome è quello del ginepro comune, diffuso in tutto il mondo nelle sue 50 e più specie. Tee rialzato e green ondulato diviso in diverse sezioni. Se si trova il ferro giusto non è troppo complesso mettere una palla in bandiera, ma se si sbaglia lunghezza e settore del green, fare due putt è tutt’altro che banale.
Buca 7 (Pampas, par 4, 450 yards): questo nome della buca porta in Argentina, con la celebre erba nota anche come Cortaderia selloana. Par quattro sostanzialmente dritto, con il tee shot stretto da non sbagliare. Se si atterra sulla parte centro-sinistra del fairway si avrà un secondo colpo dal piano, cosa molto rara ad Augusta, e un ferro corto preciso può portare al birdie. Da evitare i bunker in protezione del green, tre davanti e due dietro.
Buca 8 (Yellow Jasmine, par 5, 570 yards): in questo caso il nome viene da un tipo di gelsomino particolare, diffuso in tutta l’America centrale. Lungo par 5 in salita raggiungibile in due solo dai grandi bombardieri, detto ciò superare il bunker a destra che si trova all’inizio del fairway è il compito più importante. Green difficilissimo, non protetto da bunker ma da diversi ‘tumuli’, il più grande dei quali costeggia il suo lato sinistro; inoltre c’è una pendenza molto accentuata che taglia a metà questo vastissimo green.
Buca 9 (Carolina Cherry, par 4, 460 yards): la scelta del nome ricade su un sempreverde diffuso su tutta l’area sudest degli Stati Uniti. Buca famosa per il suo dislivello, e per il green formato da diversi gradoni che scendono dalla fine all’inizio. Largo punto d’atterraggio per il primo colpo, attenzione al secondo che se colpito corto può tornare parecchio indietro.
Buca 10 (Camellia, par 4, 495 yards): la pianta è originaria dell’Asia ed il nome del genere è da attribuire direttamente a Linneo. La buca più difficile dell’intero percorso, con una media storia di 4.30. Ripida discesa dal tee con un bunker centrale lungo quasi 60 metri sotto al green. I giocatori proveranno a tirare il drive verso il centro sinistro per ottenere l’angolazione migliore in un green che si lancia da destra a sinistra. Qualsiasi errore qui, con qualsiasi colpo, è solitamente punito assai severamente.
Buca 11 (White Dogwood, par 4, 520 yards): il nome viene dalla Cornus florida, di grande diffusione nella parte est degli Stati Uniti. Altro par 4 lungo da prendere con le pinze, la prima delle tre buche del celeberrimo Amen Corner. Spesso il vento è un fattore che entra in gioco, per uno dei tee shot più delicati dell’intero percorso. Uno stagno protegge il green a sinistra e un bunker è strategicamente posizionato a destra, già raggiungerlo in due può essere un successo.
Buca 12 (Golden Bell, par 3, 155 yards): il genere di angiosperme delle quali la buca porta il nome si origina in piena Asia. Generalmente è il turning point del torneo, chiedere a ‘Chicco’ per saperne di più. Qui sono finite speranze e anche carriere, nella buca più corta e infida dell’Augusta National. Sicuramente è una delle buche più famose e iconiche al mondo, la scelta del ferro è sempre complicatissima e l’elemento fondamentale. Vento che spesso dal tee non si riesce proprio a leggere, tre bunker dietro al green ma soprattutto il ‘Rae’s Creek’ che aspetta tantissimi tee shot, con il colpo poi dalla dropping zone ancora più difficile.
Buca 13 (Azalea, par 5, 545 yards): il nome suggerisce da solo la presenza di una pianta diffusa in non meno di tre continenti. Qui c’è stata l’ultima modifica del percorso, con la costruzione di un tee arretrato per allungare la buca generalmente più semplice del campo (4.77). Dall’anno scorso ci sono 50 metri in più prima di trovare il green, ora raggiungibile in due solo dai golfisti più lunghi. Comunque, birdie e eagle non mancheranno, anche se da due colpi guadagnati in una buca a un doppio bogey il passo è cortissimo.
Buca 14 (Chinese Fir, par 4, 440 yards): sebbene sia da tradurre come “abete cinese”, la pianta non è un abete vero e proprio. Par 4 senza nessun bunker, ma con un green assai complicato, costruito a ‘terrazze’ che scendono da destra a sinistra. Dopo un drive ben piazzato, il secondo colpo sarà solitamente un ferro medio, se giocata con criterio sarà assolutamente una chance per guadagnare un colpo.
Buca 15 (Firethorn, par 5, 550 yards): tradotto, è l’agazzino, molto diffuso in zona eurasiatica. Quando il vento è a favore, raggiungerlo in due è cosa semplice, ma trovare il birdie non sempre è così scontato. Colpo al green che deve essere ben calibrato, troppo spin fa tornare la palla nello stagno corto (Sergio Garcia da campione in carica qui fece 13), a destra c’è un bunker dal quale approccio e putt non è per nulla garantito.
Buca 16 (Redbud, par 3, 170 yards): l’origine del nome viene da un piccolo arbusto la cui diffusione parte dall’Ontario (Canada). Questa buca si gioca interamente sull’acqua verso un green protetto da tre bunker. Con la superficie del putting inclinata in modo significativo da destra a sinistra, è necessario un tee shot preciso per crearsi una ragionevole possibilità di birdie. Qui ci fu l’approccio capolavoro imbucato da Tiger Woods, per uno dei più iconici colpi nel golf della storia.
Buca 17 (Nandina, par 4, 440 yards): in questo caso il nome è quello di un noto bambù che è nativo della parte est dell’Asia. Particolare è la storia che gira attorno a quello che era l’albero intitolato a Eisenhower. Fu colpito così tante volte che ne venne proposto, già negli Anni ’50, l’abbattimento. Alla fine fu necessaria “solo” una tempesta di neve nel 2014. Green in salita protetto da due bunker, un birdie è complicato, soprattutto nel weekend.
Buca 18 (Holly, par 4, 465 yards): il nome viene da una particolare variante di queste celebri piante ornamentali. Tantissime le storie su una delle buche finali più celebri del golf, con diversi ribaltamenti di scena che hanno dato adito a esultanze e disperazioni entrate nella storia. Una delle buche più difficili del percorso, con un tee shot in salita e un punto d’atterraggio strettissimo. Ideale la parte sinistra del fairway (attenzione però all’ostacolo di sabbia che staziona lì vicino), per evitare di avere le piante e di dover far volare eccessivamente la palla da sinistra verso destra. Una volta arrivati nei pressi del green, il compito è tutt’altro che portato a casa.