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Tennis
Tirato a lucido e convinto: sta tornando il Matteo Berrettini che conosciamo
Una partita da lacrime agli occhi. Matteo Berrettini ha raggiunto la finale del torneo ATP di Marrakech dopo una sfida durissima contro Mariano Navone, salito alla ribalta nelle ultime settimane dopo essere arrivato in finale al torneo di Rio de Janeiro. Un ritorno a giocarsi un trofeo dopo un lungo anno e mezzo, dalla finale di Napoli contro Lorenzo Musetti. E la giusta iniezione di fiducia per dimostrare che sì, il romano ha imboccato la strada giusta.
Così come nel ritorno in campo a Phoenix, Matteo sta dimostrando infatti una buonissima capacità di fondo, cosa non scontata dopo un lungo periodo di inattività. Nel Challenger americano era stato costretto a tre partite in fila al terzo set, in rimonta, addirittura con i tempi ristretti a causa del maltempo dell’Arizona. E in questa settimana marocchina ha mostrato degli ulteriori passi in avanti, non solo fisici ma anche tecnici.
Partiamo dal primo fattore. L’impressione è che l’azzurro stia tornando piano piano nella forma migliore, principalmente atletica. Nel 2023 ha compiuto spesso l’errore di ‘inseguire’ la propria condizione fisica, incappando in tanti piccoli contrattempi che ne hanno minato il fondo e l’atletismo. Invece, la lunga pausa dopo l’infortunio agli US Open, prolungata fino allo scorso mese, gli ha permesso di lavorare nel modo giusto e presentarsi a questi appuntamenti già tirato a lucido.
Da non sottovalutare da questo punto di vista l’ingresso di Francisco Roig nel suo staff come allenatore. Il coach iberico è uno dei piccoli grandi segreti della lunga carriera di Rafa Nadal, entrando nel suo staff nel 2005 fino al 2023. Tanto che il mancino di Manacor lo considera uno degli uomini che lo ha aiutato ad essere ‘un giocatore migliore’. Per la sua maniacalità del movimento con la racchetta in mano: Roig spesso andava a correggere Nadal proprio sul movimento e sugli eventuali ‘strappi’, quelli che negli ultimi tempo hanno condizionato la fascia addominale di Berrettini. E magari, con la sua esperienza, si è deciso di non forzare la mano e lavorare in primis sul piano atletico e fisico e poi su quello del gioco. Per permettere a Matteo di imboccare la strada giusta. Quella che può portarlo ad una classifica che più gli compete, almeno tra i primi 20 giocatori al mondo.