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Golf: Rory McIlroy, i perché di un crollo mentale. Italiani tra sprazzi e percorsi

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Rory McIlroy
McIlroy / LaPresse

Chissà dov’è ora Rory McIlroy. Un’ora prima era lì, pronto a vincere lo US Open, a interrompere dieci anni di digiuno Major, a riprendere la corsa a quel numero 1 del mondo che, attualmente, è con pieno merito nelle mani di Scottie Scheffler. Un’ora dopo lo si è trovato alla 18, incapace di credere di aver sbagliato un putt che lo avrebbe portato perlomeno al playoff con colui che, pochi minuti dopo, si è proclamato come vincitore, Bryson DeChambeau.

Per il nordirlandese, in qualunque lingua del mondo, ora gli aggettivi si stanno sprecando. Ma la realtà è che, banalmente, di nuovo è emersa quella sua caratteristica che forse gli ha impedito di poter aumentare il livello di grandezza che già ha. Perché, va ribadito, McIlroy ha vinto decisamente meno di quanto avrebbe potuto, e già è stato pluridecorato con 40 vittorie complessive da pro e un percorso che, dopo un periodo molto opaco tra 2017 e 2018, lo ha riportato, dal 2019 in poi, a essere prima un giocatore competitivo su tutta la linea e poi un contendente per i Major.

Vero è che, dal 2022 in avanti, non aveva quasi più vissuto momenti davvero brutti nei quattro tornei maggiori (a parte il taglio al Masters 2023, rimasto però un episodio isolato). E proprio ad Augusta era arrivato secondo nel 2022, stesso anno in cui era giunto terzo all’Open Championship. E nel 2023, allo US Open, aveva chiuso alla piazza d’onore. Ma, se l’anno scorso aveva avuto un ultimo giro particolare con birdie immediato, bogey alla 14 e Wyndham Clark che ha rischiato di farsi trascinare al playoff con le sue stesse mani, questa volta è accaduto qualcosa di davvero molto diverso. Diverso, chiaramente, anche da Augusta 2022, quando anzi infilò una magnifica rimonta che lo portò a piazzare l’unico giro privo di bogey tra tutti i partecipanti a quell’edizione insieme a un -8 d’autore.

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Stavolta, però, il colpo è di quelli grandi. Un putt da meno di un metro alla 15 come non ne aveva mai sbagliati in tutta la stagione, altri problemi alla 16. E poi la 18, la fatal 18. Dove, beninteso, DeChambeau aveva anch’egli fatto un grosso errore, finendo in un’autentica selva che aveva tutto di selvaggio e niente di tranquillo, ma è riuscito a tirarsi fuori dalla prospettiva di un ramo a un palmo di mano per finire in bunker e poi approcciare in maniera spettacolare per il titolo.

McIlroy, invece, il putt da distanza minima l’ha sbagliato. Di nuovo. Stregato dalla tensione, dai pensieri, da tutto quello che si può avere in mente. Difficile immaginare cosa ci sia nella sua testa adesso. Difficile anche immaginare come potrà affrontare le prossime settimane e soprattutto la vigilia di un Open Championship nel quale avrebbe tutti i mezzi per partire tra i favoriti. Rimarrà da capire quanto avrà smaltito di una situazione nella quale si è trovato a un passo dal ritorno dalla gloria.

In tutto questo, finisce per passare in secondo piano praticamente ogni altra cosa. Compreso quello che si è visto in casa Italia, con il nostro Paese che schierava Matteo Manassero e i fratelli Molinari al via. Il nativo di Negrar, forse anche lui tradito da un che d’emozione, ha visto il torneo girare dalla parte sbagliata fin dal triplo bogey nella sua buca d’apertura. Ma, alla fine dei conti, per lui quel che importa ora non è tanto il discorso Major quanto il riprendere una costanza di risultati sul DP World Tour, cosa che sta ampiamente facendo. Su Edoardo Molinari le speranze sono calate dalla parte conclusiva del primo giro, ma per lui non si poteva immaginare uno US Open da contender. Semmai da ottimo osservatore, dal momento che ormai è ben noto il suo ruolo di vicecapitano di Ryder Cup anche in proiezione 2025. E quanto a Francesco Molinari, rimarrà nell’immaginario collettivo di molti la buca in uno alla 9 per passare il taglio, cosa mai riuscita a nessuno allo US Open e ancora più difficile al Pinehurst No. 2. Il torinese, peraltro, è stato anche autore di un validissimo quarto giro (è vero, un +1, ma i sotto par si contano sulle dita di un paio di mani vista la difficoltà del percorso). Gli sprazzi, va detto, ci sono ancora.

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