Roland Garros

Sinner, Paolini, Errani, Bolelli, Vavassori e l’Italia di un Roland Garros come mai prima

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Sinner / LaPresseuna

Il Roland Garros 2024, almeno nel breve termine, verrà senz’altro ricordato in chiave Italia in maniera veramente importante. Non c’è mai stato, infatti, uno Slam in cui i nostri giocatori si sono spinti, in quattro tabelloni su cinque, tanto in avanti. Fino a entrare in tre casi in finale e in uno nei migliori quattro.

Per analizzare tutta la questione, partiamo dal settore maschile, trainato inevitabilmente da Jannik Sinner. L’altoatesino, fino alla settimana precedente il torneo, era da più parti dato con possibilità addirittura di saltare lo Slam parigino. Invece non solo si è presentato, ma, pur non raggiungendo giocoforza i picchi mostrati in altre fasi della stagione, si è trovato molto vicino a essere lui in finale al posto di Carlos Alcaraz. Non è accaduto, ma nel frattempo si è verificata un’altra cosa: il raggiungimento del numero 1 del ranking ATP, un pezzo di storia che non solo non si potrà cancellare, ma che ha anche possibilità di avere una buona durata, tutte le questioni considerate da qui almeno fino alle Olimpiadi. Una prestazione, la sua, che assume anche più valore se si pensa che, nel contesto che si è ritrovato a dover gestire da Madrid a Parigi, se n’erano andati quattro chili di muscoli, che non sono uno scherzo già per una persona normale, figuriamoci per sportivi e tennisti che sulle piccole differenze basano molto. La sostanza di tutto ciò, ad ogni modo, è una: l’Italia ha un uomo come non era mai esistito nella storia di questo sport, e lo avrà anche per tantissimo tempo. Non siamo che all’inizio dei suoi giorni più belli.

Ma non solo Sinner si è (chiaramente) messo in luce in questo Slam. Non si può non considerare un Matteo Arnaldi che, finalmente, ha fatto rivedere una versione di sé molto più vicina a quella che avevamo avuto modo di ammirare nell’anno della sua esplosione, il 2023. Bravissimo il sanremese a battere di nuovo il francese Arthur Fils e, poi, a imbrigliare Andrey Rublev sia nel gioco che nella testa, con il russo che non è riuscito a trarsi d’impaccio dalla ragnatela che pian piano arrivava intorno a lui. Da questa, invece, è riuscito a uscire Stefanos Tsitsipas, ma tante parole importanti il greco le ha spese e in bene per lui. Non resta che aspettare una seconda parte di stagione in cui Arnaldi dovrà giocoforza aumentare il ritmo, perché arriveranno scadenze importanti in termini di punti. L’altra grande luce dei riflettori va inevitabilmente su Lorenzo Musetti, che ha disputato senz’altro il miglior torneo dell’anno. Non solo: ha tenuto centinaia di migliaia di persone incollate a tv, telefoni e altri dispositivi in un’irreale notte inoltrata di Parigi, nella quale pareva davvero vicino lo scalpo di Novak Djokovic. Non è arrivato, ma la personalità di questo match, come anche quella dimostrata nel tenere a bada sia Gael Monfils che il pubblico francese, si spera siano di buon auspicio per vederlo uscire da un turbine nel quale si era infilato fin da inizio 2024.

Per il resto, se c’è un nome che avrebbe anch’esso meritato il terzo turno è quello di Flavio Cobolli. Il romano è andato a un nonnulla dal battere in rimonta Holger Rune, e secondo molti i match più belli del torneo sono due: il suo con il danese e Swiatek-Osaka al femminile. Esce da Parigi con la consapevolezza di potersela giocare, di tennis e di personalità, con tanti big almeno sul rosso. Tantissimi i secondi turni raggiunti, a riprova della valida qualità del tennis italiano, ma con tante variabili. C’è Giulio Zeppieri che ha di nuovo passato le qualificazioni, ma sprecando una bella opportunità con l’australiano Thanasi Kokkinakis, e c’è Fabio Fognini, che probabilmente ha cantato il proprio addio a Parigi. E poi ci sono la leggera ripresa di Lorenzo Sonego, bravo a eliminare il numero 1 francese Ugo Humbert, e un Luciano Darderi che, a livello di 3 su 5, si farà anche a Parigi. Bravo anche Mattia Bellucci a giocarsi il primo turno con Frances Tiafoe, mentre l’unico vero segno meno va a Luca Nardi, mai davvero sceso in campo col transalpino Alexandre Muller.

Splendida anche la performance del settore femminile, per buona misura. E inevitabilmente è splendido anche quanto fatto da Jasmine Paolini. Giocatrici non semplici, ex campionesse Slam, figure in crescita: se le è trovate tutte davanti la toscana, e sempre si è riuscita a comportare in maniera positiva. I picchi del torneo: il 6-0 a una Bianca Andreescu che forse sta riprendendo quota (e, se la canadese lo fa, in alto sono avvertite tutte), lo splendido match giocato con la kazaka Elena Rybakina, in cui c’è tutta la sintesi di cosa possa voler dire il tennis per crescita anche nel giro di poche decine di minuti, e la capacità di togliere armi alla russa Mirra Andreeva. Poi è arrivata la finale, e lì con Iga Swiatek c’è poco da fare per lei come per quasi chiunque sul mattone tritato, ma il numero 7 del mondo è qualcosa che premia un’annata assolutamente ancora non finita. Perché, va detto, la neo top ten può rimanere lassù per molto e ha anche relativamente poco da difendere a breve termine.

Meno affollato in chiave Italia il tabellone femminile rispetto a quello maschile, ma anche qui le note positive si sono viste. Come quella di Elisabetta Cocciaretto, arresasi solo di fronte a una Coco Gauff in gran spolvero (e l’americana ha infatti poi raggiunto la semifinale), ma capace di eliminare la semifinalista del 2023, la brasiliana Beatriz Haddad Maia, e poi la russa Liudmila Samsonova. E ha anche mostrato un bel lato umano oltre a quello tennistico, con gli ormai celebri ritagli di tempo nella pioggia per studiare diritto agrario.

Complessivamente, per le donne si può dire che il sorriso sia la chiave. Lo è per Sara Errani, abile a superare le qualificazioni in stile e poi il primo turno, prima di giocare con Emma Navarro e, pur perdendo, raccogliendone buone indicazioni anche al netto delle ottime capacità di gioco dell’americana. Può recriminare per una forte componente di sfortuna Lucia Bronzetti, capace di fare partita pari con Naomi Osaka, e chissà come sarebbe cambiato il torneo se ci fosse stato il colpo sulla giapponese (che, non va dimenticato, è arrivata a match point contro Swiatek). Qui l’unico segno meno spetta a Martina Trevisan, rimasta in giornata no contro la serba Olga Danilovic (benché poi lei sia stata molto sorprendente, arrivando fino agli ottavi).

Ma il capitolo dei doppi è l’altra parte dell’esaltazione italiana. Simone Bolelli e Andrea Vavassori si sono confermati coppia tra le migliori sul circuito. E, del resto, raggiungere una seconda finale Slam nell’anno significa solo questo: hanno trovato davvero un grande affiatamento, eliminando coppie spesso rodate o comunque con figure che sanno stare in campo in doppio. Bellissima la rimonta contro Ram/Salisbury, splendido anche il modo in cui Bopanna/Ebden sono stati battuti, con una vera rivincita sulla finale di Melbourne. Soltanto la ciliegina sulla torta del successo è mancata, ma per quella c’è ancora del buon tempo.

Infine, Sara Errani e Jasmine Paolini. Il doppio femminile è parso tornare indietro di dieci anni, quando i successi si rincorrevano con la bolognese e Roberta Vinci. Con la toscana, stavolta, le premesse erano date dalla finale raggiunta a Roma. Ottima la loro maniera di sfruttare un tabellone non semplice, ma ben gestibile con esperienza e capacità. Tante le possibili trappole schivate con abilità e un pattern ben preciso: Sara a dettare i ritmi, Jasmine a imparare e, spesso, a trovare anche belle soluzioni. Gauff/Siniakova hanno detto no a un trionfo che sarebbe stato bello e anche meritato, ma i segnali, qui come al maschile, in chiave Olimpiadi sono davvero interessanti. Anche perché esiste un lato di favore in vista del ritorno negli impianti del Roland Garros: queste coppie, a differenza di molte altre, non dovranno disunirsi.

Lo Slam francese completa il proprio larghissimo bilancio positivo in chiave italiana con la semifinale raggiunta a livello junior da Federico Carboni, quella in doppio femminile di Vittoria Paganetti e la finale in doppio maschile di Federico Cinà. Qualcuno dirà: è vero, sono mancati i successi. Ma, per dei successi che mancano, c’è una presenza (molto) larga. E piace molto.

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