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Boxe, Angela Carini affronterà alle Olimpiadi un’algerina al centro di una bufera legata al testosterone

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Angela Carini, Imane Khelif
Carini, Khelif / Valerio Origo, Swen Pförtner / IPA Sport

Già la storia di Angela Carini, da sola, basterebbe per dare un significato particolare alla parte italiana delle Olimpiadi di Parigi 2024. Seconda volta alla rassegna a cinque cerchi, sempre con il filo del legame con il padre scomparso pochissimo tempo dopo Tokyo. Ma stavolta dall’altra parte del ring, di fronte a lei, di storia se ne palesa un’altra, che è stata proposta in maniera alle volte inesatta: quella di Imane Khelif, Algeria, sua prima avversaria nel tabellone dei 66 kg.

Veniamo ai dati anagrafici: è nata il 2 maggio 1999 a Tiaret, una delle maggiori città del nord dell’Algeria, molto vicina al Mar Mediterraneo. I genitori, specialmente il padre, non volevano che diventasse pugile. Invece lei ha tirato dritta per la sua strada e ha intrapreso un cammino molto valido sul ring. Abbastanza valido da permetterle di partecipare alle Olimpiadi di Tokyo e arrivare ai quarti di finale, dove a fermarla è stata la futura campionessa olimpica Kellie Harrington (anche stavolta sul cammino, ma a livello di secondo turno). Il suo anno migliore è stato il 2022: oro ai Giochi del Mediterraneo e ai Giochi Africani, argento ai Mondiali di Istanbul, dove ancora un’irlandese, Amy Broadhurst, l’aveva fermata nell’ultimo atto.

Ma il vero caos è scoppiato ai Mondiali dell’anno successivo. Imane Khelif si era spinta fino alla finale. Quell’ultimo atto, però, non ha mai potuto disputarlo. Un controllo precedente, infatti, l’aveva esclusa per, secondo comunicazione dell’IBA, non aver incontrato i criteri di eleggibilità. In altre parole, le era stato riscontrato un livello di testosterone molto alto, troppo secondo l’organizzazione internazionale.

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Apriti cielo: in quelle ore e in quei giorni accadde semplicemente di tutto. Il fatto che più di qualcuno ne notasse il look che appariva particolarmente mascolino ha “sbloccato” il peggio di alcune persone, prontissime a definirla transgender. In realtà, la situazione è completamente diversa. Imane Khelif è una donna. Semplicemente, i livelli di testosterone sono naturalmente alti, ma con questo ci ha sempre convissuto. Da parte algerina sono arrivate accuse di complotto, puntando il dito contro il Marocco, ma anche in questo caso la ricostruzione potrebbe essere più fantasiosa che altro. All’atto pratico, si è trattato di un errore non di poco conto.

Va tenuto in conto, del resto, un fatto: se Imane Khelif davvero fosse stata transgender, come qualcuno ha insinuato, non avrebbe neppure potuto combattere, da regolamento. Non solo: non avrebbe mai neanche lontanamente potuto rappresentare il proprio Paese in nessuna manifestazione internazionale anche con norme favorevoli. In Algeria avrebbe avuto parecchi problemi: nel Paese, infatti, la comunità LGBTQIA+ non ha diritti ed è malvista soprattutto dall’area più conservatrice della popolazione. E, oltretutto, la legge vieta la possibilità di effettuare il cambio di sesso. In altre parole, chi è arrivato a conclusioni molto rapide non ha tenuto minimamente in conto la situazione dell’Algeria sul tema.

A livello scientifico, inoltre, bisogna tenere in conto il ruolo del testosterone: è vero che questo, nel contesto popolare, è inestricabilmente legato all’uomo, ma, sebbene presente in quantità minori nella donna, possiede comunque un ruolo importante. Al di là della conversione in estrogeni, che è molto più elevata nel caso femminile, il testosterone nella donna ha diversi altri ruoli importanti, nei quali qui non ci si addentrerà.

In breve, il caso di Imane Khelif è quello di una donna che, pur se a vederla può effettivamente ricordare lineamenti maschili, è pur sempre donna. Il tema del testosterone più alto del normale, nello sport al femminile, è da tempo argomento di dibattito, con l’atletica che più di tutte è stata coinvolta negli ultimi vent’anni, ma è un discorso che si è allargato anche a molti altri sport, e che merita approfondimento ben al di là di casi come quello in essere, o di quelli dell’indiana Dutee Chand nel 2016 o di Caster Semenya (che però tocca anche altri temi, considerato che si parla anche di intersessualità) lungo tutta la carriera della mezzofondista sudafricana.

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