Editoriali

Italia impotente e in balia dei giudici: ambizioni gambizzate, adesso serve una presa di posizione

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Filippo Macchi / Lapresse

Ieri Aziz Abbes Mouhiidine, ma anche Arianna Errigo e Odette Giuffrida. Oggi, in una maniera ancora peggiore, è toccato a Filippo Macchi nella finale del fioretto individuale: queste Olimpiadi di Parigi 2024 stanno ingiustamente diventando un tormento per la spedizione italiana, che probabilmente non vede l’ora di proiettarsi su sport dove gli unici avversari saranno un cronometro, una misura o, al limite, il vento. Ma se a decidere è una mente umana, allora mettiamoci il cuore in pace.

Breve riassunto dello scempio a cui abbiamo assistito oggi. Sul 14-14 nella finale contro l’hongkonghese Cheung, i giudici vanno a rivedere al video non una, ma ben due stoccate dubbie. Dal replay, soprattutto sulla seconda, si vede chiaramente come sia Macchi a partire per primo. Da regolamento, lo schermidore che prende per primo l’iniziativa e mette a segno la stoccata, ottiene il punto. Tuttavia i giudici, salomonicamente, hanno stabilito di non decidere, rimettendo gli atleti in guardia: a cosa serve allora la moviola, se anche rivedendo più e più volte le immagini non si è in grado di giudicare? O forse le immagini erano sin troppo chiare in favore dell’italiano e quindi questo urtava in qualche modo chi di dovere? Tutto da rifare per la terza volta. Altra stoccata controversa e nuovo viaggio davanti allo schermo della moviola. La parata e risposta di Macchi sembra questa volta troppo evidente per fare finta di niente. Eppure i giudici la ignorano, decretando l’attacco e la vittoria di Cheung. È un’iperbole, ma di fatto Macchi aveva vinto 17-14. Invece il risultato dice 14-15…

In due giorni l’Italia è stata privata di due ori: uno praticamente vinto ed un altro decisamente probabile, perché Aziz Abbes Mouhiidine è il miglior pugile in circolazione tra i pesi massimi, come gli addetti ai lavori sanno bene. Come si può pensare ora ad obiettivi prestigiosi per l’Italia a Parigi 2024? Come si possono mettere nel mirino record storici come le 40 medaglie di Tokyo 2021 o i 14 ori di Los Angeles 1984 se le ambizioni vengono gambizzate da gente che insulta il senso stesso della parola sport? Perché questo, amici, non è più sport. Nello sport vince il migliore, colui che lo ha meritato grazie ai suoi sacrifici. Non può essere un giudice in mala fede a determinare le carriere, e quindi anche le vite, degli atleti. No, questo non è più sport. Soprattutto, queste non sono le Olimpiadi. Tra l’altro, per pura conoscenza, i giudici della finale del fioretto maschile erano un taiwanese ed un coreano. E non è una barzelletta.

A questo punto l’Italia, nella figura del presidente del Coni Giovanni Malagò, necessita di una presa di posizione forte. Non è più il tempo dell’accettazione passiva e signorile: non solo non si risolve nulla, ma i furti continuano a perpetrarsi senza soluzione di continuità.

Lo stesso Malagò ai microfoni della RAI ha espresso parole dure, seppur diplomatiche: “Ci sono degli sport dove si va col centimetro e col cronometro, andiamo meglio con quelli ultimamente. Gli arbitri si devono rispettare e comprendere. Però abbiamo fatto una protesta formale ufficiale. È inutile entrare nel discorso della stoccata. C’è però un errore di fondo che mette in dubbio la credibilità di questo sport. Un giudice veniva da Taipei e uno dalla Corea. Dicono che è stato estratto a sorte, ma non è possibile avere due giudici asiatici: ma in quale altro sport succede? Sono due paesi confinanti con quello del finalista. Sono molto dispiaciuto, è inutile che ci prendiamo in giro, sappiamo che la protesta lascia il tempo che trova, ma siamo stanchi di questa situazione“. Dunque una presa di posizione c’è stata. Ma sarà sufficiente? Permetteteci di dubitarne.

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