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Ciclismo
Jarno Widar lancia la sfida a Tadej Pogacar: “Voglio batterlo e diventare il migliore al mondo”
Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard, Remco Evenepoel, ma non solo. Un nuovo corridore è pronto ad affacciarsi nel mondo dei grandi giri e non con ambizioni da poco: Jarno Widar, dominatore tra gli under 23 in questa stagione a soli diciotto anni, con i trionfi tra Giro Next Gen, Giro della Valle d’Aosta e Alpes Isère Tour, nel 2026 passerà professionista (sempre se non anticiperà i tempi) e lancerà la sfida ai big.
A dichiararlo proprio il belga a DirectVelo: “Il mio obiettivo principale è diventare il miglior corridore del mondo. Tadej Pogacar è attualmente il miglior corridore del mondo. Ebbene, l’obiettivo finale è battere Tadej Pogacar. Non voglio essere un professionista che lavorerà per gli altri e che al traguardo darà il cinque per sentirsi dire ‘Grazie per il lavoro nella prima parte di gara amico, è stato bello’. Non mi fa sognare. Voglio solo vincere le corse, il più possibile. Questo è ciò che mi piace. Le sfide mi stimolano. Lo dico perché so che alcune persone mi vedono come un ragazzo arrogante. Ognuno ha il diritto di pensare quello che vuole, ovviamente, ma io non sono un tipo arrogante. Sono solo ambizioso. E non puoi ottenere grandi cose nella vita se non sei serio, diligente e soprattutto ambizioso“.
Aggiunge sul passaggio tra i grandi: “A livello fisico potrei ovviamente già fare il salto. Ho il contratto per altri tre anni e mezzo. Se passerò il prossimo anno o no… Vedremo. La decisione potrebbe ancora cambiare. Se al Tour de l’Avenir tutto andrà per il meglio, allora la squadra mi schiererà sicuramente di nuovo in una o due gare professionistiche prima della fine dell’anno. E, se tutto andrà bene, forse l’anno prossimo andrò in prima squadra. La squadra mi darà la scelta. Ma se ho voluto fare un anno da Under-23 è anche perché sono un vincente e soprattutto non volevo perdere questa cosa di correre spesso per vincere”.
Per lui un solo problema, la discesa: “La morte di Gino Mäder durante il Giro di Svizzera ha avuto un enorme impatto su di me. Poi sono caduto tre volte quasi in rapida successione, senza nulla di grave, ma subito dopo è morto anche un corridore italiano al Giro dell’Alta Austria. Mentre cadevo mi sono detto che, dopo tutto, anch’io potevo uccidermi in una corsa. La gente cominciò a dire che non sapevo scendere, che non avevo tecnica, ma sapevo benissimo che era falso. Perché l’ironia di tutto questo è che per un certo periodo sono stato un pazzo in discesa. Approfittavo della mia leggerezza e delle mie piccole dimensioni per intrufolarmi ovunque e prendere traiettorie che nessun altro prendeva. Sono passato dal tutto al niente. Ho sempre saputo che era nella mia testa, ma per un po’ non ho voluto farmi seguire da un mental coach perché ero convinto che non mi sarebbe servito a niente”.