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MotoGP “fin troppo” europea? La categoria è un tripode che si poggia tra Spagna, Italia e… Austria

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Bagnaia / Valerio Origo

Un corollario relativo a quanto scritto nelle settimane scorse, ovverosia al potenziale ritorno dei piloti americani in ruoli di primo piano in MotoGP, è rappresentato dal fatto che in questo momento storico la massima categoria motociclistica sia caratterizzata dall’egemonia pressoché totale di piloti e aziende europee.

Sul fronte dei centauri, siamo arrivati a 31 GP consecutivi in cui si è imposto un uomo nato nel Vecchio Continente (17 vittorie sono state appannaggio di un italiano, 12 di uno spagnolo, 1 di un francese e 1 di un portoghese). Niente di nuovo, perché eccezion fatta per qualche occasionale affermazione di Jack Miller e Brad Binder, la musica è pressoché la stessa dal 2013, ovverosia dalla prima stagione successiva al ritiro di Casey Stoner.

In realtà è cambiato il tono, nel senso che se per anni ha dominato la Spagna con qualche incursione italiana, ora la situazione è opposta. Dal 2022 in poi è l’Italia a recitare la parte della leonessa (29 successi), con la nazione iberica a intercalarsi a corrente alternata (13 trionfi). Dunque, l’aspetto umano è caratterizzato dai Paesi mediterranei, ma la vera novità riguarda le aziende.

Ducati sta sbaragliando il campo, Aprilia e Ktm sono le uniche in grado di tenerle testa. Le Case giapponesi, che per decenni hanno dettato legge, sono in affanno cronico (Yamaha), in preda a una perdurante crisi (Honda) o addirittura uscite di scena (Suzuki). Insomma, la MotoGP attuale è un tripode, con due zampone piantate in Italia e in Spagna, più un appoggio in Austria.

La massima categoria motociclistica non era così europea dagli anni ’60, quando (quasi) tutto ruotava attorno al nostro Paese e alla Gran Bretagna. Altri tempi, in tutti i sensi. Peraltro, all’epoca, il Motomondiale non era certo popolare quanto oggi. Cosa accadrà nel prossimo futuro? Di talenti extra-europei non se ne vedono all’orizzonte. O comunque non si vede granché.

Jack Miller è un centauro che ha già esplorato i propri limiti; Brad Binder fa la sua figura, ma gli manca il cambio di passo; Joe Roberts sta facendo bene in Moto2, ma da qui a vederlo protagonista in MotoGP c’è di mezzo un oceano. Il medesimo discorso si applica ad Ai Ogura, peraltro reduce da un lungo periodo difficile.

C’è chi stravede per l’australiano Senna Agius, attualmente impegnato nella categoria cadetta, ma deve ancora dimostrare tutto. David Alonso, infine, è una sorta di ibrido. È di fatto uno spagnolo, che di colombiano ha solo la mamma e la licenza. Tanto basta per classificarlo come sudamericano? Sul piano formale sì, all’atto pratico no.

Però, se la MotoGP firmata Liberty Media dovesse e volesse accresce il proprio appeal internazionale in tempi rapidi, potrà farlo anche tramite questo escamotage. Nell’attesa della (ri)nascita delle aziende giapponesi o dell’arrivo di altri centauri nati al di fuori del Vecchio continente.

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