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Wimbledon 2024: Carlos Alcaraz contro Novak Djokovic, atto secondo sul Centre Court

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Novak Djokovic, Carlos Alcaraz
Djokovic, Alcaraz / LaPresse

Ancora loro, Carlos Alcaraz e Novak Djokovic. Passa un anno, ma sono di nuovo lo spagnolo e il serbo a sfidarsi nella finale di Wimbledon 2024. Nel frattempo di cose ne sono successe tante, anzi tantissime: la finale thriller di Cincinnati durata tre ore e 50 minuti, la semifinale delle ATP Finals di Torino, poi una totale separazione delle strade per i due.

Da una parte, Alcaraz, dopo Cincinnati, ha faticato moltissimo a ritrovare vittorie. Si è rivisto in auge in primavera, a Indian Wells, e poi è riuscito a portare a casa il Roland Garros e a presentarsi a questo appuntamento con la possibilità di piazzare una doppietta che proprio il suo avversario odierno aveva realizzato per ultimo nel 2021 (quando, per la verità, stava per succedere qualcosa di più).

Dall’altra, Djokovic nel 2024 è stato (quasi) inconsistente ai piani alti. Raggiunte le semifinali degli Australian Open, e persa la sfida con Jannik Sinner, per il serbo è cominciata una lunga scia di risultati negativi, in maniera più o meno sorprendente, e poi, al Roland Garros, è arrivato l’infortunio al menisco. Recupero lampo, presenza a Wimbledon acquisita e finale raggiunta, la prima dell’anno, che gli permetterà in ogni caso il rientro nella corsa per le ATP Finals di Torino.

Piuttosto diverse le due vie verso l’ultimo atto. Per il murciano cinque incontri sopra le due ore, tre sopra le tre (e uno molto vicino), cinque set ceduti e, nel complesso, un tempo abbastanza importante speso in campo. Questo anche per aver incontrato un largo numero di giocatori a metà tra il ritrovato (Tiafoe), l’abile sull’erba quest’anno (Paul) e il top player un po’ ovunque (Medvedev), cammin facendo. Di contro, il serbo è stato piuttosto benvoluto dalla dea bendata, anche se dei primi due turni facili il secondo, contro Fearnley, è stato molto più complesso del previsto, dato che qui ha ceduto uno dei due set nel torneo (l’altro contro Popyrin). Quasi ideale, per lui, il forfait per infortunio di Alex de Minaur ai quarti (l’australiano senz’altro avrebbe dato battaglia), mentre con Lorenzo Musetti si è vista una sua versione di particolare attenzione a livello tattico.

Si sa, Djokovic ha sostanzialmente sette, otto, dieci vite. E con queste proverà a dare l’assalto allo Slam numero 25, l’ottavo sui prati dei Championships, il che lo porterebbe accanto a Roger Federer in questo particolare primato. Di contro, Alcaraz, evitando le sue ormai ben note distrazioni nell’arco del match, potrà puntare alla quarta gioia, la seconda dell’anno, in meno di due anni, la seconda all’AELTC. Chiave che va al di là dei colpi: il tempo sul campo. 12 ore e 54 minuti le ha spese Djokovic, che però ha un match in meno sulle gambe, 17 e 6 minuti Alcaraz.

Per la quarta volta il numero 2 e il numero 3 del mondo si affrontano in finale a Wimbledon: è accaduto già nel 1989, 1990 e 1995. I primi due casi sono legati al trittico Becker-Edberg. Boris era 3 nel 1989 e vinse, e così Stefan nel 1990. Il tedesco, poi, ritornò a vestire il ruolo di numero 3 nel 1995, ma dall’altra parte c’era un certo signor Pete Sampras, uno che a Wimbledon, dal 1993 al 2000, è stato battuto una sola volta. E si va a chiudere un torneo che, comunque vada, nei libri dei record c’è già: non era infatti mai accaduto che ci fossero così tanti quinti set nell’Era Open, e precisamente 37, in uno Slam. Ben 11, poi, le rimonte da 0-2: è il primato di Wimbledon e il secondo maggior numero dopo gli Australian Open 2002 (uno degli eventi più privi di senso logico della storia del tennis, per andamento).

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