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Le Olimpiadi perfette della ginnastica artistica italiana: la leggenda di D’Amato, il brivido di Esposito, il sogno di una squadra

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Italia ginnastica / IPA Agency

Le migliori Olimpiadi degli ultimi 60 anni. L’Italia della ginnastica artistica archivia con questo meritato appellativo la spedizione a Parigi 2024, festeggiando tre spettacolari medaglie: l’oro di Alice D’Amato alla trave, l’argento nella gara a squadre femminile, il bronzo di Manila Esposito sui 10 cm.

La 21enne genovese è diventata la prima donna italiana a laurearsi Campionessa Olimpica, visto che prima di questa leggendaria trasferta nella capitale francese erano arrivati soltanto due argenti: quello con la squadra ad Amsterdam nel 1928 e quello di Vanessa Ferrari al corpo libero a Tokyo 2020. L’inno di Mameli non suonava da addirittura 20 anni: era il 23 agosto 2004 quando le note del Canto degli Italiani ci fecero emozionare ad Atene per il trionfo di Igor Cassina alla sbarra, in un’edizione in cui arrivò anche il bronzo di Jury Chechi agli anelli (otto stagioni dopo il tripudio di Atlanta 1996).

Nel secondo dopoguerra l’Italia ha conquistato tre medaglie in un’edizione dei Giochi soltanto a Tokyo 1964, tutte per merito di Franco Menichelli: oro al corpo libero, argento agli anelli, bronzo alle parallele pari. Il record è di Los Angeles 1932, quando gli uomini furono mattatori assoluti (sei volte sul podio, di cui ben cinque sul gradino più alto): oro con la squadra; ori di Romeo Neri tra concorso generale individuale e parallele pari; oro di Omero Bonoli al cavallo con maniglie; oro di Savino Guglielmetti al volteggio; bronzo di Mario Lertora al corpo libero.

A Parigi 2024 va ricordato anche il quarto posto di Alice D’Amato nell’all-around (a un decimo dal bronzo), oltre alla quinta piazza della ligue alle parallele asimmetriche (a 67 millesimi dal podio). Inoltre la squadra maschile ha chiuso in sesta posizione dopo essere ritornata ai Giochi in seguito a un digiuno di dodici anni (peccato per non avere raggiunto nemmeno una finale di specialità con gli uomini), mentre ad Atene le donne non erano presenti con la formazione intera (mancata qualificazione attraverso i Mondiali dell’anno precedente).

L’APOTEOSI DELLA SQUADRA FEMMINILE

Venti anni fa l’Italia non si era qualificata alle Olimpiadi di Atene 2004 con la squadra femminile di ginnastica artistica. Fu un salto indietro dopo la presenza a Sydney 2000, che faceva seguito a tre decenni di assenza dai Giochi: semplicemente ai tempi il settore rosa della Polvere di Magnesio era ai minimi termini. La mancata partecipazione nella capitale greca fece parecchio clamore e fu la conseguenza di una gestione tecnica che ancora oggi lascia parecchi dubbi, culminata nei deludenti Mondiali di Anaheim che nell’agosto del 2003 misero in palio i pass per la rassegna a cinque cerchi.

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Le ragazze erano tutt’altro che di secondo piano, anzi: Maria Teresa Gargano, Ilaria Colombo e Monica Bergamelli avevano conquistato la medaglia di bronzo agli Europei dell’anno prima alle spalle di Russia e Olanda, salendo sul podio continentale per la prima volta nella storia. Purtroppo negli USA le azzurre non riuscirono a meritarsi il biglietto per l’evento più importante del quadriennio. In quel momento la storia della ginnastica artistica tricolore declinata al femminile ha deciso di prendere una svolta radicale ed è la nata la convinzione che qualcosa sarebbe potuto cambiare, non si poteva restare soltanto all’ombra dei Moschettieri.

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Da Pechino 2008 la nostra Nazionale è sempre stata presente con l’intera formazione, ma quello che ci si era messi in testa venti anni fa non era la semplice partecipazione: l’obiettivo era quello di provare a lottare per una medaglia nella gara a squadre, ovvero la prova regina, quello che misura la caratura del movimento ginnico di un intero Paese. Era oltre l’ambizioso, sembrava un sogno improbo in un panorama dominato da Russia, Romania, USA e altre potenze. Una follia sportiva a onore del vero, ma con la solida consapevolezza che bisognava lavorare duramente per incrementare le difficoltà, migliorare le esecuzioni, creare un gruppo solido.

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Il trionfo agli Europei del 2006 fu sicuramente emblematico, ma le Olimpiadi sono un’altra cosa. La poco brillante condizione fisica di Vanessa Ferrari impedì il grande risultato a Pechino 2008, a Londra 2012 arrivò la prima storica finale, a Rio 2016 non arrivarono grandi gioie, a Tokyo 2020 il podio sfumò per una manciata di decimi. A Parigi 2024 si è coronato il lungo inseguimento: lo si è fatto curiosamente con tre ragazze della classe 2003 (Alice D’Amato, Elisa Iorio e Giorgia Villa erano nate da pochi mesi quando le azzurre vennero respinte ad Anaheim) e con due ginnaste della classe 2006 (Angela Andreoli era venuta al mondo da pochi mesi quando Vanessa Ferrari si laureò Campionessa del Mondo all-around, Manila Esposito sarebbe arrivata soltanto un paio di settimane dopo l’apoteosi di Aarhus).

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Lo si è fatto con Monica Bergamelli in campo gara da allenatrice dopo che venti anni prima aveva il body indosso, lo si è fatto con coach Marco Campodonico a guidare le Fate in pedana, lo si è fatto con un impeccabile Enrico Casella nel ruolo di Direttore Tecnico. Il Guru della Polvere di Magnesio alle nostre latitudini: ci credeva fermamente due decenni fa, ha colto i grandi successi insieme a Vanessa Ferrari ed è poi riuscito a creare questo gruppo. Una vera e propria famiglia nata a Brescia: le gemelle D’Amato (Asia purtroppo era assente a Tokyo per infortunio), Villa, Iorio sono della stessa annata, si sono trasferite da piccole al PalAlgeco, poi è arrivata anche Andreoli (ma lei è originaria della città) e si è aggregata anche Esposito. Crescendo insieme, allenandosi insieme, vivendo insieme (ora le più grandi condividono anche un appartamento) tutto è diventato più facile.

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Una sana “ossessione” della medaglia a cinque cerchi passata per il bronzo ai Mondiali nel 2019 e per due trionfi agli Europei (2022 e 2024), per qualche piazzamento ai piedi del podio, per qualche infortunio, per qualche delusione, ma soprattutto con tantissimo lavoro alle spalle: prima per avere i doppi avvitamenti al volteggio, poi per incrementare i D Score alle parallele, poi per stabilizzare le prove alle trave, poi per migliorare l’espressività al corpo libero.

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Un lavoro di squadra e di uno staff encomiabile, che ha portato l’Italia a essere un punto di riferimento a livello globale alle spalle soltanto degli USA: un Paese con soltanto 130.000 tesserati (circa, ma la maggior parte sono dei semplici amatori e il dato mescola tutte le discipline, ritmica, aerobica, acrobatica, trampolino, GpT comprese): sarà questa l’eredità di Enrico Casella, che dovrà essere portata avanti da Campodonico e Bergamelli nel prossimo futuro. Il movimento è in grandissima salute, le giovani non mancano, il tasso tecnico è elevatissimo. Perché i sogni non finiscono mai: non è che a qualcuno sia balenata in testa l’idea di battere le americane a casa loro alle Olimpiadi di Los Angeles 2028? Stiamo parlando del surreale, ma…

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LE MAGIE DI ALICE D’AMATO

La donna della prima volta per eccellenza, colei che ha concretizzato qualcosa che poteva albergare solo nei meandri delle menti più ottimiste e dei sognatori nati, colei che ha distorto lo spazio tempo, attualizzando il futuro e rendendo umano il leggendario. Alice D’Amato sarà per sempre la Campionessa Olimpica alla trave di Parigi 2024, colei che ha confezionato l’esercizio della vita sull’attrezzo considerato femminile per eccellenza e che in un caldo lunedì di agosto si è consacrata leggenda dello sport tricolore.

L’Italia ha aspettato quasi un secolo per festeggiare la sua prima medaglia d’oro ai Giochi nella ginnastica artistica femminile, sport che fece il proprio debutto ad Amsterdam 1928 e che subito regalò al Bel Paese l’argento nella gara a squadre. Peccato che quell’alloro sia un unicum isolato fino a tre anni fa, quando Vanessa Ferrari replicò quel metallo al corpo libero nell’edizione di Tokyo 2020. Sei giorni fa un altro argento nel team event per mano delle mitiche Fate, ma immaginare un’apoteosi a cinque cerchi era ben altra cosa.

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Alice D’Amato emula miti maschili come Jury Chechi (anelli ad Atlanta 1996) e Igor Cassina (sbarra ad Atene 2004), unici italiani a trionfare nell’evento sportivo più importante nel secondo dopoguerra al pari di Franco Menichelli (corpo libero a Tokyo 1964). Nessuno le toglierà mai il primato di prima donna italiana a imporsi ai Giochi e sarà il faro imperituro della nostra Polvere di Magnesio: l’impresa nella capitale francese non deve essere un punto di arrivo, ma un trampolino di lancio.

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Le gesta della 21enne genovese devono essere una fonte di ispirazione, un esempio da emulare, il totem da seguire, il punto di riferimento per generazioni future di giovani ginnaste come lo sono stati gli show offerti da Vanessa Ferrari nel recente passato, su tutti il titolo mondiale all-around conquistato nel 2006, quando davvero la ginnastica femminile era una splendida novità alle nostre latitudini. Una ragazza magica che ha stravolto qualsiasi logica, non nella sua specialità di punta (sono le parallele asimmetriche) e quando tutto sembrava apparecchiato per la vittoria di sua maestà Simone Biles.

MANILA ESPOSITO, LA MEDAGLIATA PIÙ GIOVANE

Avere diciassette anni e avere al collo due medaglie olimpiche. Solo pochissime elette possono fregiarsi di certi primati, di sicuro c’è solo un’italiana che può affermarlo con il sorriso: Manila Esposito, tra le grandi protagoniste del Bel Paese alle Olimpiadi di Parigi 2024. Prima lo spettacolare argento conquistato insieme alle compagne Alice D’Amato, Angela Andreoli, Elisa Iorio, Giorgia Villa nella gara a squadre. Poi la grande gioia individuale con il bronzo meritato alla trave. 

Una spedizione a cinque cerchi semplicemente meravigliosa per la ginnasta campana, che rientra nel ristrettissimo club di ginnaste italiane capaci di salire sul podio ai Giochi per più di una volata. Un pianetino abitato soltanto da due fenomeni: la napoletana di Boscotrecase e Alice D’Amato, prima donna del Bel Paese a laurearsi Campionessa Olimpica (alla trave) dopo aver esultato insieme alle altre Fate.

Una ragazza dalle enormi doti umane che non ha mai smesso di credere nelle proprie potenzialità, anche nei momenti più difficili. Il talento di Manila Esposito era già parso evidente a Civitavecchia sotto la guida di Camilla Ugolini, poi a quindici anni d’età il trasferimento a Brescia per vivere insieme alle altre Fate e una crescita tecnicamente dirompente: la classe 2006 si è separata dalla famiglia, si è integrata in un gruppo già creato e ha acquisito quelle competenze decisive per emergere in campo internazionale.

E dire che Manila Esposito non ha nemmeno eseguito il suo migliore esercizio sui 10 cm: uno sbilanciamento le può essere costato anche mezzo punto, a dimostrazione che il potenziale di questa atleta ancora minorenne (spegnerà le candeline il 2 novembre) è davvero sconfinato. A 17 anni e 271 giorni ha conquistato l’argento con la squadra, sei giorni dopo la gloria nella finale di specialità, il tutto condito dal 14mo posto nell’all-around e dalla partecipazione all’atto conclusivo al corpo libero.

Candido stupore: possiamo descrivere in questo modo il suo stato d’animo durante i dieci giorni in terra transalpina al conseguimento di ciascun risultato da record. Il tutto in una stagione dove si è laureata Campionessa d’Europa nel concorso generale individuale (terza italiana a riuscirci dopo Vanessa Ferrari e Asia D’Amato), alla trave e al corpo libero, oltre che con la squadra nella magica settimana di Rimini. Il futuro è suo, ha appena iniziato e può già pensare alle Olimpiadi di Los Angeles 2028.

LE GESTA DELLA SQUADRA MASCHILE

Sono serviti 257.8 punti per salire sul podio nella gara a squadre di ginnastica artistica maschile alle Olimpiadi di Parigi 2024. Gli USA si sono messi al collo la medaglia di bronzo con 257.793 alle spalle di Giappone (259.594) e Cina (259.062), mentre l’Italia ha concluso al sesto posto con 248.260: nove punti e mezzo di distacco dalla gloria dell’alloro a cinque cerchi, che non sono riassumibili con le due cadute di Carlo Macchini e qualche indecisione negli altri sedici esercizi. La medaglia nel team event, ovvero la gara che premia la profondità e la qualità del movimento ginnico di un intero Paese, non era alla portata per gli azzurri.

Il riscontro ottenuto dagli americani è decisamente migliore superiore rispetto alle migliori prestazioni fornite dall’Italia nei quattro eventi internazionali delle ultime due stagioni: 252.2 agli Europei 2024 chiusi con il bronzo, 249.5 nella trionfale rassegna continentale del 2023, 246 ai Mondiali 2023 dove si è strappato il pass a cinque cerchi, 241.1 ai Mondiali 2022 chiusi ai piedi del podio. Ci si è un po’ fatti ingolosire nel corso di queste annate agonistiche dove i ragazzi del DT Giuseppe Cocciaro si sono resi protagonisti di una crescita tecnica davvero mirabolante, ma purtroppo il vertice planetario è ancora lontano.

Una semplice constatazione basata sui numeri, perché a questa Italia non si può criticare nulla: per la prima volta nella storia si è disputata la finale ai Giochi (è stata istituita da Sydney 2020) e secondo miglior risultato di sempre, inferiore soltanto al quinto posto di Barcellona 1992 (ai tempi le medaglie della prova a squadre venivano assegnate direttamente, senza un atto conclusivo dedicato). La squadra è tornata a disputare le Olimpiadi a distanza di dodici anni dall’ultima volta e a pieno diritto si è seduta alla tavola delle grandi della Polvere di Magnesio, ma sperare in una medaglia era oggettivamente improbo. Anche perché là davanti hanno sbagliato poco o nulla…

Prendiamo tutto quello di positivo che si è visto a Parigi e andiamo avanti a lavorare. L’analisi rilasciata dal Direttore Tecnico attraverso i canali federali è stata molto lucida: “Da qui ripartiamo. In questa squadra ci sono elementi molto giovani, dietro di loro, tra gli juniores, stanno crescendo dei prospetti di valore assoluto, come abbiamo già visto a Rimini. Vorrei pensare che per la prossima Olimpiade l’obiettivo non sia solo la qualificazione ma quello che faremo dopo. I margini di miglioramento sono tanti. Vorrei che il sesto posto di oggi fosse un trampolino di lancio. La caratteristica di questo gruppo? Sono molto uniti e pronti a correre in aiuto l’uno dell’altro”.

L’Italia può fare leva su tre ottimi generalisti (Yumin Abbadini è ormai ampiamente un top-10 mondiale; Lorenzo Minh Casali e Mario Macchiati) e su un capitano caparbio come Nicola Bartolini. Manca il grandissimo specialista che può ambire alle medaglie (Carlo Macchini è la grande nota negativa della spedizione, Marco Lodadio sembra in calando, Salvatore Maresca era infortunato), ma la squadra è coesa, compatta, volitiva, solida e concreta. Cocciaro e tutto lo staff tecnico meritano enormi elogi per quanto dopo due mancate qualificazioni ai Giochi: l’Italia è cresciuta tantissimo e ha raggiunti traguardi che in passato erano preclusi, ma bisogna continuare.

Se c’è stato un errore è stato pensare che Cina, Giappone, USA (ma anche Gran Bretagna e Ucraina) potessero essere affrontabili e battibili (non tutte, ovviamente) in una gara lineare e senza colpi di scena continui. O meglio: non è un errore, si è sognato e questo non è mai un male. Con la speranza che a Los Angeles 2028 si possa compiere un ulteriore salto di qualità, magari con il supporto dei giovani ammirati durante gli Europei juniores di Rimini: Tommaso Brugnami e Riccardo Villa hanno già fatto intravedere sprazzi di grandissima qualità.

Non ci saranno italiani nelle finali di specialità nella capitale francese (aspetto su cui riflettore) e, salvo miracoli di Yumin Abbadini nell’all-around, si tornerà da Parigi senza una medaglia dal settore maschile, come a Tokyo 2020 e Rio 2016. L’ultima gioia è il bronzo di Matteo Morandi agli anelli a Londra 2012, ma quella di adesso è un’Italia bella, giovane, ammirevole che sta riscrivendo diverse pagine di storia alle nostre latitudini

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