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Coppa Davis 2024: tra il 3/3 dell’Italia, lo status di Berrettini e i consueti problemi dei gironi

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Berrettini / LaPresse

Il primo argomento che riguarda la settimana di Coppa Davis, o almeno quel che è l’attuale format, dalle nostre parti riguarda ovviamente l’Italia. Un’Italia che ha fatto 3/3 anche senza Jannik Sinner e Lorenzo Musetti. Era noto che, nel raggruppamento con Brasile, Belgio e Paesi Bassi la squadra azzurra avrebbe potuto fare a meno dei suoi due assi e trovare comunque un bottino pieno.

Questo obiettivo è stato raggiunto in buonissima maniera, dovendo arrivare una sola volta a giocare il match decisivo, il doppio, contro il Belgio (ma su questo torneremo tra breve). Molto s’è visto, a partire dal fatto che poter schierare Matteo Berrettini come numero 2 di fatto è ben più di un lusso. Il romano per due volte è riuscito a rimontare una situazione complicata, sia con il promettente belga Alexander Blockx (che è indietro in classifica solo perché qualche guaio fisico di troppo lo ha frenato) che con il ben più esperto, e senz’altro rinfrancato dagli US Open, Botic van de Zandschulp in quota orange.

Ma, in generale, tutta la squadra ha reso bene nel momento del bisogno. Matteo Arnaldi si è infilato in una situazione complicatissima contro Thiago Monteiro, ma è riuscito a uscirne bene dopo oltre tre ore e mezza e nonostante un guaio alla caviglia nel finale. Ed è questo un momento nel quale bisogna dargli molto credito, perché non tutti gli avevano accreditato la capacità di rimanere lì, attaccato ai match anche quando girano per il verso sbagliato. Ce l’ha, invece, e l’ha usata al momento opportuno. Poi è subentrato Flavio Cobolli, che contro il belga Zizou Bergs ha subito dovuto rimontare e ha finito le energie più mentali che fisiche dopo un infinito secondo game del terzo set, mentre nel tie decisivo con il team olandese è venuto a capo del servizio di Tallon Griekspoor proprio alla fine, nel momento opportuno e senza scoraggiarsi dopo il secondo set perso. Per lui, che guardava con trepidazione la Davis (e Fognini) da piccolo, una gioia in prima persona che non dimenticherà.

C’è poi da ricordare l’apporto di Simone Bolelli e Andrea Vavassori. Il bilancio ufficiale dice una vittoria e due sconfitte. Andiamo ad analizzarle. La prima sconfitta, quella contro i brasiliani Rafael Matos e Marcelo Melo, è in realtà arrivata dopo tre set d’altissimo livello: nessun break, sostanziale equivalenza delle due coppie e tutto deciso su pochissimi, piccoli dettagli. La seconda, quella contro van de Zandschulp e Wesley Koolhof, è giunta con gli stimoli ridotti davvero al minimo, e non certo compensati dal fatto che una vittoria avrebbe lanciato il Brasile a Malaga invece dei due avversari del momento (tra gli altri). Per cui va analizzata con attenzione la performance offerta contro i belgi Sander Gillé e Joran Vliegen, nell’unico tie che era aperto dopo i primi due singolari. Ebbene, lì si sono scoperti decisivi, attenti e in grado di sfruttare con attenzione i momenti decisivi. E questo va detto, perché questo doppio azzurro, una volta tanto, è qui per restare forte anche dei risultati in stagione e delle elevatissime possibilità di rappresentare l’Italia alle ATP Finals di Torino, aggiungendosi a Jannik Sinner (a tal proposito, molto ben accolto tra pubblico e giocatori: a Malaga il farò sarà lui).

Una chiosa, infine, sul format. In questi giorni sono tornate in auge parecchie problematiche legate al format a gironi. I giorni senza squadra di casa in campo, come di consueto, sono stati l’equivalente di una misera tristezza, con spalti praticamente vuoti da Bologna a Manchester passando per Valencia. Su Zhuhai si può tranquillamente stendere un velo pietoso, perché mandare quattro squadre in Cina, dopo gli US Open e senza che nemmeno ci sia quella di casa è la cosa più lontana dallo spirito della Davis che possa esistere. Nondimeno, questa non è mai stata una coppa che ha avuto per protagonisti i calcoli: negli anni dal 2019 in avanti se ne sono fatti fin troppi, fino ad arzigogoli immensamente complicati e anche rischi di potenziali incroci pesanti ai quarti, con orecchie che avrebbero potuto ben udire cosa succedeva in determinate città invece di altre. Da non dimenticare, infine, un altro paradosso di Zhuhai: il sabato con la sfida decisiva, la domenica inutile. Vero è che accadeva anche con il vecchio format, ma lì accadeva se c’era un 3-0, qui si tratta di un intero tie (Cile-Slovacchia).

Dai corridoi dell’ITF, però, sta emergendo qualcosa di nuovo. Ora che la Coppa Davis non è più in mano al gruppo Kosmos di Gerard Piqué, il calciatore entrato a gamba tesa nell’ambiente per contribuire a generare la riforma di Orlando in cui di brutte cose se ne sono viste fin troppe, i margini per “tornare indietro” ci sono. Da più parti si rincorre la possibilità di ricorrere a una fase a eliminazione diretta a settembre, invece dei gironi, per accedere alle Final 8. Un riavvicinamento alla Davis come l’ha conosciuta e amata una serie di generazioni, da quando il World Group è stato formato fino al fatal 2018.

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