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F1 e MotoGP. Le mani americane sulla proprietà delle categorie, ma mancano i piloti. Il talento non si compra a suon di dollari

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Logan Sargeant
Logan Sargeant - LaPresse

Il recente appiedamento di Logan Sargeant fa sorgere spontanea una riflessione. La Williams si è giocata la carta del “pilota americano”, ragionando sul fatto che la categoria è di proprietà Stars&Stripes. Purtroppo per il team di Grove, il ventitreenne di Fort Lauderdale si è rivelato un autentico “buco nell’acqua”, non essendo mai riuscito ad adattarsi alla massima categoria automobilistica.

La F1 sta assumendo quella dimensione “statunitense” che in tanti si auguravano raggiungesse (almeno quattro team in lotta per vincere ogni gara, valori fluidi e rapporti di forza a geometria variabile). Cionondimeno, la prospettiva di avere un pilota stelle-strisce di grido si fa sempre più remota. In generale, se si parla di ruote scoperte, gli americani patiscono un po’ in ogni dove.

Anche l’IndyCar, la “loro versione della F1”, stanno soffrendo. In questo 2024 la scena è dominata dallo spagnolo Alex Palou, dall’australiano Will Power, dai neozelandesi Scott McLaughlin e Scott Dixon. Il solo statunitense capace di vincere il campionato nell’arco dell’ultimo decennio è stato Josef Newgarden. Attualmente, l’unico a essere competitivo è Colton Herta, recentemente accostato alla Formula Uno senza che però si mai concretizzato nulla.

MotoGP, l’acquisto da parte di Liberty Media favorirà il ritorno dei piloti americani in ruoli da protagonisti?

Gli annunciati test con la Ferrari sono rimasti fantomatici e l’interesse della Red Bull non è mai sfociato in un vero e proprio contratto. Herta è ancora giovane (classe 2000), dunque la possibilità di vederlo nel Circus in futuro non può essere esclusa a priori. A oggi, lunedì 9 settembre 2024, l’ipotesi è però quantomeno fantasiosa.

In generale, è proprio il “sistema statunitense” – se così può essere definito – a non produrre più granché. Tra chi corre nelle categorie propedeutiche alla F1, solamente il diciannovenne Jak Crawford, impegnato con buon profitto in F2, ha palesato una competitività degna di questo nome.

Neppure negli Usa si vedono giovani di particolare prospettiva. Kyle Kirkwood aveva le stimmate del “predestinato”,  ma una volta arrivato in IndyCar ha faticato molto più del previsto a emergere e può essere considerato la principale delusione del 2024, in quanto non ha palesato alcun progresso rispetto al 2023 (anzi, nel suo caso si può legittimamente parlare di regresso).

Ricapitolando, gli Stati Uniti si stanno accaparrando la proprietà di tutte le principali categorie motoristiche (la F1 è già nelle loro mani da tempo, la MotoGP è appena stata aggiunta alla collezione). Però di piloti protagonisti proprio non c’è traccia, neppure a casa loro (dove detta legge sempre e comunque la Nascar).  Il talento puro per le ruote scoperte è ancora indifferente al suono dei dollari

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