Ciclismo
La nuova vita di Pozzovivo: “Divento papà, vorrei fare l’allenatore. Nibali amico vero, il rimpianto del 2018”
Il Giro di Lombardia è stato l’ultima corsa di Domenico Pozzovivo, in altre parole l’ultimo ballo. Un highlander, sempre presente, sempre all’attacco anche passata la soglia dei 40 anni. In questa ultima stagione alla Bardiani il corridore lucano è diventato un faro per le giovani leve, doveva reinventarsi ma in realtà non ha mai smesso di attaccare e di fare risultati riconfermandosi una certezza del nostro movimento. Un arrivederci al ciclismo, ma presto Pozzovivo diventerà papà per la prima volta e come, lui stesso aveva dichiarato in occasione della Classica delle Foglie Morte, cambierà radicalmente il suo modo di vivere, ma sarà anche una finestra per pensare al dopo, al domani.
Che emozioni hai provato durante la tua ultima gara, il Giro di Lombardia?
“Il Lombardia è una gara che ho sempre sentito tanto, è stato un ultimo ballo stupendo. E’ stato difficile trattenere le lacrime e saranno ricordi che porterò sempre nel mio cuore”.
Anche in questa ultima stagione ti sei mantenuto su livelli più che dignitosi, facendo meglio di tantissimi giovani. Qual è stato il segreto della tua regolarità in quasi 20 anni di carriera?
“Il mettermi sempre in discussione, evitando tutto ciò che potesse diventare una routine o qualcosa che mi facesse adagiare”.
Che cosa si prova nelle prime settimane da ex?
“La prima settimana è stata molto particolare, sono stato in crociera per la prima volta nella mia vita, ma anche lì sono uscito spesso in bici quindi è stata una settimana nel complesso diversa dal solito. Adesso sono in Calabria, le temperature qui sono ottime e quindi sto uscendo comunque in bicicletta. Chiaramente fino a qualche settimana fa le mie giornate ruotavano intorno agli allenamenti, adesso la bici la utilizzo quando ho del tempo libero, non è più una priorità”
Hai già un’idea di cosa prevederà ora la tua nuova vita?
“L’unica certezza è che a dicembre diventerò papà e quindi sicuramente la vita cambierà molto. Poi mi piacerebbe specializzarmi nella performance e nel coaching in generale per far fruttare anche la mia laurea in Scienze Motorie”.
Il momento che ricordi con maggiore affetto nella tua carriera?
“Senza dubbio la vittoria del Giro d’Italia a Lago Laceno nel 2008”.
Il rimpianto più grande?
“Il non essere riuscito a salire sul podio del Giro nel 2018, dove aver cullato il sogno per diverse tappe. Purtroppo ho avuto una giornata storta nel giorno dell’impresa di Froome sul Colle delle Finestre che mi ha costretto ad abbandonare il sogno del podio, chiudendo comunque quinto nella generale. Un buon risultato, ma non quello che sognavo anche perché il podio era alla mia portata”.
Il corridore più forte contro cui ti sei confrontato?
“Direi Pogacar”.
Nel ciclismo esiste ancora l’amicizia? E con chi hai legato di più?
“Esiste eccome. Oggi le gare sono più un frullatore di tensione e quindi riesci a condividere un po’ meno rispetto ad anni fa, ma i riferimenti importanti e le amicizie le hai comunque. Nibali è stato per me un grande punto di riferimento nella mia carriera e tra di noi c’è stato e c’è tutt’ora un gran bel rapporto di amicizia con cui abbiamo condiviso tanti momenti; insieme anche a Diego Ulissi e Alberto Bettiol”.
Hai attraversato tre generazioni di corridori. Cosa hanno attualmente Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel in più rispetto a Froome, Nibali e Contador?
“Pogacar su tutti. Tadej ha una capacità – come nessuno mai – di essere ad un livello impressionante durante tutta la stagione. Vincenzo, in termini di completezza e quindi densità di vittorie, è quello che gli si è avvicinato di più”.
Le poche squadre italiane Professional e Continental rimaste stanno progressivamente sparendo…
“Bisogna trovare una via d’uscita, ma credo che il problema principale sia quello di adeguarsi ai budget che servono per avere una formazione competitiva ai livelli delle squadre estere, sia in termini di corridori che si staff e quindi organizzazione”.