Ciclismo

Pogacar vince Giro, Tour, Mondiale, Liegi e Lombardia: distacchi che fanno sembrare impotenti gli avversari

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Pogacar / Lapresse

L’accoppiata Giro d’Italia e Tour de France nello stesso anno, che mancava da addirittura 26 stagioni e che era riuscita soltanto a sette uomini nella storia. Il trionfo ai Mondiali dopo aver firmato la doppietta nei Grandi Giri più importanti, impresa di cui appena due ciclisti sono stati capaci. Due sigilli nelle Classiche Monumento a corollario, con quattro Giri di Lombardia di fila come soltanto Fausto Coppi e la gioia alla Liegi-Bastogne-Liegi. Sono soltanto alcuni dei record siglati da Tadej Pogacar in una stagione antologica.

Il fuoriclasse sloveno è stato memorabile tra Corsa Rosa e Grande Boucle, eguagliando i gioielli di Marco Pantani nel 1998. Il capitano della UAE Emirates ha indossato prima il rosa, poi il giallo e poi la maglia arcobaleno, avvicinandosi a Eddy Merckx e Stephen Roche. Non sono soltanto i risultati a fare parlare, ma le modalità di questo dominio: il 26enne è stato in forma praticamente per sette mesi in maniera ininterrotta e soprattutto ha giganteggiando con attacchi a lunghissima gittata.

Eravamo abituati a un ciclismo in cui era difficile restare al massimo della condizione fisica per più di due mesi, invece Tadej Pogacar ha alzato l’asticella verso livelli inesplorati e si è tornati a quell’universo in cui si gareggiava con profitto dalla primavera all’autunno. Ci eravamo abituati a risoluzioni degli eventi nel finale, ma lo sloveno (oltre a Evenepoel e van der Poel) offre affondi da lontanissimo, come testimoniano la fuga di 100 chilometri ai Mondiali e i 48 km sciroppati oggi pomeriggio dalla Colma di Sormano a Como.

Tadej Pogacar ha vinto la prima corsa il 2 marzo, imponendosi alle Strade Bianche con un affondo di 82 km (appunto…), poi si è imposto alla Volta Catalunya prima di esaltarsi alla Doyenne (21 aprile). A seguire il Giro d’Italia a maggio (con sei successi di tappa) e il Tour de France a luglio (con sei affermazioni parziali), poi il trionfo iridato a Zurigo preceduto dalla stoccata a Montreal (entrambi a settembre) e seguito dalle affermazioni di ottobre al Giro dell’Emilia e al Giro di Lombardia (il 12 ottobre, cioè sette mesi e dieci giorni dopo la prima gioia).

Stiamo parlando di un tabellino sostanzialmente intonso: nel 2024 non ha vinto soltanto alla Milano-Sanremo (terzo) e al Québec (settimo). A fare impressione sono anche i distacchi siderali inflitti ai più immediati inseguitori: 2’44” a Skuijns alle Strade Bianche, 3’41” a Landa al Catalunya, 1’39” a Bardet alla Liegi, 9’56” a Martinez al Giro, 6’17” a Vingegaard al Tour, “solo” 34” ad O’Connor al Mondiale, 1’54” a Pidcock al Giro dell’Emilia e 3’16” a Evenepoel al Giro di Lombardia.

Tutti i rivali sembrano impotenti al suo cospetto e il trono del ciclismo mondiale non è mai stato così saldo in mano a qualcuno. Quest’anno avrebbe potuto anche tentare la tripletta dei Grandi Giri, ma non si è presentato alla Vuelta di Spagna. Il numero 1 del ranking UCI non ha oggettivamente rivali: Vingegaard è stato stracciato in Francia (anche se il danese non era al meglio), Evenepoel non è mai riuscito a tenere botta, van der Poel non è un suo avversario diretto.

Per quanto andrà avanti questo assolo? Si è aperta una vera e propria era di un atleta che a 26 anni ha già vinto 88 corse da professionista, di cui addirittura 25 soltanto nel 2024 (22 gare e tre classifiche generali).

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