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MotoGP, la polemica Iannone – Bautista genera una riflessione. Impossibile essere competitivi in MotoGP arrivando dalla Superbike?

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Andrea Iannone / Valerio Origo

La scorsa settimana si è assistito a una querelle mediatica fra Andrea Iannone e Alvaro Bautista legata a chi dei due fosse andato meglio in occasione del proprio ritorno una tantum in MotoGP dopo la migrazione in Superbike. “Sono andato più forte io!” ha detto uno, “No, non è vero!” ha replicato l’altro. Confronto invero pressoché impossibile, considerando come i due si scornino valutando anni differenti!

Soprattutto, sono questioni di lana caprina. Sempre nelle retrovie sono finiti. Lo spagnolo, iscritto con una wild card al GP di Malesia 2023, aveva concluso penultimo a 53” dal vincitore. L’italiano, sostituto dell’infortunato Fabio Di Giannantonio in questo 2024, ha tagliato il traguardo a sua volta penultimo, seppur a 47” dal primo.

Si può guardare alle qualifiche, per valutare la prestazione pura. Nel 2023, il miglior giro di Bautista è stato 1’59”418, pari al 101,64% della pole position firmata da Francesco Bagnaia (1’57”491). Nel 2024, il crono più rapido di Iannone è stato 1’58”183, ovvero il 101,59% della pole position conseguita da… Francesco Bagnaia (1’56”337). Insomma, siamo lì! L’iberico e l’abruzzese si sono equivalsi.

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Si potrebbe riflettere sul fatto che Bautista sia arrivato da Campione del Mondo Superbike, mentre Iannone lo abbia fatto dopo un’annata sì di buon livello, però chiusa all’ottavo posto in campionato, ma si tratta di un’analisi relativa al contesto SBK. In realtà, lo spunto lanciato dall’accaduto riguarda la possibilità di essere competitivi in MotoGP per chi non è (più) abituato a guidarle.

È impressionante notare la differenza che ormai intercorre tra pilotare un prototipo e una derivata di serie. Le pieghe del Motomondiale sono folli, si arriva “tranquillamente” ad angolazioni di 60° in piena accelerazione. È una dinamica teoricamente in contrasto con le leggi della fisica, se non ci fossero l’elettronica e soprattutto l’aerodinamica (due campi dove, guarda a caso, Ducati eccelle).

Viceversa, in Superbike si pilota ancora in maniera canonica. L’ingresso in curva è completamente diverso, le pieghe idem, decisamente più compatibili con la guida “classica”.  Questo significa come le due categorie abbiano diverto apertamente rispetto al passato. Ormai, per essere competitivi in MotoGP, bisogna essere abituati a competere in un ambito con delle leggi fisiche proprie. C’è stata una sorta di specializzazione, insomma.

Siamo alla vigilia dell’ultimo Gran Premio della stagione e, al riguardo, viene da fare un pensiero. Rivedere quanto accaduto nel 2006 – quando Troy Bayliss, dopo aver trascorso tutto l’anno in SBK, montò in sella a un Ducati MotoGP e vinse il GP di Valencia – è, oggi, impensabile.

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