Ciclismo
Gilberto Simoni: “Mondiali 2001? Doveva vincere un Mapei…Ero scomodo, non devo perdonare nessuno”
Gilberto Simoni è uno dei corridori che è riuscito a vincere tappe in tutti i Grandi Giri, costruendo gran parte dei suoi successi nelle corse di montagna avendo avuto caratteristiche di scalatore puro, uno dei campioni più tenaci e combattivi degli anni Novanta. Insieme al “Gibo” abbiamo voluto ripercorrere alcune tappe importanti della sua carriera sportiva (l’ultima corsa è stata il Giro d’Italia del 2010), oltre ad un’attenta analisi sul ciclismo odierno.
7 podi al Giro d’Italia, con due vittorie: quanto manca, oggi, un Simoni al ciclismo italiano… Ripensando ai tuoi podi, qual è stata la circostanza in cui ritieni di essere andato più vicino a realizzare il tris in maglia rosa?
“Diverse volte, però con il ‘senno di poi’ non si possono cambiare le cose”.
Hai il rimpianto di non aver mai veramente provato a fare classifica al Tour de France?
“No, in fin dei conti per i Tour che ho corso io non c’è un vero vincitore del Tour; ci sarebbe stato, ma c’è sempre stata una grande confusione (il riferimento è alle vittorie tolte a Lance Armstrong, ndr)”.
Cosa ricordi delle tue partecipazioni alla Vuelta?
“La Vuelta è sempre stato per me un bel periodo. La prima Vuelta nel 1998 mi ha dato la possibilità di rinascere come corridore e come atleta e quindi per sempre sarò grato a questa corsa che mi è sempre piaciuta molto e che nel cuore ha un sapore speciale”.
Ai Mondiali di Lisbona 2001 avevi la maglia iridata in tasca, ma Lanfranchi si mise in testa a tirare e il gruppo ti riprese agli ultimi 1000 metri. 23 anni dopo, che spiegazione ti sei dato? E hai perdonato Lanfranchi?
“Il ct arrivava dalla Mapei (Franco Ballerini, ndr), così come Lanfranchi, e ha vinto un corridore della Mapei (lo spagnolo Oscar Freire, ndr). La verità, che poi è anche la vergogna più grande, è che io ero visto come un personaggio scomodo, non stavo ai loro giochi e quindi nonostante i sette podi al Giro d’Italia – e uno dei corridori più forti a quei tempi – non mi hanno più dato la possibilità di correre un Mondiale. Il Campionato del Mondo di Lisbona non lo rimpiango, ma mi è dispiaciuto non aver avuto la possibilità di dire la mia nuovamente. Non devo perdonare nessuno”.
L’Italia viene da anni un po’ più difficili, ma qualcosina sembra muoversi per le corse a tappe. Che idea ti sei fatto di Tiberi, Pellizzari e Piganzoli?
“Il ciclismo italiano non sta male come spesso viene detto. Se venissero a mancare le corse italiane, tante squadre straniere e le Devo non saprebbero dove far correre i loro ragazzi. Il ciclismo italiano è forte, la costanza e la ramificazione delle gare che abbiamo in Italia per i giovani non è seconda a nessuno. Ci vorrebbe molto più rispetto per i corridori e le squadre italiane, lasciando a volte a casa qualche formazione straniera che spesso toglie il posto ad una nostra italiana. Tiberi, Pellizzari e Piganzoli sono sicuramente dei nostri giovani che hanno un bel futuro davanti, hanno un buon motore. Certo non avranno la strada dritta come Pogacar o Van der Poel, ma dovranno continuare a lavorare sodo e affrontare tanti tornanti”.
Tra gli juniores si è messo in luce Lorenzo Finn. Che idea ti sei fatto su di lui?
“Finn è un ragazzo determinato, sa quello che vuole e non ha paura a metterlo in atto”.
La vittoria che ricordi con più affetto nella tua carriera?
“Tutte hanno un significato particolare. Ho sempre rispettato tutte le vittorie”.
Il tuo migliore amico nel ciclismo?
“Ne ho parecchi, mi sono trovato bene con tanti ragazzi. Ho corso in diverse squadre e ho cambiato molti compagni, Simone Bertoletti uno su tutti; lui in Lampre è stata per me una bella presenza”.