Tennis
Sinner-WADA: la partita si gioca sulla negligenza. Cosa avrebbe potuto fare il n.1 più di così?
“Il ruolo principale della WADA è sviluppare, armonizzare e coordinare le norme e le politiche antidoping in tutti gli sport e in tutti i Paesi“. C’è scritto questo sul sito ufficiale dell’Agenzia mondiale antidoping, oggetto di grande interesse per i casi di positività di Jannik Sinner e Iga Swiatek, n.1 e n.2 del mondo del circuito ATP e WTA. Situazioni che nella loro particolarità stanno ponendo dei dubbi sull’agire dell’Agenzia, specialmente se il principale fine è la lotta al doping.
In particolare, la vicenda legata al “Clostebol” di Sinner continua a tenere banco. Le dichiarazioni del direttore generale della WADA, Oliver Niggli, hanno chiarito ulteriormente il punto di vista dell’organizzazione che rappresenta, rispetto al ricorso fatto al TAS dopo che l’azzurro, dal Tribunale indipendente convocato dall’ITIA (International Tennis Integrity Agency), era stato completamente scagionato.
A distanza di circa tre mesi dalla diffusione del comunicato in cui l’Agenzia mondiale antidoping informava dell’appello richiesto e della pena proposta a Jannik (uno/due anni), Niggli ha specificato ulteriormente le motivazioni: “Non contestiamo la contaminazione, ma la nostra posizione è che esista ancora una responsabilità dell’atleta nei confronti di coloro che lo circondano. Riteniamo che l’applicazione della norma non corrisponda alla giurisprudenza“, ha dichiarato all’Agence France-Presse.
Pertanto, WADA, come aveva già fatto ITIA, crede nel fatto che Sinner sia stato vittima di una contaminazione involontaria, ma ritiene che sia responsabile per gli errori del suo staff, dal momento che sul ‘datore di lavoro’ ricadono le colpe dei propri dipendenti. Il riferimento è all’articolo 10.6.2 del regolamento antidoping. Si parla di un caso in cui l’atleta non presenti colpa o negligenza significativa, ma non possa imputare la positività a un “prodotto contaminato”. Si prevede in tale circostanza una possibile riduzione della pena solamente fino al 50% del massimo previsto, quindi fino a un anno.
In primo grado, invece, il menzionato Tribunale Indipendente si era avvalso di un altro articolo, il 10.5, secondo cui qualsiasi sanzione viene annullata in caso di assenza di colpa o negligenza. Questo perché? Come si legge nel Comment, questa norma può essere usata solo in circostanze eccezionali come in quella di Sinner. Nella misura in cui l’altoatesino non sapeva e non avrebbe potuto ragionevolmente sospettare che il Clostebol fosse presente nel luogo in cui si trovava e il fisioterapista Giacomo Naldi avesse usato il noto Trofodermin per medicare il suo dito (non sapendo che contenesse il principio attivo citato), la sentenza aveva stabilito che il giocatore avesse esercitato la massima cautela e fatto tutto il possibile per evitare una positività, potendosi così avvalere dell’articolo citato.
Pertanto, la partita si gioca essenzialmente sull’interpretazione della negligenza o meno da parte del tennista nostrano, rispetto agli errori commessi dal suo staff. Di sicuro, nella vicenda in questione, non c’è stata alcuna volontà dell’atleta di alterare le sue prestazioni, per cui ci si chiede: quale sia lo spirito che possa portare a un’eventuale sanzione, se la “colpa” è stata quella di non essere andato a ledere alla libertà personale di terzi (Naldi e Umberto Ferrara) di cui per contratto e competenze dichiarate dai due professionisti ci si doveva fidare? Cosa Sinner avrebbe potuto fare di più? Nel 2025 avremo le risposte, nella consapevolezza che prima dell’11 febbraio non ci saranno novità in merito.